La Mattina Dopo
Tre storie emblematiche della rinascita. E poi: tessiture, stamperie, fornaci, librerie. Dove vive e si alimenta l’indomabile genius loci.
Il video online l’hanno visto tutti. L’acqua della mareggiata filtra dalle porte e invade con forza la hall del The Gritti Palace, uno degli hotel 5 stelle più belli di Venezia. La devastazione sembra irreversibile. Ciò che non si vede nelle riprese, però, è la reazione di Paolo Lorenzoni, che il Gritti lo dirige: «Abbiamo trascorso la notte a ripristinare gli ambienti», racconta con orgoglio. «Alle 9 del mattino la sala delle colazioni era aperta per il servizio come tutti i giorni, i clienti che soggiornavano ai piani superiori non si sono praticamente accorti di nulla, anzi più di uno ci ha contattato, anche via social media, per complimentarsi del nostro lavoro». È questo lo spirito con cui i cittadini hanno affrontato la calamità: rimboccandosi le maniche. Tutti. Anche i più giovani – non a caso lo scorso 12 gennaio il sindaco Luigi Brugnaro ha conferito il premio “Veneziano dell’anno 2019” «alla nuova generazione del terzo millennio per l’immediata e spontanea mobilitazione in soccorso alla città devastata e ferita dall’acqua alta». Così chi pensava che Venezia – e con essa la sua principale fonte di reddito, il turismo – stesse affondando, si è dovuto prontamente ricredere.
Oltre al The Gritti Palace – un edificio nobiliare del 1475 divenuto ritrovo dell’élite internazionale nel 1895, oggi famoso per il magnifico Bar Longhi, la Gritti Terrace, e
provvisto dal 2013 di paratie e di una vasca di contenimento che lo proteggono fino a 160 cm di acqua alta –, gli altri grandi alberghi hanno ripreso le normali attività nonostante i danni, accogliendo gli ospiti nei loro sontuosi spazi già dal giorno successivo all’alluvione: ad esempio l’Hotel Danieli e The St. Regis Venice, di recentissima apertura.
Il primo, a pochi passi da piazza San Marco, è una wunderkammer di tesori artistici ricavata da tre edifici del XIV, XVII e XIX secolo, che non colpisce solo per la sua scala monumentale e per gli aristocratici interni goticobarocchi, rimasti miracolosamente intatti, ma anche per lo spettacolare affaccio sul Canal Grande, con punta della Dogana e la Basilica di Santa Maria della Salute in primo piano. Il colpo d’occhio è decisamente indimenticabile quando si sale sul rooftop, al ristorante. Non mancano le terrazze con punti di vista scenografici sul Canal Grande nemmeno al The St. Regis Venice, aperto ufficialmente lo scorso ottobre. Se i suoi interni moderni omaggiano il maestro dell’architettura veneziana Carlo Scarpa, i colori rimandano a un ospite illustre, Claude Monet, che qui dipinse alcuni dei suoi capolavori. E la liaison artistica oggi continua con il 46enne Olivier Masmonteil, pittore francese di casa al St. Regis (che proprio qui ha realizzato il quadro esposto nel Gran Salone). Perché Venezia, culla dell’arte antica e moderna, sa rinnovare il suo richiamo nonostante la sua fragile bellezza. E i viaggiatori consapevoli, già iniziati ai suoi tesori ma desiderosi di coglierne l’attuale e pulsante vita culturale, lo sanno. Ne è un esempio l’esposizione Domus Grimani 1594-2019, con cui la fondazione Venetian Heritage Onlus in collaborazione con il Polo Museale del Veneto ha riportato una straordinaria collezione di sculture greche e romane nella loro originaria collocazione, la tribuna di Palazzo Grimani. «Grazie alle donazioni, tra cui quella del The Gritti Palace, stiamo anche restaurando lo scalone rinascimentale della Scuola di San Giovanni Evangelista, nonché il magnifico crocifisso settecentesco della chiesa di San Moisè, finito sott’acqua, ed entro settembre riapriremo la seconda ala delle Gallerie dell’Accademia», spiega il direttore di Venetian Heritage Toto Bergamo Rossi.
Un altro luogo splendido, ma pesantemente danneggiato dalla mareggiata, è la biblioteca al piano terra del Conservatorio Benedetto Marcello, che attualmente sta restaurando i volumi intaccati dalla salsedine (per contribuire, IBAN: IT16F03069021161 00000004179). Fortunatamente altri libri si sono salvati: per esempio quelli della libreria “Bruno”, destinazione veneziana di riferimento per le pubblicazioni artistiche, indipendenti e underground; o quelli dell’antica libreria “La Toletta”, spesso introvabili altrove. Ancora carta, ma lavorata in ogni sua forma, da “Cartavenezia” – piccolo negozio/
galleria/workshop dell’artista Fernando Masone alla Giudecca – oppure nella pittoresca “Tipografia Basso” a Cannaregio, dove Gianni Basso, chiamato dai suoi clienti (tra cui Tony Blair) il “Gutenberg di Venezia”, utilizza una macchina del Settecento. Sono fogli, ma d’oro, anche quelli che “Mario Berta Battiloro” realizza con strumenti del XVI secolo per adornare i mosaici, tradizione lagunare “salvata” dalla “Fornace Orsoni” a Cannaregio, l’ultima rimasta a Venezia, capace di produrre tessere smaltate con gli stessi metodi dal 1888, e in più di 3500 tonalità custodite nel sancta sanctorum dell’azienda, ovvero la Biblioteca del Colore. Il luminoso tripudio cromatico, tipico dell’arte veneta fin dal XV secolo, si riflette anche nei ricchi tessuti prodotti da “Luigi Bevilacqua” su telai del Settecento, o su quelli decorati nell’atelier/museo delle “Sorelle Minelli”, che creano pezzi tailor made con disegni originali. D’altronde, che qui l’artigianato diventi arte non è mistero. Anzi, proprio l’intrecciarsi e il sovrapporsi tra le due discipline risulta essere una delle specifiche della città, prima ancora che della Penisola. Salvare Venezia significa anche questo: custodirne l’identità preservando gli “indirizzi” del suo dna. Ma per garantire un’esperienza turistica di livello, occorreranno anche altre soluzioni coraggiose, non ultima l’introduzione di un tetto massimo al numero di visitatori in crescita esponenziale._