Non Che Me Ne Importi Molto
Bret Easton Ellis è cresciuto in una casa «con tanta infelicità». Eppure, dice, non è così grave. Perché, certo, c’è il sangue. Ma poi c’è la gente che incontri.
«Chi era questo giovane e famoso scrittore americano che rimorchiava in lungo e in largo per Manhattan con un best seller a ventitré anni, che entrato a far parte del nuovissimo Brat Pack letterario veniva fotografato nei club e alle feste, godendosi la sua vita da scapolo?». Così ricorda il se stesso del 1987 Bret Easton Ellis nel suo nuovo libro Bianco (Einaudi), primo non-romanzo del celebre autore di American Psycho. A distanza di trentadue anni, Ellis misura con tranquillità la differenza tra la sua vita forsennata e bulimica di allora e quella di oggi. Un’esistenza se non proprio accasata, certamente votata a un inatteso ma convincente equilibrio. Gli piace l’idea di starsene in casa la domenica a guardare qualche vecchio film: ne è un esperto assoluto, ne parla in un suo seguitissimo podcast, e lo scorso ottobre è venuto a Roma alla Festa del Cinema proprio per discuterne con Antonio Monda. È perfino disposto a chiamare la sua relazione ormai decennale con Todd, il «millennial socialista trentaduenne» (parole sue) con cui vive nei dintorni di Los Angeles, “famiglia”.
Sul concetto di famiglia la letteratura, compresa la sua, in questi decenni ha passato un rullo compressore. “Famiglia” è una parola che ha ancora un senso oggi? È una domanda impegnativa. Non ci penso così spesso. In molti modi mi sento più vicino al mio compagno, Todd, di quanto mi senta ai membri della mia famiglia originaria, cioè le mie sorelle. Ci si vede molto di rado. Non sono il tipo di persona che ci tiene molto. Ma sento che la mia famiglia è pur sempre quella di sangue, che c’è qualcosa che ci lega a prescindere. Il sangue significa qualcosa. Famiglia è sangue?
Be’, sì. È anche quello. Poi, certo, la gente si incontra. Gruppi di amici possono essere
chiamati famiglia. Anche questo è vero.
Nel suo libro Meno di zero, i genitori sono più narcisisti dei giovani. Il romanzo si chiude con l’immagine di padri che divorano i figli, come Crono. Era una trentina d’anni fa. Oggi siamo messi meglio?
Ci ho pensato molto, a causa di mio padre e dell’orribile relazione che ho avuto con lui. Mi ci sono riconciliato, sì, ma solo dopo molti anni che era morto. Il mio problema è che papà si aspettava una famiglia fatta in un certo modo, ma questa famiglia non arrivava. Cominciò a tenermi d’occhio. Era molto egoista, di quell’egoismo tipico dei baby boomers: genitori dalle grandi aspettative, redditi alti, che avevano fatto buone scuole, gente sostanzialmente viziata dal benessere in cui erano cresciuti. Desiderava una famiglia che soddisfacesse le aspettative sociali del tempo. Non l’ha avuta. Voleva un figlio atletico, lo specchio di quello che era lui, uno che facesse carriera nella finanza. E invece ha avuto un figlio gay.
Ne soffrì?
Sì. Mi piace pensare che i genitori di oggi, in qualche modo, in termini di aspettative, siano più flessibili nell’accettare i propri figli, non solo sul piano delle scelte sessuali. È un peccato che ci si sia messo così tanto, però, che non fosse così quando ero ragazzo io. Eppure sento anche che c’era un vantaggio nell’avere genitori che non ti coccolavano granché. Pensa che i genitori di oggi vizino i figli? Ma sì, è tutto un continuo evitare loro qualsiasi delusione. Tesoro, vuoi questo o quello per cena? Cosa ti cucino? Cosa vuoi che ti compri? I genitori dei millennial e della Generazione Z, e di quell’orribile neologismo, gli zillennial – Dio, come si fa a concepire una parola così – sono pronti ad andare in galera per i debiti contratti per pagare il college ai figli. Nella mia generazione era impensabile. Ed è un problema, i ragazzi saranno segnati per sempre da questo atteggiamento.
Errori se ne faranno sempre, no?
Certo, non c’è soluzione perfetta. Non c’è famiglia ideale. E credo che l’avere abbracciato la diversità e l’inclusività sia una cosa molto positiva. Ma in definitiva, non so quanto mi importi davvero. Siamo sempre stati tutti molto sospettosi riguardo alla nozione che la famiglia sia la cosa più importante nella società. Io sono cresciuto in una famiglia totalmente disfunzionale, di divorziati, una famiglia con molta infelicità. E credo che l’infelicità derivasse dal fatto che c’era un sogno che era stato venduto alla generazione dei miei genitori. Un sogno impossibile, irraggiungibile. Non so da dove provenisse, sicuramente non dalla loro esperienza: mio padre veniva da una famiglia terribile, mia madre pure. Eppure, nonostante questo passato, mia madre a ventiquattro anni aveva già tre figli. Qual è la morale? Che siamo intrappolati nei tempi in cui viviamo. L’arte trae forza dalle difficoltà?
Credo che l’artista tragga una enorme ispirazione da una famiglia disfunzionale. Per me è stato così. E non sono solo. Basta guardare ai grandi scrittori – tutti hanno avuto la fonte della propria creatività in cose del genere. Comunque, per quanto il dolore di allora possa essere stato prezioso ai fini della creatività, continuo a provare una forma di ottimismo per come la famiglia è cambiata nel frattempo, e sta tuttora cambiando. Prima smettiamo di ossessionarci con quella visione datata delle dinamiche di famiglia, prima smettiamo di chiederci che cosa significhi essere un buon figlio o un buon padre, meglio sarà. Torniamo alla sua famiglia attuale. Todd. Il millennial socialista? Politicamente lui è per Bernie. È in quella che io chiamo la “dark old left”, la buia vecchia sinistra. Ogni tanto, quando ha qualche brutta notizia dai suoi idoli progressisti, si chiude in camera per giorni e prende antidepressivi. Nell’estate 2018 abbiamo molto discusso.
Perché?
Aveva iniziato a dirmi: non posso vivere sotto lo stesso tetto con uno che ha idee così diverse dalle mie.
Cosa gli ha risposto?
Che mi sembrava assurdo. Gli ho detto: ci rispetteremo a vicenda. Da allora non parliamo più di politica. A settembre, quando sono tornato da Parigi, sono entrato in casa, lui era lì, mi è venuto incontro con un sorriso smagliante e mi ha detto: “Tesoro, abbracciami. A quanto pare Donald verrà messo sotto impeachment. Mi spiace tanto per te”.
L’ha presa per un sostenitore di Trump. Più o meno. Quanto mi mancano i liberal centristi dei decenni scorsi, dove sono finiti? Ogni tanto Todd grida all’improvviso “fanculo!” alla tv, e allora mi precipito nell’altra stanza, “che succede?” e lui: “Niente, c’era Trump in televisione”. “Dio, mi hai fatto venire un infarto”, gli rispondo, “spegni quel televisore. Spegnilo e basta. Io non lo ascolto mai, e sono felice. Ho smesso da tempo. Tutta quella roba non ha nessuna influenza sulle nostre vite, e tu invece le dai il podio”.
Secondo lei Trump ce la farà a essere rieletto?
Ditemi uno scenario in cui non ce la fa. Ditemene uno! Non riesco a immaginarlo. Sentite, dobbiamo smetterla tutti quanti di farci ossessionare da Trump. Ho passato tutto il giorno a leggere notizie tipo “Donald Trump è contro gli immigrati transessuali”. Cioè, intendete tutti e quattro? Ahahah. Davvero parliamo di immigrati trans anziché dell’economia? Siamo impazziti. Detto questo, non so come finirà. Spero che alla fine vada tutto bene. Ecco, che ne pensa di “spero che vada tutto bene” come titolo dell’intervista?
Lo trovo magnifico.
Già. Potrei rimediarci uno slogan. I Hope It All Works Out. Se facessi una campagna presidenziale, sarebbe il mio motto. ___________
"Prima smettiamo di ossessionarci con quella visione datata delle dinamiche di famiglia, prima smettiamo di chiederci che cosa significhi essere un buon figlio o un buon padre, meglio sarà".