Ciascuno A Suo Modo
Alternative, arcobaleno, non convenzionali, autentiche, contemporanee Queste nove famiglie italiane oggi, piu che alla legge, rispondono ai sogni.
Romana Kerestes, Cherhrazade Trabelsi, Sindy Ben Abdessalem. «Un altro marito non lo voglio neanche dipinto!». Il primo, tunisino, l’ha conquistata poco prima dei suoi trent’anni, quando Romy lavorava nella moda a Milano e se l’è portata via con lui, a Tunisi. «Prima della Rivoluzione si stava benissimo, la Tunisia sembrava la Svizzera dei Paesi Arabi», sostiene. «C’erano 500 aziende italiane, molto lavoro, poi purtroppo è cambiato tutto». Nasce Chehrazade, una bambina con gli occhi azzurri e il nome di una principessa persiana, «quando ero incinta leggevo Le mille e una notte, l’idea è venuta da lì». Dopo due anni il divorzio. Romy sceglie di restare a Tunisi e con il passare del tempo arriva il secondo marito, metà toscano e metà tunisino, si sposano e viene al mondo Sindy. «La grande aveva sempre la piccola in braccio, era come il suo Ciccio Bello, sono cresciute insieme, andate a scuola insieme, tutte scuole italiane». Poi, tre anni fa, dopo il secondo divorzio, tornano in Italia. «Non ho paura di crescere le mie figlie da sola. Sono abbastanza serena. I rapporti con i miei ex sono buoni, ho sempre cercato di fare da paciere, se l’amore finisce rimangono l’amicizia e il rispetto».
Lorella Pozzi, Ju-Ju, Luna. Lorella è una ceramista e a 50 anni comincia una carriera da modella. Plasma piccole sculture da indossare come gioielli, poi sfila e posa per campagne pubblicitarie. Vive in una casa di provincia con un bel giardino. «Ho bisogno dei miei animali e delle piante, senza di loro vivrei male. Sono arrivata ad avere sei gatti e due cani, ora sono al minimo storico con un gatto solo, Ju-Ju. Diciamo che la mia è una famiglia allargata per il cane di mia nipote, Luna». Non si è mai sposata, Lorella. «Ho avuto uomini innamorati di me che magari me l’hanno detto vent’anni dopo. Credo di far paura ai maschi». Lei sta benissimo così, e si vede. «Posso vivere senza un uomo ma non potrei mai vivere senza gatti, sarebbe proprio una vita brutta».
Marco Maccarini, Olivia Verona, Theo, Mia. «Io sono quella che fa finta di tirare la carretta mentre gli altri si divertono (ride). Theo è il più saggio, Mia invece è Marco all’ennesima potenza e potrebbe vivere solo di aria e unicorni. In un suo disegno c’è lei in mezzo alle nuvole, Theo vestito da Superman, Marco in campeggio col falò e le stelle e io l’elefante gigante con tutti gli animaletti sotto. Ognuno con il suo sole sorridente». Olivia conosce Marco a una festa, organizzata da lei. Lui stava per entrare nella sua nuova casa e alla fine ci sono andati insieme. Dopo un anno era incinta. «Avevo 25 anni! A lungo sono stata l’unica mamma: i nostri amici andavano al Plastic fino alle sei di mattina. Adesso che hanno i figli piccoli ce la godiamo come pazzi, siamo ringiovaniti. La cosa più incredibile è che stiamo insieme da 14 anni! Non siamo sposati, io vorrei lui no, non gli piace l’idea di firmare un contratto. Tanto, dice, le cose più importanti le abbiamo fatte!».
Matteo Uslenghi, Vittorio Mainetti, Anna, Maria. Matteo è un avvocato penalista, Vittorio insegna diritto internazionale. Sono i papà di Maria e Anna, quasi due anni, nate a San Diego con la maternità surrogata. «Ci siamo conosciuti grazie a una chat di incontri. Nella vita le opportunità più belle nascono spesso dove meno te le aspetti! Abbiamo chattato per ore e ci siamo accorti che il tempo era volato». Vittorio invita Matteo a Ginevra e «quando l’ho visto scendere dal treno mi sono detto: è lui!». Dopo 7 anni di appassionata relazione a distanza Matteo gli confessa il desiderio di avere un figlio. «Gli ho chiesto se fosse matto. Quello che mi spaventava di più era la società, che non fosse ancora pronta. Poi, frequentando un gruppo di famiglie arcobaleno ci siamo accorti che sostanzialmente non è vero, che la gente parla per teorie, per sentito dire, ma se ti conosce non può fare altro che arrendersi alla normalità». Scelgono l’America, dove la legislazione tutela maggiormente questo percorso. E se Anna e Maria un giorno lo vorranno potranno approfondire le loro origini. «Del resto, conoscono già l’identità delle donne che hanno permesso loro di venire al mondo, in particolare Wendy, che le ha portate in grembo, con la quale abbiamo un bellissimo rapporto. La loro storia non è un segreto, è dipinta in un disegno che sta sopra al fasciatoio, il regalo di una zia molto speciale. Ci sono Anna, Maria, i loro papà, uno a Ginevra e l’altro a Milano, l’aereo che parte e va a San Diego, loro che nascono, gli amici che vengono a salutarci in aeroporto e la festa a sorpresa che avevano organizzato a casa». Per accoglierle con tutto l’amore che c’è.
Francesco Cicconetti, Giulia Tomellari. Francesco è di Rimini e ha 23 anni. Si mette con Giulia all’università – lingue aziendali a Urbino – quando non aveva ancora cominciato il suo percorso di transizione. Lei continuava a ripetersi «Fra è molto più uomo di tutti quelli che conosco», lui si è innamorato. Hanno lo stesso umorismo, la stessa risata. La disforia di genere di Francesco è stata chiara fin da piccolo. Nasce femmina ma non vuole il grembiule rosa, lo baratta con quello azzurro di un compagno di classe. Preferisce vestirsi come i maschi, stare con loro, odia i capelli lunghi. E lo ripete spesso che non sentirsi bene nel proprio corpo non è un capriccio, non è certo qualcosa che si decide a tavolino, si starebbe meglio senza. Il percorso di transizione è anche una via dolorosa costellata di commenti idioti e sempre tanta ignoranza. Ora, finalmente, sta per concludersi. Il sogno? «Pubblicare un libro di poesie e raggiungere un po’ della serenità che cerco e di cui ho bisogno».
Carolina Amoretti, Yosephine Melfi, Maria Elena Scova, Giustina Guerrieri, Sofia Atzori. Cinque donne, cinque amiche, un team creativo. Lavorano insieme (quasi) tutti i giorni. «Il collante sono io», dice Carolina Amoretti, fotografa di 34 anni, «nel senso che siamo tutte legate da Fantabody, il brand che ho fondato nel 2015», e che è stato appena premiato dal Fashion Film Festival 2019 come miglior marchio emergente italiano. Body, costumi, sportswear: «Uniamo le forze per qualcosa di bello. E non mi riferisco ai costumi. In realtà sono un mezzo, un escamotage per parlare d’altro. Di inclusività, disabilità, corpi femminili diversi e abbondanti, di ogni colore e taglia possibile. È la finalità di questo progetto che ci ha fatte trovare. Due di loro sono mie amiche da una vita, le altre lo sono diventate, ora siamo come una famiglia in cui convivono generazioni diverse».
Giorgia Da Rui, Veronica Savoia. Veronica è l’ultima di nove fratelli, nasce a Torino e a 25 anni doveva sposarsi con il suo ragazzo. «Ma il fatto di dover andare a convivere, ero troppo giovane... e comunque sentivo che ero affascinata anche dalle donne». Conosce Giorgia in un locale, le si avvicina per offrirle da bere. «Era appena tornata dall’Australia, aveva moltissime cose da raccontare e una bellezza un po’ dannata. Dopo un mese è venuta da me una sera, ed è rimasta». Quando ha avuto la prima relazione con una donna, Veronica ha scoperto un’altra sessualità. «Mi sono sempre definita una persona che si innamora a prescindere dal sesso, dal colore della pelle, da qualsiasi cosa. Credo sia merito dei miei genitori, sono loro ad avermi insegnato ad amare. Gli ho parlato di Giorgia solo quando ci siamo fidanzate». Con l’anello, nella maniera più tradizionale possibile. «Ma il matrimonio può aspettare. Per noi si tratta solo di una tutela legale. Qualcosa che facciamo per la nostra vecchiaia».
Alessio Vannetti, Andrea Tarella. Alessio e Andrea sono «compagni di vita, compagni di gioco, di avventure e disavventure». Si conoscono dieci anni fa per lavoro. Andrea aveva 27 anni e partecipava al progetto Prada Minimal Baroque. «Ci siamo frequentati per un bel po’, con più o meno successo. Poi nel gennaio 2010 mi invita a casa sua con alcuni colleghi e mi presenta come il suo fidanzato». Vivono alle porte di Milano in quello che è diventato a tutti gli effetti uno zoo. «Quando l’ho conosciuto Andrea aveva solo due cavie peruviane in una gabbia enorme e qualche pappagallino. La prima arrivata è stata Vivien, l’iguana (in omaggio a Vivien Leigh), sembrava una lucertola. Adesso è lunga un metro e 70 e vive in una teca riscaldata tutta sua. Se l’accarezzi chiude gli occhi, è molto affettuosa. Poi: un drago barbuto, Paolina, il camaleonte Warner, il geco Romualdo, se lo ricorda Fantaghirò? Vari pesci tropicali e nostrani, in acquario. Sei pappagalli inseparabili, arrivati a caso, un po’ maschi e un po’ femmine, che si chiamano come i protagonisti del Ciclo dei Nibelunghi. In una voliera quattro quaglie cinesi, piccole piccole. Cinque galline tra cui Agatha, inglese di razza Sebright, con le piume che sembrano disegnate con l’inchiostro. In casa due canarini italiani un po’ spelacchiati, di una razza molto particolare. Infine due conigli Lionhead. Il primo, Obi One, è stato trovato un sabato notte nel parcheggio di una discoteca gay che si chiama così. Ce l’hanno portato a casa e gli abbiamo subito voluto affiancare una femmina. È arrivata quindi Madame Du Barry, pelosa e vanitosa. Peccato che fosse un maschio... Alla fine li abbiamo dovuti castrare».
Evita Liranzo Parovel, Alonso Javier Cociani. Evita ha 20 anni appena compiuti, vuole fare la stylist, è di Trieste. «Ma non ho una sola goccia di sangue italiano nelle vene. Mia madre è slovena, mio padre è dominicano. È deceduto quando avevo cinque mesi. Mia mamma mi ripete sempre che la sua fortuna è stata quella di avere me». E anche una famiglia alle spalle, tutta concentrata insieme in una grande casa nella campagna giuliana, con nonni, zii, cugine. Alonso invece ha 25 anni, è un creativo e contatta Evita su Instagram. Tempo dopo si danno appuntamento. «Da quel non giorno non ci siamo più lasciati e adesso viviamo insieme a Milano». Alonso è colombiano, adottato quando aveva tre mesi. «So solo che la mia madre biologica era di buona famiglia ma troppo giovane per tenermi con sé. Ho provato a contattarla di recente, soltanto dopo aver digerito completamente la cosa. La mia famiglia è tutto, ma la curiosità delle tue radici rimane sempre».