Ma La Festa Continua
La pazza famiglia del Plastic, che anima le notti milanesi da quasi quarant’anni, a novembre ha perso il padre fondatore. E adesso?
È un “Pose” milanese la storia del Plastic, una grande famiglia disfunzionale come le case che negli anni Ottanta a New York lanciavano ballerini e accoglievano chiunque avesse un sogno un po’ queer . Da quasi quarant’anni ha fatto divertire chiunque avesse voglia di affacciarsi alla notte lombarda, accogliendo da tutta Italia ragazzi che sognavano di farcela, e di vivere. A metà novembre se n’è andato Lucio Nisi, il capofamiglia e fondatore del club nato in viale Umbria nel 1980, e che recentemente si era spostato in
Ripamonti. La città gli ha tributato un omaggio, postumo, dopo quello in vita di dieci anni fa con l’Ambrogino d’oro. Al funerale, mezza Milano, ma soprattutto loro, i quattro soci, uno spaccato di Italia notturna. Quattro soci, un po’ orfani. Nicola Guiducci è toscano, da 37 anni è dietro la console del Plastic. È il direttore artistico. «Abbiamo aperto a dicembre 1980», dice. «Io ho cominciato con suo fratello Lino, che l’aveva fondato, Lucio all’inizio aveva un negozio di frutta e verdura, che non avrebbe mai mollato». Lucio Nisi veniva da un paese in provincia di Brindisi, come tanti pugliesi dell’epoca cercava fortuna a Milano e non pensava certo di fare il boss della notte. «Poi però prese in mano il Plastic, perché con il fratello le cose non andavano molto bene. Ci ha salvato». Nel frattempo, per una decina d’anni, aveva continuato a fare anche il fruttivendolo; per aprire poi un ristorante, le Petit Jardin. «Era perfetto come oste, era cordiale, ti accoglieva sulla soglia del ristorante», dice ora la Stryxia, leggendaria drag prima che questo vocabolo entrasse nel dizionario («ma io preferisco travestito, con rimandi alti come Paolo Poli»). Parrucca bionda sintetica alla Debbie Harry, all’anagrafe sarebbe Graziano, architetto, di Sondrio (fare questo articolo è difficilissimo perché non sai mai a che ora chiamarli, la mattina è proibito, il pomeriggio hanno tutti la voce un po’ impastata. La notte non rispondono). La Stryxia è responsabile della saletta con la musica italiana, quella della serata del sabato che si chiama Club Domani. «La Stryxia era un amico di mia sorella, perché veniamo entrambi dalla Valtellina», dice Sergio Tavelli, il terzo socio e dj da venticinque anni. «Il nome Stryxia gliel’ho dato io perché stavamo guardando Stryx, un programma della Rai molto avveniristico per i tempi, c’erano ospiti come Grace Jones, Amanda Lear e Anna Oxa. Stryxia ti devi chiamare. E così fu». Interessante che nessuno della grande famiglia del Plastic sia milanese: un grande esperimento di assimilazione notturna. «A Natale», dice la Stryxia, «brindavamo tutti insieme, con Lucio che ci faceva un discorso da papà: siamo qui per divertirci, per lavorare e per non esagerare». Era un periodo d’oro: «Venivano molti artisti, studenti di Brera o di architettura, perché non era ancora il tempo delle scuole di moda, della Marangoni». Ma il Plastic non ha mai conosciuto crisi. E i giovani sono stati sempre una componente fondamentale. Anche se per superare la leggendaria selezione all’ingresso bisognava essere «belli e simpatici. Non c’è mai stata un’età giusta per entrare al Plastic». Lo dice la Pinky, quarta socia, cremonese: «Al Plastic mi portò Nicola, veniva in un locale dove lavoravo, il Mambo». La Pinky, che oggi è la manager del club, negli anni ha fatto «selezione al privé e all’ingresso». «A volte sbagliavo. Facevo entrare gente che poi non mi piaceva. Così quando uscivano poi non li facevo più rientrare. Sono abbastanza cattiva, sul lavoro». Invece Nisi, il pater familias di questa strana azienda-clan, poteva essere
sia burbero che tenero. «Era un padre. Odio e amore. Ma prevaleva l’amore», dice lei. «In quarant’anni ci ho litigato una volta sola, ed è durata mezza giornata», rimugina Guiducci. «Se doveva buttare fuori qualcuno non ci pensava due volte, soprattutto all’inizio quando stava piazzato all’ingresso», dice sempre la Stryxia. «Poi però una volta abbiamo fatto un numero ispirato alla Madama Butterfly, mi scrisse un messaggio, “sono orgoglioso di te, mi hai fatto commuovere”». «A inizio serata c’era chi faceva il briefing artistico, lui ci faceva il briefing umano». Quest’atmosfera, come una specie di intimità, la percepivi anche se non sapevi tutte queste storie e questi affetti dietro. Davanti, le celebrità e le loro imitazioni più vere del vero. «Una domenica sera arrivano i Rem e Nicola mette Loosing My Religion, e loro si comprano tutti la maglietta del Plastic. Stefano Gabbana metteva spesso i dischi, portandosi le cuffie da casa. E Marcella Bella diceva: “Ma voi le sapete meglio di me le canzoni mie”». Il Plastic ha fidelizzato la clientela. «C’è ancora qualcuno dei clienti degli inizi», dice Guiducci. «Non è mai costato molto, l’ingresso, cinquemila lire e altre cinque i drink». Aperto tutti i giorni, tranne il lunedì, è ancora lì e si avvia a festeggiare i suoi primi quarant’anni. Il funerale del fondatore, in una fredda giornata di novembre, è stato «triste ma anche allegro, c’era gente di tutti i tipi». E la sera, lo spettacolo continua, perché siamo a Milano e perché «lui sarebbe contento così». _________________________