A Vogue’s Tale
Un racconto d’autore liberamente ispirato alla copertina di Vogue Italia.
TERESA CIABATTI
Tutto è cambiato un pomeriggio d’inverno. Prima eravamo una famiglia felice, mamma, papà, noi, dove noi siamo tre figlie femmine. In scala, dalla più grande alla più piccola: Luisa, Maddalena, io. Se non ci fosse Luisa a creare problemi, ci sarebbe pace in casa. Invece lei urla, piange. Quando mamma le sequestra il telefono minaccia di uccidersi. Prende il coltello, e rivolgendoselo al cuore dice: giuro che mi ammazzo. Questa ragazza ha qualcosa che non va. Guarda le tue sorelle, dice mamma indicandoci, prendi esempio. In disparte – li ho sentiti con le mie orecchie – mamma e papà si chiedono come sia venuta fuori quella figlia così diversa, perché la norma siamo noi, il gene: ubbidienti, docili. La dimostrazione tangibile che l’errore non è in famiglia. Deve essere la scuola, episodi fuori casa che la rendono instabile. Pensare che è stata sempre la cocca di papà, basta
vedere quel che ha avuto in più rispetto a noi (chiunque può venire a casa nostra, entrare in camera sua, aprire l’armadio). Mamma e papà decidono di intensificare il controllo su Luisa per scoprire cosa la turba, qualcosa deve pur esserci. Un giorno a tavola papà dice: ho visto il tuo computer, la chat.
Silenzio.
Sai quanti anni ha la persona con cui ti scrivi? Lo sai? Quarantatré anni, Luisa, due anni meno di me, quell’uomo potrebbe essere tuo padre. Non lo senti lo schifo? E ancora, affannato: un maniaco che se la fa con le ragazzine. E quindi, senza connessione: vatti a vestire, smetti di girare per casa mezza nuda.
Dopo deboli tentativi di protesta – non hai diritto di entrare nelle mie cose; sei un mostro – Luisa crolla. Ti chiedo scusa, papà, dice in lacrime. Ti giuro che lo blocco, non lo sento mai più, te lo giuro.
Papà si calma: tu non ti rendi conto dei pericoli, sei ingenua.
Lei gli getta le braccia al collo, senza smettere di piangere: perdonami, dice.
E si abbracciano, si stringono forte.
E più tardi li troveremo sul divano davanti alla tv, lei con la testa appoggiata sulle gambe di lui. Lui che le carezza i capelli, quasi potesse continuare all’infinito. Carezzare la sua bambina all’infinito. Ecco – penso io – se devo immaginarmi un fidanzato, me lo immagino così. Quella visione mi pareva così pura, e intensa, prima che arrivassi anch’io ai quindici anni, prima che mi spuntasse il seno, prima che mio padre entrasse in camera, e si sedesse sul letto, e mi dicesse vieni sulle mie ginocchia, e mi tenesse stretta, prima che io sentissi qualcosa di strano. Era inverno, poi è arrivata primavera. ___________________________