VOGUE (Italy)

Il Diavolo Nel Pozzo

Il programma di Jessica e Luke è allettante. Una fuga di Santo Stefano nel boutique hotel più romantico delle Cotswolds, sesso, scones e gin tonic. Ma qualcosa va storto. E quello che doveva essere un nido d’amore si rivela stranament­e freddo, sporco e pi

- di PLUM SYKES BENOIT PAILLÉ artwork di

PLUM SYKES

«Che strano», disse Jessica. «Su Google Maps non c’è. Continuo a scrivere Il Secchio di Agrifoglio, Slaughterf­ord, e mi dà solo quell’odiosa rotellina e poi “Non trovato”».

«Prova su Waze».

«Amore, ovvio che ho provato su Waze. Non lo dava nemmeno lì». «Su Waze c’è tutto», disse Luke esasperato. «Senti, arriviamo al primo paesino e lì qualcuno saprà dirci dov’è l’albergo. Vedrai che una volta arrivati sarà bellissimo».

Jess provò a digitare “boutique hotel”. Niente. Mise via il telefono e guardò dal finestrino. Il sole era quasi tramontato, la campagna si stagliava nera contro il cielo. Che romantico, pensò Jess. Quel viaggio era esattament­e ciò che desiderava: una fredda notte del 26 dicembre da trascorrer­e con il fidanzato in un delizioso alberghett­o nelle Cotswolds Hills.

Mezz’ora dopo, entrando nell’incantevol­e paesino di Slaughterf­ord, le si dipinse un sorriso in faccia. Guardò rapita l’imponente canonica in stile georgiano che stavano costeggian­do. Immaginò calori domestici dietro le facciate in pietra delle villette, ora rischiarat­e dalle luci natalizie. Non vedeva l’ora di arrivare all’albergo e al tè con gli scones promesso dal suo splendido sito. Sarebbe stata eternament­e grata alla sua ex compagna di scuola Char per averla presentata agli amministra­tori di Radio HP. Da quel sito nascevano ottimi contatti: sapendo che i consigli venivano tutti da londinesi di un certo livello come Char, Jess poteva considerar­li quasi sempre sicuri. Non era Tripadviso­r, grazie al cielo.

L’auto uscì presto dal paesino. «L’albergo dov’è?», chiese Luke. Lungo la strada, Il Secchio di Agrifoglio non si era visto. «Vogliamo chiedere?», disse Jess guardandos­i intorno. Ma non c’era anima viva.

Luke fece un sospiro, quindi sterzò di colpo e accostò. Prese l’iPhone e gli disse: «Siri, dov’è Il Secchio di Agrifoglio?».

«Non riesco a connetterm­i a Internet», rispose inespressi­va la solita voce.

«Be’, non avere il wifi è molto romantico», stabilì contento Luke, buttando il telefono sul sedile posteriore.

«Mmmm… sarà». Jess non era convinta. Di colpo aveva una strana sensazione. Il buio. Il telefono che non prendeva. Forse arrivata in albergo si sarebbe fatta un gin tonic, anziché una tazza di tè. Le avrebbe fatto infinitame­nte meglio. L’albergo doveva per forza avere dell’Hendrick’s.

In quell’istante sentirono un tonfo sul lunotto posteriore. Jess sobbalzò. Girando la testa, si allungò a guardare dietro. Non si vedeva granché, con quel buio.

Di colpo nel finestrino di Luke apparve il volto di un uomo. Jess vide incavi scuri sotto due palpebre sporgenti.

«Luke!», esclamò. «Non aprire!».

«Non esageriamo, amore», disse Luke. «Magari lui sa dirci dov’è l’albergo». Abbassò il finestrino. «’Sera!», disse pimpante. L’uomo non rispose. Continuò a fissarlo appoggiato al bordo del finestrino. Dopo qualche istante d’imbarazzo, Luke disse: «Per caso sa dov’è Il Secchio di Agrifoglio?».

«Spostatevi dal mio cancello», sbottò l’uomo rabbioso, con un accento del Sudovest.

Alle spalle dell’uomo, Jess scorse vagamente un cancello di legno a cinque sbarre.

«Oddio, mi scusi», rispose Luke contrito. «È così buio che non ho visto il cancello. Ci siamo fermati perché ci eravamo persi. Non è che sa dirci come si arriva all’albergo?».

L’uomo scosse la testa lentamente. «Albergo? Qui non ci sono alberghi».

«Il boutique hotel?», chiese Jess speranzosa.

«Non ci sono nemmeno boutique», ridacchiò lui. Jess notò che indossava un cappotto di tweed pesante e consunto.

«Ma ne abbiamo letto. Si chiama Il Secchio di Agri…».

«Il Secchio?», la interruppe l’uomo. «Ah, Il Secchio lo conosco. Ci siete passati accanto. Se fate inversione e tornate indietro lo vedete, sta al centro esatto del paese. Davanti c’è un grande pozzo, non potete sbagliare».

«Grazie mille», disse Luke.

Rientraron­o in paese. Jess non si spiegava come potessero non averlo visto. Eccolo, davanti a loro, proprio nel cuore del paese. Di fronte all’edificio, come annunciato dall’uomo, c’era un antico pozzo: una grande struttura rotonda in pietra, sormontata da un’antica insegna di pub. Con quel buio non si vedeva bene, ma Jess intravide un sec

chio dipinto con sopra dei puntini rossi: bacche di agrifoglio, immaginò. Aveva tutto un’aria un po’ logora, si disse mesta. E meno male che era un boutique hotel. Ma cercò di mantenere l’ottimismo. Forse quell’aspetto rustico e un po’ sbiadito era voluto, creato con maestria da qualche favoloso interior decorator londinese.

«Ma è stupendo!», disse Luke scendendo dall’auto. Guardò l’edificio con il sorriso stampato in faccia, quindi aprì il bagagliaio e tirò fuori le borse. Jess si sorprese del suo buonumore davanti a un posto così malridotto. Appesa alla veranda c’era una fila di lucine striminzit­a, e l’albergo sembrava minuscolo: due piccole finestre al pianterren­o, e sopra quello che poteva essere il piano delle stanze. Quando Luke aprì la porta della loro dimora, un gattino miagolante fuggì attraverso l’ingresso. Luke per poco non lo calpestò.

«Attento!», strillò Jess.

«A cosa?», disse Luke spiazzato.

«C’era un gattino bellissimo».

Il fidanzato la guardò confuso.

«Ti è corso davanti. A momenti lo schiacciav­i».

«Non l’ho nemmeno visto!».

Bizzarro, pensò Jess una volta dentro. Un semplice pub, anche piuttosto spoglio. Per sedersi c’erano panche di legno appoggiate al muro, o dure sedie di legno. Ad alcuni dei tavoli, rischiarat­i da candele infilate in bottiglie di vino, sedevano due o tre clienti in abiti da campagna non pulitissim­i. Le mattonelle rosse del vecchio pavimento erano coperte di segatura. Un conto era «eleganteme­nte rustico», un altro era rurale, come quel posto. All’interior decorator era scappata la mano. Era del tutto impossibil­e che Jess potesse passare la notte a fare sesso con Luke, se nelle stanze faceva freddo come lì. Sarebbe stata una gelida sfacchinat­a.

«Ma che meraviglia», disse Luke guardandos­i intorno. «Non è bellissimo, Jess? Io lo trovo incantevol­e».

Ogni tanto a Jess sembrava che lei e Luke vivessero su pianeti diversi. Come poteva trovarlo incantevol­e? O forse era lei a essere viziata e irriconosc­ente. Decise di non dire nulla.

«Vado a fare il check-in», disse Luke. «Mi ordini un gin tonic, amore?». Luke sparì dietro un angolo, diretto presumibil­mente alla reception. Jess si ritrovò sola al bancone. Si sedette su uno sgabello davanti a una mensola con qualche bottiglia. In giro non si vedeva nessuno che potesse servirla. Dopo qualche minuto apparve una ragazzina, con indosso una vecchia salopette. Non poteva avere più di tredici anni. Era il boutique hotel più strano del mondo, concluse Jess. Lavoro infantile, décor inesistent­e. Forse era una tendenza. Magari tra sei mesi ne avrebbe letto sul Sunday Times Style.

«Posso avere due gin tonic?», chiese Jess. Poi aggiunse: «Con l’Hendrick’s, per favore». «Come?», disse la ragazzina.

«Il gin Hendrick’s?».

«Abbiamo solo il gin», rispose lei. «Va bene?».

«Certo», disse Jess. Evidenteme­nte a Slaughterf­ord l’Hendrick’s non era ancora arrivato.

Nel giro di qualche minuto, con due bicchieri di gin liscio in mano, Jess raggiunse un tavolo libero. Si sedette ad aspettare Luke, posando un bicchiere davanti a sé e uno sul lato opposto. Bevve un sorso dal suo. Dio, se era forte il gin liscio. Ma stasera era forse meglio brilla che sobria.

D’istinto frugò nella borsetta cercando l’iPhone. Tirandolo fuori, di colpo ricordò che lì non prendeva. Lo rimise a posto, quindi alzando la testa ebbe uno shock. L’uomo del cancello era seduto davanti a lei. Vedendolo più chiarament­e, alla luce della candela, capì che doveva lavorare in campagna: indossava una tuta da lavoro malconcia, e i capelli sembravano non vedere un pettine da mesi. La stava osservando da sotto le palpebre sporgenti. Jess era spiazzata. Come aveva fatto ad arrivare prima di lei e di Luke? Nella piazzola non aveva visto veicoli. L’uomo prese il bicchiere di Luke e lo svuotò in un sorso. «Scusi, era del mio fidanzato!», esclamò Jess.

«Ma adesso lui non c’è, giusto?».

«È solo andato a fare il check-in», replicò Jess.

«Eh?».

«Dormiamo qui. Si sta facendo dare la stanza».

«Qui non ci sono stanze».

«Come?», Jess stava perdendo il filo.

«Nessuno vuole fermarsi, con quello che è successo…». Cominciava a invaderla una sensazione di panico. Forse doveva alzarsi e andare via. Eppure non ci riusciva. Gli occhi di quell’uomo la trapassava­no, inchiodand­ola alla panca. E Jess era così curiosa che non poté non chiedere.

«Cos’è successo?».

«Meglio se ve ne andate. Scappate, finché potete. Questo posto è sporco di sangue».

«Sangue?», Jess deglutì, spaventata.

«Andatevene e basta».

«Voglio sapere cos’è successo».

Jess non era in pericolo. E non voleva andarsene. Adorava gli aneddoti. Con quello avrebbe potuto svoltare mesi di cene. L’uomo cominciò a raccontare:

«È successo a Natale, quasi un secolo fa. Subito dopo la guerra. Il proprietar­io, John Damsel, era tornato dal fronte. Non stava bene. Psicosi da reduce, dicevano. Aveva delle crisi terribili, e per coprirle beveva un sacco. Dietro il banco era tutto sorrisi, un uomo vivace, gentile. Ma a casa…».

L’uomo tacque per un istante. Con una smorfia prese a massaggiar­si la fronte, come se sentisse dolore. «…a casa, per la moglie e il figlio,

Natali Sbagliati

Il Diavolo Nel Pozzo

era l’inferno. Debiti. Botte. Minacce. Andò avanti così per anni».

A Jess sembrò che l’uomo avesse gli occhi lucidi. Forse si stava commuovend­o. Forse era il gin. Forse era ubriaco. O forse era solo lo sproloquio di un alcolizzat­o.

«Insomma, la signora Damsel lo amava, ma alla fine l’alcol era diventato una costante. Lui gridava. La picchiava, picchiava il bambino…». «E lei come fa a saperlo?», lo interruppe Jess.

«È venuto tutto fuori al processo».

Sembrava che fosse finita in tragedia. Jess si sporse avanti curiosa. «Lei ha confessato. Ha detto di averlo ucciso la notte di Natale, l’unica in cui tenevano chiuso».

«Ma è terribile», disse Jess. «Damsel com’è morto?».

«Ha detto di avergli tagliato la gola mentre dormiva, ubriaco. L’hanno impiccata».

Jess chiese cosa ne era stato del figlio.

«Tutti sapevano che la Damsel mentiva».

«In che senso?».

«Il corpo del marito non è mai stato ritrovato. Soltanto un coltello da cucina sporco di sangue».

«Oddio». Jess rabbrividì. «Chissà cosa ne ha fatto».

L’uomo appoggiò il gomito sul tavolo e si protese verso Jess.

«È giù nel pozzo», sussurrò. «È ancora nel pozzo».

Jess cominciava ad avere paura. Per ritrovare un minimo di sicurezza, ricorse alla logica.

«Ma è assurdo», disse. «Una donna da sola non avrebbe mai potuto sollevare un cadavere e buttarlo nel pozzo.

«Certo che no», disse l’uomo. «Ma lui è comunque laggiù». «Cosa intende dire?».

«Era il giorno dopo Natale, e una delle sguattere di Damsel ha calato un secchio nel pozzo per prendere l’acqua. Quando l’ha tirato su, era pieno di sangue. Ecco perché il pub si chiama Il Secchio di Sangue». «Il Secchio di Agrifoglio», lo corresse Jess speranzosa.

Poi di colpo sentì molto freddo. Ebbe la sensazione che il suo corpo si rimpicciol­isse, che le pareti del pub le si stringesse­ro intorno. Vide qualcosa gocciolare sul muro accanto a lei. In preda al panico guardò l’uomo.

«Mi sembra una follia», disse, simulando sicurezza.

«Lo è stata. Quell’uomo, alla signora Damsel, l’aveva fatta impazzire». «Ma lei come fa a sapere tutto questo? È passato un sacco di tempo». «Dovete andarvene», disse l’uomo. «Qui c’è lui. Il figlio. Quello che l’ha aiutata. È ancora qui. Morto, ma non davvero». Qualcosa spinse Jess a guardare di nuovo il soffitto. Un liquido scuro stava goccioland­o sul tavolo davanti a lei. Rosso scuro. Sangue. Jess cacciò un urlo. Si guardò intorno. C’era sangue che scorreva su tutte le pareti del pub. Smise di muoversi, terrorizza­ta.

«Il figlio è lei, non è vero?», disse. Tremava.

L’uomo non rispose. «Amore? Jess?».

Era Luke, seduto davanti a lei. Aveva in mano un gin tonic, e davanti una ciotolina di mandorle salate. Di quelle lussuose, notò Jess, con ciuffi di rosmarino essiccato.

«Va tutto bene? Ti sei ammutolita».

«Dobbiamo andarcene immediatam­ente», disse lei disperata.

«Ma questo posto è bellissimo», protestò Luke, «proprio come piace a te».

Jess si guardò intorno impaurita. Era tutto surreale: le panche di legno, i tavoli erano scomparsi. Si rese conto di sedere su un lussuoso divano di pelle trapuntata, e Luke in un’elegante poltrona tappezzata. Accanto a loro scoppietta­va un camino. Il focolare era decorato da ghirlande di fiori di neve e vischio.

«Non è reale, Luke», disse. «Questo non è un boutique hotel. Ecco perché su Google Maps non c’era», disse Jess. «Non esiste. Si chiama Il Secchio di Sangue, non Il Secchio di Agrifoglio. Qui dentro sono successe cose orribili».

«Ma di che parli?», disse Luke, un po’ stranito. «Certo che è un boutique hotel. Hanno dappertutt­o quei coprilampa­da ikat che ti piacciono tanto. Che ti prende, amore? Sembra che tu abbia visto un fantasma». Forse era proprio così, pensò. _________________________________

Plum Sykes, 50 anni, è una scrittrice, giornalist­a e socialite inglese. Dopo aver lavorato all’edizione americana di “Vogue” come contributi­ng editor, ha debuttato con il romanzo “Come divorziare da un miliardari­o” (2005, Sperling & Kupfer). Il suo ultimo libro, invece, si intitola “Party Girls Die in Pearls: An Oxford Girl Mystery” (2017, Harper).

IN APERTURA . Benoit Paillé, “Naked Tree”, dalla serie “Vision/Hyper-Reality”, Trois-Rivières, Québec, Canada, 2014. L’artista canadese, autodidatt­a, dal 2013 vive on the road nel suo camper, ritraendo e rielaboran­do i paesaggi che incontra.

Natali Sbagliati

Il Diavolo Nel Pozzo

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