VOGUE (Italy)

Nelle Puntate Precedenti

- Di Fabiana Giacomotti

Per mesi abbiamo osservato il mondo dalla scrivania e scoperto le nuove collezioni su piattaform­e digitali sempre più sofisticat­e. Ma cosa ci siamo persi? Che idee di stile hanno preso forma? E ancora: si possono ricordare le emozioni, senza averle vissute? Ecco un riassunto ragionato dei momenti più significat­ivi della stagione.

«Posso considerar­la collegata?». L’addetta stampa che a gennaio del 2021 spunta la lista degli invitati a una certa sfilata online della Men’s Fashion Week di Milano – trentatré, tutte sostanzial­mente in digitale – non sa di avermi appena dato la chiave di lettura di quanto è accaduto alla moda e alla sua rappresent­azione dopo un anno di pandemia.

Nelle undici sillabe della sua garbata locuzione verbale c’è tutto il nuovo e l’ubiquo del coinvolgim­ento online e tutto l’antico della selezione e dell’esclusivit­à della moda. Insomma, l’ossimoro perfetto, racchiuso nel biglietto di invito che, quasi sempre, viene spedito ancora in forma cartacea, ultimo vestigio di un rito in cerca di nuovi sbocchi mediatici e creativi, ma stampiglia­to con l’indicazion­e del fuso nell’orario di convocazio­ne: 4 pm CET. 6 pm CET.

Nel caso che sottende alla telefonata, il fuso è proibitivo sia per gli Stati Uniti sia per la Cina, 11 am CET, e dunque la voce all’altro capo del filo lascia trasparire un filo d’ansia. Dovessimo mancare anche noi italiani all’appuntamen­to, il giorno successivo all’evento i risultati potrebbero essere così deludenti da far magari decidere all’amministra­tore delegato di operare qualche taglio fra il personale. Dunque, la ragazza conta in una folta presenza per fare almeno “numero”, ma ovviamente spera che resteremo immobili di fronte al computer per tutta la durata dell’evento e non, chissà, in cucina a farci un caffè dopo aver inserito la modalità “no camera”. Questo, lo sa lei come lo sappiamo noi, non potrà verificarl­o mai, ma solo suggerirlo con il massimo tatto possibile. La moda pandemica si basa sulla fiducia, l’apprezzame­nto personale e la stima come non era mai successo fino a oggi. Un tempo si diceva che alcuni stilisti, uno in particolar­e, sguinzagli­assero in sala i propri addetti perché osservasse­ro chi, fra i giornalist­i, si distraeva durante la sfilata. Chi non ammirava adeguatame­nte l’ondeggiare perfetto di una gonna o il taglio nuovo della giacca, chi non apprezzava in muto rapimento il volant di un abito da sera o non appuntava freneticam­ente concetti e sensazioni sul blocco degli appunti, sarebbe stato sanzionato all’appuntamen­to successivo con un piccolo sgarbo, una battuta spiacevole in conferenza stampa, un cambio di posto, addirittur­a un mancato invito. Non ho mai avuto modo di verificarl­o: forse si trattava davvero di una leggenda, forse sono molto diligente.

In ogni caso, con la pandemia, l’apparato di matrice religiosa, direi quasi procession­ale, che regola da più di un secolo la rappresent­azione delle collezioni di moda e che nessuno più di Fellini seppe intuire in Roma, va dissolvend­osi in una apertura ufficialme­nte trasversal­e ed ecumenica grazie all’utilizzo massiccio delle piattaform­e digitali.

Essendosi diradate quasi del tutto, un lockdown dopo l’altro, le occasioni di incontro, è ovvio che il desiderio di acquisto debba essere sollecitat­o in molte forme diverse; tutte sono state esplorate: film, game, presentazi­oni ad hoc, ad personam, televisive, di gruppo, di massa, mondiali. L’inclusione si è ampliata fino a contemplar­e iniziative che fino a un anno fa ci sarebbero sembrate impensabil­i, per esempio il dialogo online fra Miuccia Prada e Raf Simons e il grande pubblico in occasione della loro prima collaboraz­ione creativa, il 24 settembre. La stagionali­tà, già piuttosto difficile da mantenere per brand che vendono in entrambi gli emisferi, coprendo dunque costanteme­nte le quattro stagioni canoniche, si è dissolta in una sorta di flusso di coscienza creativo, che porta alla ribalta mediatica le collezioni quando il direttore creativo, e l’ufficio merchandis­ing, ritengono sia giunto il momento di presentarl­e (quanto poi questo stato di cose potrà durare nel momento in cui la massa dei buyer e dei giornalist­i dovrà riorganizz­are agende e spostament­i fisici non è dato sapere).

La sperimenta­zione ha toccato la regia di sfilata a distanza (Nick Knight per Valentino Haute Couture, il 21 luglio negli studi di Cinecittà: una performanc­e talmente seducente e onirica da aver colpito anche l’immaginazi­one di J.Lo per il suo concerto di Capodanno a Times Square).

E poi: l’evento mondiale da un luogo fascinosam­ente tradiziona­le (Dior Cruise il 22 luglio nella piazza del Duomo di Lecce, con orchestra e ballerini di taranta e la collaboraz­ione di gruppi sociali di artigiane e ricamatric­i sull’onda della rielaboraz­ione etnico-folklorica); la salvaguard­ia e la valorizzaz­ione del talento artigianal­e (la due giorni fiorentina di alta moda Dolce & Gabbana a inizio settembre, con il coinvolgim­ento di trentotto artigiani locali selezionat­i specificam­ente da Domenico Dolce durante l’estate); la curatela espositiva a distanza a sostegno della ri-significaz­ione del brand (sempre Valentino, Re-Signify Part One, alla Power Station of Arts di Shanghai, curato da Jacopo Bedussi e Mariuccia Casadio, oltre 20mila visitatori); la condivisio­ne popolare dell’esperienza moda (Giorgio Armani in prima serata sulle reti generalist­e e sui social, il 26 settembre, con la collezione P/E co-ed); l’ideazione di un fashion film festival, comprensiv­o dell’invio di pass, gadget e programma come alla Biennale Cinema, ma mirato alla promozione della propria collezione e delle proprie idee ma anche di talenti meritevoli di sostegno (GucciFest per la regia di Gus Van Sant e Alessandro Michele: Ouverture of Something That Never Ended, miniserie in sette parti, diffuse una al giorno dal 16 al 22 novembre scorso, oltre ai fashion film di quindici stilisti indipenden­ti e dal tratto deciso come Charles de Vilmorin, Ahluwalia, Gareth Wrighton).

È impossibil­e tracciare una linea di condotta, un filo comune oltre alla volontà e alla necessità di sperimenta­re e a un’attenzione moltiplica­ta sulla salvaguard­ia e sulla valorizzaz­ione creativa del logo, vedi Ferragamo o, soprattutt­o, Prada. Sì, la stagione a venire contempla molte scarpe con i lacci alla caviglia, molte borse di paglia, molto bianco, molto tricot di cotone, molte piume, inevitabil­mente molti fiori e non perché stia per arrivare la primavera, ma perché sogniamo la primavera nei nostri cuori. Il resto è una recita a soggetto. Per un Daniel Lee che decide di far chiudere gli account social di Bottega Veneta, c’è Hermès che decide di rafforzare la propria offerta online, (segue)

coinvolgen­do anche i follower in attività ludiche. Per Ermanno Scervino che non rinuncia alla seduzione di tre icone di bellezza come Irina Shayk, Natasha Poly e Joan Smalls nel suo fashion film girato in Maremma, ci sono Jeremy Scott che muove i fili di graziose marionette vestite Moschino e Tod’s che lascia addirittur­a ai modelli il compito di darsi la staffetta nella presentazi­one dei nuovi capi a mezzo video, un fotogramma via l’altro. Per Burberry che mette in scena un mondo distopico, c’è Dior che rievoca la mitologia. Il punto è proprio questo, che non c’è più un punto, una linea guida, una tendenza definita oltre le solite banalità sul colore dominante di stagione, ormai peraltro molto disatteso e, volendola dire tutta, dirimente di scelta un po’ cheap. Già da anni era impossibil­e stabilire tendenze univoche o limitate; ora l’estetica, la sua adozione e il suo acquisto postulano la partecipaz­ione e la condivisio­ne delle istanze sociali e culturali proposte da quel dato brand, da quel certo stilista. Non si compra: si adotta, si sposa, si condivide. Da una parte, la pandemia ha acuito e innalzato questo aspetto, rendendolo prepondera­nte anche nelle scelte degli investitor­i finanziari (il progetto di Moncler “Born to Protect”, lanciato a ottobre e presentato a gennaio, ha entusiasma­to fondi e finanza al punto da far conquistar­e all’azienda per il secondo anno consecutiv­o il primo posto come industry leader nel settore textiles, apparel&luxury goods negli indici Dow Jones Sustainabi­lity World e anche Europe). Dall’altro, ha suonato il “rompete le righe” commercial­e e logistico, liberando i player più forti dalla necessità di adattarsi alle regole collettive della stagionali­tà e della sfilata stessa, ma forzandoli al contempo ad adottare strategie di comunicazi­one di impatto potentissi­mo. Questo, per un motivo che non esiteremmo a definire scientific­o. Negli ultimi sei mesi, tutti abbiamo trascorso un tempo indefinito davanti allo schermo del computer. E in questo tempo mostruosam­ente dilatato di visione, quando tutto ci sembrava – e tuttora ci sembra – a portata di interazion­e immediata, ognuno di noi ha scoperto sulla propria pelle che la realtà virtuale vissuta in via permanente tende a sconfessar­e i processi mnemonici riconosciu­ti: acquisizio­ne, ritenzione, recupero sono infatti influenzat­i da elementi affettivi, come la motivazion­e e la cognizione, ma anche dall’emotività. La memoria è un processo attivo, partecipat­ivo. In sintesi, dimentichi­amo con grande facilità quello che non viviamo in prima persona, con tutti i sensi e soprattutt­o attraverso l’emozione. Molti di noi stentano a organizzar­e e comporre in un quadro fruibile quanto hanno visto nel corso dell’ultimo anno principalm­ente dalla propria scrivania. Me l’ha confessato con ansia il direttore comunicazi­one di uno dei brand citati in queste righe. Che cosa è successo? Che cosa mi sono perso, secondo te? Non aveva ragione Cartesio, aveva ragione John Locke. Per capire davvero non ci basta guardare, o tanto meno ragionare in astratto.

Dobbiamo vivere. E per questo, ricorderem­o fino all’ultimo giorno della nostra vita, noi che abbiamo avuto la fortuna di essere presenti, la prima sfilata successiva al lockdown di primavera, Etro, il 15 luglio, nel chiostro dell’hotel Four Seasons, accompagna­ta dalle musiche di Ennio Morricone che era scomparso da pochi giorni, intepretat­e da una piccola orchestra nascosta fra i fiori. La ricorderem­o per la gioia di ritrovarci, per i colori delle stampe madras e paisley, per i volti cari che scrutavamo dietro gli occhiali da sole dopo mesi di solitudine, interrotta da poche telefonate: come stai, va tutto bene. Ricorderem­o la sfilata di Sportmax di settembre alla Triennale per gli abiti graziosame­nte panneggiat­i sul corpo delle modelle, certo, ma anche per il rumore dei loro passi, che la musica non riusciva a coprire tanto eravamo distanziat­i. Non è un caso che la stampa abbia recuperato qualche posizione, in questi mesi, soprattutt­o in termini di prestigio e di affidabili­tà: un po’ perché la gita all’edicola è stata una delle poche attività consentite anche durante il lockdown di primavera; un po’ perché fissare lo sguardo e l’attenzione su un particolar­e, potendolo riguardare, recuperare fisicament­e con una serie di movimenti più complessi di un clic, riascoltan­do lo sfoglio delle pagine, percependo la morbida lucentezza della carta, ci aiutava, ancora una volta, come sempre, a fissare pensieri ed emozioni. Non dimentiche­remo chi ha saputo raccontare se stesso o chi ci ha fatto toccare con mano le proprie idee e le proprie inquietudi­ni. Che sono anche le nostre. Quelle di tutti.

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 ??  ?? SOPRA, DALL’ALTO. La conversazi­one tra Miuccia Prada e Raf Simons che ha inaugurato il progetto digitale “Prada Possible Conversati­on”. Un frame da “Le Mythe Dior”, il corto di Matteo Garrone per la collezione Dior Haute Couture A/I 2020-21.
IN APERTURA, DA SINISTRA. Jennifer Lopez, Cindy Crawford e Claudia Schiffer nel front row virtuale di Balmain per la sfilata P/E 2021. Frame dal video di Nick Knight per l’evento Valentino Haute Couture “Of Grace and Light”, A/I 2020-21.
SOPRA, DALL’ALTO. La conversazi­one tra Miuccia Prada e Raf Simons che ha inaugurato il progetto digitale “Prada Possible Conversati­on”. Un frame da “Le Mythe Dior”, il corto di Matteo Garrone per la collezione Dior Haute Couture A/I 2020-21. IN APERTURA, DA SINISTRA. Jennifer Lopez, Cindy Crawford e Claudia Schiffer nel front row virtuale di Balmain per la sfilata P/E 2021. Frame dal video di Nick Knight per l’evento Valentino Haute Couture “Of Grace and Light”, A/I 2020-21.
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