Made In Africa
Da sempre fonte di ispirazione per la cultura occidentale, che si è spesso appropriata della sua visione, il grande continente ha imparato a far sentire la propria voce, grazie a brand e stylist, a fashion week e piattaforme e-commerce.
La moda africana ha catturato negli ultimi tempi un’attenzione non comparabile al passato. Sarebbe facile chiedersi allora: la moda africana è di moda? Non questa volta; la questione è più complessa di così. Infatti, se l’Africa con le sue suggestioni ha da sempre esercitato un’influenza sulle collezioni prodotte nei Paesi occidentali, non si può trascurare che questo accadeva all’ombra del fenomeno noto come “appropriazionismo”. Negli ultimi tempi si va definendo invece una più variegata geografia creativa del settore che ha acceso i riflettori su quel che accade in quartieri lontani da noi: grazie anche al moltiplicarsi delle fashion week da Lagos a Cape Town, a talenti emergenti come Thebe Magugu – primo designer africano a vincere il LVMH Prize – e al contributo dei social media, che democratizzano la moda e accorciano le distanze.
Che il digitale sia il miglior alleato della moda africana è convinta Nisha Kanabar, tanzaniana di origini indiane, che nel 2018 ha lanciato la piattaforma e-commerce Industrie Africa. «La rapida digitalizzazione ha funzionato da catalizzatore per accrescere la collaborazione pan-africana ed è cruciale per sbloccare infrastrutture sofisticate sul territorio – dal retail alla manifattura, ai media –, oltre a connettere i mercati regionali con il resto del mondo». In un quadro simile anche i limiti strutturali possono essere scavalcati fino a diventare opportunità e Kanabar, in team con Georgia Bobley, ha messo in piedi un portale che nel rappresentare la diversità della moda africana (sfidando gli stereotipi) tiene assieme standard estetici internazionali e autenticità del contesto culturale.
Su questo crinale si muovono oggi gli influencer. Come Afua Rida – stylist, content creator e fashion consultant di Accra – che, di ritorno dal Canada, ha aperto nel 2015 il suo blog Styled by Rida per dare voce ai creativi ghanesi. «Fino a qualche anno fa la stessa nozione di stylist qui era sconosciuta. Il mio ruolo non è stato immediatamente capito, ma lavorando a fianco dei brand le cose hanno cominciato a cambiare», racconta. Nel giro di poco tempo la situazione è evoluta e attraverso il continente sono diverse le figure assimilabili alla sua. Content creator come Temi Otedola
e Dénola Grey, Onyii Bekeh, Asiyami Gold, Joy Kendi e Amoafoa hanno in comune una cosa: raccontano storie di talenti locali in un rapporto di supporto reciproco. «Per molto tempo cosa fosse giusto o sbagliato, brutto o bello, ci veniva imposto dall’esterno», prosegue Rida. «Penso che l’orgoglio africano si sia risvegliato: finalmente l’Africa è cool».
Ma se la reperibilità di marchi made in Africa è ancora molto bassa nelle più importanti boutique internazionali, è grazie alle piattaforme online che questo continente ha fatto il suo ingresso nella scena globale. Realtà come Oxosi, Onchek o Kisua – che ha avuto Beyoncé per testimonial – hanno contribuito a
cambiare la percezione della moda africana nel mondo, assieme nondimeno a fenomeni di costume come il film Black Panther, spianando la strada alle future generazioni di designer. D’altra parte, il settore tessile rappresenta un acceleratore di crescita economica per l’Africa, che può fare leva sulla forte identità e una creatività ancora tutta da esplorare. Per questo la stessa Banca africana di sviluppo ha lanciato nel 2015 il piano Fashionomics, con lo scopo di potenziare la filiera. Una buona notizia è che l’ecosistema locale sta traendo giovamento dalla nascita di boutique e concept store di alto profilo, come Alara e Temple Muse a Lagos, o Merchants on Long a Cape Town, vere e proprie “shopping destination”.
Secondo Kenneth Ize, fashion designer di origini nigeriane, le cui collezioni sono state selezionate tra l’altro dall’iconico Browns a Londra, il successo della moda africana non significa che lo storico cliente di Browns ne comprerà i brand, piuttosto che finalmente si sta creando un’offerta di moda di alta qualità per un segmento di consumatori a lungo ignorato: i figli della diaspora africana. Ize, nonostante sia cresciuto a Vienna, è tornato a Lagos per presentare il proprio marchio ed è lì che ora produce. «Lavorare in questo posto ha rafforzato la mia visione come designer. Niente è facile, i normali spostamenti che in Italia richiederebbero un’ora diventano di dieci, c’è un problema di energia elettrica. Ma proprio per questo quello che produciamo ha un valore ed è un messaggio politico». E se la voce africana nella narrativa globale ha cominciato adesso a farsi sentire, il più importante contributo è proprio sul tema della sostenibilità (il sistema di produzione in Africa è sostenibile per necessità). L’idea è che con la moda si possa produrre un cambiamento: e fare qualcosa che significhi qualcosa. «C’è questo sentimento», dice Ize citando Bobi Wine, il rapper candidatosi a parlamentare e quindi a presidente dell’Uganda, «che anche se sembra inaudito lo puoi fare». Una lezione non da poco per un Occidente che pare aver smarrito la capacità di produrre significato.