La Persona Sta Al Centro
E gli abiti hanno il valore di chi li indossa. L’umanesimo radicale e sereno di Issey Miyake raccontato dal nuovo designer Satoshi Kondo.
Nel vasto e multiforme scenario della moda giapponese – la localizzazione geografica è da intendere in questo caso come tratto distintivo nell’approccio al progetto dell’abito, non limitazione di portata – il marchio Issey Miyake occupa uno spazio tutto suo, cui mai nessuno ha davvero cercato di avvicinarsi: un umanesimo radicale e sereno nel quale la persona sta al centro e gli abiti sono elementi astratti ma funzionali che prendono vita solo quando indossati, accordandosi all’individuo. Un ambito di continua ricerca nel quale il comfort diventa sinonimo di alta invenzione e facilità d’uso. Merito di Issey-san, il visionario fondatore che tutto ha immaginato, trasmettendo solidi valori a quanti si sono succeduti al timone creativo da che lui ha fatto un passo indietro – non per ritirarsi, ma per supervisionare continuando a sperimentare. «Guardare avanti, innovare, anticipare bisogni con il pensiero e il design: sono questi i valori che ci guidano», dice Satoshi Kondo, classe 1984, appena nominato head designer della linea Issey Miyake, dopo aver affiancato Issey in persona e aver ricoperto posizioni nodali all’interno di Pleats Please e Homme Plissé. Probabilmente le parole di Kondo non suonano così imperiose come in italiano, ma qualcosa, non solo di linguistico, va inevitabilmente perduto in traduzione.
Il portale che congiunge Milano e Tokyo è lo schermo di un telefono, il mezzo è una videochiamata, ma la surrealtà della situazione dialogica è la stessa iconizzata da Sofia Coppola in Lost in Translation: lunghe domande tradotte da un interprete in ancor più lunghe domande, e in cambio lunghe risposte tradotte in poche lapidarie parole. Poco importa: gli spazi vuoti tra le frasi e i silenzi in mezzo alle parole sono eloquenti quando li maneggia un giapponese. Del resto, c’è un intero pensiero, o sentimento, che gira intorno agli intervalli: si chiama Ma, e Kondo lo cita a più riprese nel corso della conversazione. Ma è un termine che può essere tradotto come pausa, vuoto tra due elementi strutturali. Tocca qualsiasi aspetto della quotidianità, perché è un concetto centrale dell’estetica giapponese, nella quale solo il vuoto consente alle varie forme artistiche di realizzarsi nella loro interezza. Per Kondo il Ma è lo spazio che separa il corpo dal vestito; è l’aria che lo occupa e lo muove: nozioni fondamentali che si riallacciano alla lezione di Issey Miyake e al suo personale concetto di design – propulsivo del Miyake Design Studio, fondato nel 1970, del quale Kondo è diventato membro nel 2017 a dieci anni esatti dall’ingresso in Issey Miyake Inc.
Si impone a questo punto una digressione, al solo fine di contestualizzare in modo adeguato le ricerche attuali. Di tutti i designer giapponesi divenuti famosi in Occidente per l’approccio radicale, Miyake è stato storicamente quello che maggiormente si è interrogato sulle origini del costume locale, e in particolare
sul taglio piatto degli abiti e le loro possibilità d’uso. Gli abiti giapponesi tradizionali non sono modellati da pince, ma acquistano volume solo quando un corpo li abita. Partendo da questo principio, Miyake ha ingaggiato una sfida mai conclusa con la materia e la tecnica, lavorando in varie guise intorno all’idea di “A Piece of Cloth”: l’abito realizzato con un solo pezzo di stoffa. In questa ricerca indefessa e costante di nuove soluzioni, Miyake ha costruito un ponte tra passato e futuro, rispetto della tradizione e rottura propulsiva, definendo una estetica unica, autenticamente senza tempo, cui adesso Kondo è chiamato a dare nuova rilevanza. «Quel che mi interessa è innovare, ma voglio anche che tutto questo si inserisca nell’orizzonte della vita quotidiana. Penso che gli abiti debbano rendere più semplice la vita di chi li indossa, e aiutare ciascuno a esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni», spiega. La continuità con il lavoro di Miyake è evidente almeno quanto è chiara la lettura personale, perché Kondo, pur rispettoso dei valori, non ha intenzione di farsi schiacciare dal confronto con il passato. Non avrebbe senso, dopo tutto, aggiunge, «l’essenza di Miyake è guardare avanti, innovare».
Ciò detto, il progetto di Satoshi Kondo per Issey Miyake è ancora nella fase iniziale. Il designer ha finora presentato una sola collezione – primavera/estate 2019 –, che traccia il segno preciso di un nuovo avvio e impone una sterzata rispetto al recente passato, ma che pur sempre un debutto rimane. Va letta come l’introduzione – a fuoco e robusta – di un libro che è ancora tutto da scrivere. Gli elementi portanti indubbiamente ci sono. Il più interessante è la ricerca di elementarità plastica, di una semplicità malleabile delle forme che passa dai capi di nylon leggerissimo che si gonfiano con il movimento – pompando il Ma come sotto anabolizzanti – alle reti che danzano intorno al corpo, dai plissé che si dilatano e ondeggiamo ai richiami e congiungimenti con altre culture. «Ho in mente una donna attiva e forte, ma uno dei punti nodali del progetto consiste proprio nel non limitare il pubblico di riferimento. La libertà di non definire il target aumenta la libertà d’uso degli abiti e questa è una lezione che arriva direttamente da Issey», dice Kondo, sottolineando la spinta multiculturale e sincretistica che è uno degli aspetti duraturi e progressivi del pensiero di Issey Miyake, inclusivo per Dna e non per strategia di comunicazione. Un carattere sottolineato, nel momento del debutto, dallo show-performance, poetico e toccante tripudio di gesti e movimenti ginnico-lirici coreografati da Daniel Ezralow: un modo diagonale di sottolineare la quotidianità pragmatica di abiti fatti per vivere vite frenetiche in rinfrancante semplicità. Ma un progetto di moda oggi è monco senza la costruzione di un’immagine. In questo caso, Kondo ha collaborato con Brigitte Lacombe, come a suo tempo Issey fece con Irving Penn, e il risultato sono scatti sereni ma energici, che condensano il dinamismo e la versatilità degli abiti con lieve spirito di sintesi. «In epoca di immagini che turbinano, è importante creare qualcosa che duri», conclude Kondo. Lo spazio per ulteriori, futuri approfondimenti è ampio, ma gli auspici sono propizi. ___________________________