Tutti Così Cute
Nell’era digitale, capita anche che ci siano genitori capaci di guadagnare sulla popolarità social dei propri figli. Ai quali, in verità, interessa un unico like.
I fatti sono noti. Più di una persona su tre sul pianeta è iscritta a un social media (il doppio nei paesi industrializzati). Il sessanta per cento degli utenti di Instagram dichiara d’aver scoperto un nuovo oggetto del desiderio su questa piattaforma o su YouTube. È l’industria miliardaria degli influencer. Se però in quest’arena si presenta un testimonial più irresistibile di altri, perché è una neonata che scimmiotta espressioni adulte, un bambino che dà i voti ai videogiochi emettendo suoni da alieno, tutti così cute con i loro disarmanti errori di dizione, ecco che nell’arcipelago del marketing online si crea un’isola nuova, bella in superficie ma dai retroscena inquietanti, quella dei kidfluencer. E fioriscono fenomeni come Ryan Kaji che, nel 2019 con il canale YouTube Ryan’s World da 22 milioni d’iscritti, ha guadagnato (i suoi genitori) 20 milioni di euro; o le gemelline Mila ed Emma Stauffer che, a quattro anni, non escono di casa senza essere riconosciute. Chi meglio della L-generation, nata dopo il primo like, per promuovere ciò che la riguarda?
Questo fenomeno coinvolge decine di bambini con almeno un milione di followers; la fascia d’età richiesta va dai due ai quattro anni, poi la cuteness cala. Gli artefici del loro successo immediato o del loro futuro naufragio (le biografie dei baby attori non promettono bene) sono i genitori, spesso a loro volta YouTuber. È il caso di Savannah Soutas, la cui figlia di sei anni Everleigh ha iniziato a ballare a diciotto mesi, esibendosi su musical.ly. Oggi sul canale YouTube ForeveandForava ha quasi due milioni di followers con la sua coetanea Ava Foley. I gemelli, poi, hanno appeal. Ava e Alexis McClure, sette anni, sono le protagoniste del canale YouTube The McClure Family e di quello Instagram mccluretwins. Tra i dieci top influencer secondo Forbes, si descrivono «positive lifestyle family brand». A nove mesi Halston Blake Fisher ha già una carriera da kidfluencer – quand’era un feto, il suo Instagram contava 60mila iscritti – grazie ai video postati dai genitori, Kyler e Madison Fisher, sul canale Kyler and Mad. Oltre a quello di
Halston, c’è il profilo delle sorelline Taytum e Oakley che, sul social fotografico, contano tre milioni di followers. Insieme fatturano tra i due e i tre milioni di dollari l’anno.
Per i critici, l’attività dei kidfluencer ricorda il lavoro minorile. E non è l’unica ombra, come spiega lo psicoanalista Fabio Galimberti: «Nonostante i milioni di followers, l’unico like che conta per i bambini è quello dei genitori. Tutti i bambini cercano di rispondere alle loro aspettative, ma se il desiderio di soddisfarli diventa un lavoro, è un guaio. Anche perché questa soddisfazione non è quantificabile, con il rischio che resti in sospeso per tutta la vita del figlio».
Bastano i soldi per mettere in mostra i propri figli, o ci sono altre ragioni? «È il narcisismo, l’altro motivo», risponde Galimberti. «Ogni genitore conserva un desiderio infantile che non ha realizzato, e il figlio rappresenta una seconda chance. Questo meccanismo vale anche per i genitori-spettatori che modellano la vita dei propri figli su quella proposta dai baby influencer. In questo conformismo proiettato sui figli, hanno l’occasione di sentirsi bravi genitori». _________________________