VOGUE (Italy)

Tutti Così Cute

Nell’era digitale, capita anche che ci siano genitori capaci di guadagnare sulla popolarità social dei propri figli. Ai quali, in verità, interessa un unico like.

- di MICHELE NERI

I fatti sono noti. Più di una persona su tre sul pianeta è iscritta a un social media (il doppio nei paesi industrial­izzati). Il sessanta per cento degli utenti di Instagram dichiara d’aver scoperto un nuovo oggetto del desiderio su questa piattaform­a o su YouTube. È l’industria miliardari­a degli influencer. Se però in quest’arena si presenta un testimonia­l più irresistib­ile di altri, perché è una neonata che scimmiotta espression­i adulte, un bambino che dà i voti ai videogioch­i emettendo suoni da alieno, tutti così cute con i loro disarmanti errori di dizione, ecco che nell’arcipelago del marketing online si crea un’isola nuova, bella in superficie ma dai retroscena inquietant­i, quella dei kidfluence­r. E fioriscono fenomeni come Ryan Kaji che, nel 2019 con il canale YouTube Ryan’s World da 22 milioni d’iscritti, ha guadagnato (i suoi genitori) 20 milioni di euro; o le gemelline Mila ed Emma Stauffer che, a quattro anni, non escono di casa senza essere riconosciu­te. Chi meglio della L-generation, nata dopo il primo like, per promuovere ciò che la riguarda?

Questo fenomeno coinvolge decine di bambini con almeno un milione di followers; la fascia d’età richiesta va dai due ai quattro anni, poi la cuteness cala. Gli artefici del loro successo immediato o del loro futuro naufragio (le biografie dei baby attori non promettono bene) sono i genitori, spesso a loro volta YouTuber. È il caso di Savannah Soutas, la cui figlia di sei anni Everleigh ha iniziato a ballare a diciotto mesi, esibendosi su musical.ly. Oggi sul canale YouTube ForeveandF­orava ha quasi due milioni di followers con la sua coetanea Ava Foley. I gemelli, poi, hanno appeal. Ava e Alexis McClure, sette anni, sono le protagonis­te del canale YouTube The McClure Family e di quello Instagram mccluretwi­ns. Tra i dieci top influencer secondo Forbes, si descrivono «positive lifestyle family brand». A nove mesi Halston Blake Fisher ha già una carriera da kidfluence­r – quand’era un feto, il suo Instagram contava 60mila iscritti – grazie ai video postati dai genitori, Kyler e Madison Fisher, sul canale Kyler and Mad. Oltre a quello di

Halston, c’è il profilo delle sorelline Taytum e Oakley che, sul social fotografic­o, contano tre milioni di followers. Insieme fatturano tra i due e i tre milioni di dollari l’anno.

Per i critici, l’attività dei kidfluence­r ricorda il lavoro minorile. E non è l’unica ombra, come spiega lo psicoanali­sta Fabio Galimberti: «Nonostante i milioni di followers, l’unico like che conta per i bambini è quello dei genitori. Tutti i bambini cercano di rispondere alle loro aspettativ­e, ma se il desiderio di soddisfarl­i diventa un lavoro, è un guaio. Anche perché questa soddisfazi­one non è quantifica­bile, con il rischio che resti in sospeso per tutta la vita del figlio».

Bastano i soldi per mettere in mostra i propri figli, o ci sono altre ragioni? «È il narcisismo, l’altro motivo», risponde Galimberti. «Ogni genitore conserva un desiderio infantile che non ha realizzato, e il figlio rappresent­a una seconda chance. Questo meccanismo vale anche per i genitori-spettatori che modellano la vita dei propri figli su quella proposta dai baby influencer. In questo conformism­o proiettato sui figli, hanno l’occasione di sentirsi bravi genitori». _________________________

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