Mary Che È Cara Agli Dei
La sfilata della Katrantzou nel tempio di Poseidone: un racconto dietro le quinte del più epico show della stagione.
Il giorno successivo alle sfilate parigine è di solito un momento di riposo per l’intera industria della moda. Quest’anno, invece, è coinciso con quello che è stato forse l’evento più spettacolare dell’intera stagione: lo show che Mary Katrantzou, designer ateniese ma
con base a Londra, ha messo in scena nel tempio di Poseidone a Capo Sunio, a un’ora di macchina da Atene. Se si considerano le radici greche di Katrantzou, e il fatto che questa collezione P/E 2020 ha anche lo scopo di festeggiare il trentennale dell’Elpida Association – ente benefico che si occupa dei bambini malati di cancro –, la scelta di un sito di tale significato storico è parsa del tutto appropriata. Così come l’idea di associare a ogni look un tema ripreso dalla cultura greca pre-cristiana. Dalla nemesi alla catarsi, passando per la costante di Archimede, la sezione aurea e il fondamentale principio di Aristotele secondo cui “tutto accade per una ragione”, Katrantzou ha voluto ricordare al pubblico che alcune delle idee che hanno maggiormente influenzato la nostra cultura sono tanto antiche quanto lo stesso tempio dove hanno sfilato le modelle. E tuttavia, come racconta la designer in questa intervista, quello che è parso come uno spettacolo di rara armoniosità è stato di fatto l’esperienza più estenuante da lei affrontata nel corso della sua vita professionale.
Congratulazioni per questo evento veramente epico. È stato tutto semplice? Assolutamente no. Per la verità, due giorni prima dello show eravamo sul punto di cancellare tutto. Sono una motivatrice e non sono mai negativa, ma a un certo momento mi sono guardata attorno e ho pensato: tutto questo va oltre le nostre capacità. Il giorno della sfilata, poi, sembrava di essere in un manicomio. Il backstage era in una spa, truccatori e parrucchieri stavano in una specie di scatola di vetro... Il nostro team è stato straordinario e concentratissimo sul lavoro, ma la situazione era assolutamente folle. A un certo punto Sophia Neophitou (la stylist della sfilata, ndr) mi ha guardato e ha detto: “Mary, qui andiamo a schiantarci”. Ci siamo abbracciate e ci siamo rimesse al lavoro. E nessuno mi aveva avvisato dei temporali che, dopo aver colpito il resto della Grecia, si sarebbero dovuti abbattere su di noi proprio mentre lo show prendeva il via. Ne sono rimasta all’oscuro finché non ho sentito quelli della produzione parlare della necessità di coprire le luci.
Ma poi gli dei si sono dimostrati benevoli. Sì. Abbiamo fatto due show, perché il Ministero della cultura, che ci ha concesso la location, aveva stabilito che gli spettatori non potessero essere più di 250, e noi ne volevamo di più. Di fatto, molta gente arrivata con i primi gruppi di ospiti ha visto metà delle prove perché non c’era modo di bloccare la visuale, e noi eravamo in ritardo. E quando lo show è iniziato, il vento ha fatto volare via tutti i segnaposto e i comunicati stampa, così ognuno si è sistemato dove capitava. Mia madre Katerina, per esempio, era seduta praticamente in braccio al direttore di Vogue Italia, particolarmente paziente.
Quale insegnamento per il futuro trae da questa esperienza?
Mi ha fatto capire varie cose, come il fatto che gli show che allestiamo durante la London Fashion Week non sono così complicati, in fin dei conti. La colonna sonora di Vangelis, poi, l’ho vissuta come uno dei regali più belli che abbia mai ricevuto: la ascolto ogni giorno. Più importante di tutto, però, è stato lavorare con i bambini che vi hanno preso parte, che sono sopravvissuti al cancro e hanno beneficiato dell’assistenza dell’Elpida
Association. Non lo dico così per dire: sento che tutto questo ha completamente cambiato il modo in cui guardo al mio lavoro. Oggi lo vedo come un mezzo per conseguire un obiettivo che va al di là del semplice fatto di creare dei bei capi. Ho sempre pensato che stiamo cercando di trasmettere un messaggio di speranza e di generare consapevolezza riguardo a ciò che facciamo. Questa esperienza mi porta a riflettere sul ruolo delle sfilate e su quello che io in particolare posso fare, perché, per quanto la prova sia stata dura, la gratificazione non è stata da meno. Il senso di soddisfazione è più profondo quando si servono valori più alti. E credo proprio che questo cambierà il mio modo di lavorare come designer. ________________________