Andavamo In Discoteca
C’era una volta, non tanto tempo fa, un luogo che condensava il divertimento, la spensieratezza, la seduzione. Ora che siamo in stand-by, la sua estetica chiama, più forte che mai. E gli artisti rispondono.
È stata una frontiera dell’immaginario. Un luogo cruciale d’incontro, di cui oggi non conosciamo il destino.
Dopo avere liberato il linguaggio del corpo e l’espressione di sé, ispirato decenni di nuove sonorità, movenze e mode, la discoteca appare oggi un’istituzione penalizzata da regole, restrizioni e divieti. E seppure temporanea, la sospensione anti-Covid in corso della sua attività, che ha precipitato le nostre notti nel silenzio e nel più cupo grigiore, non ha mancato di generare forme
diverse e dichiarate di nostalgia.
Ricordi, rimandi e ideali estetiche reificazioni di ritmi e di look nel contesto di collezioni di moda e film d’artista, che hanno il valore
di epocali manifesti. Evocazioni del passato che si proiettano nel futuro, intrecciando storia e vissuto personale, citazioni e invenzioni narrative.
Il modello datato 1955 di un cappotto maculato in tessuto chiné,
disegnato da Christian Dior per la sua musa Mitzah Bricard, ha costituito, per esempio, un punto di partenza della collezione Dior A/I 2020-21 di Maria Grazia Chiuri, che l’ha rivisitato pensando agli anni Ottanta e alle iconografie pop
di Fiorucci e Warhol. Non senza affidare a Maripol, stylist di Madonna Like a Virgin e sacerdotessa delle notti newyorkesi, il concept
di una presentazione video della collezione, realizzata con immagini Polaroid create ad hoc e montate su ritmi disco.
D’altra parte, anche le robotiche creature di Boston Dynamics sono state recentemente postate su YouTube mentre danzano sulle note
di un celebre brano di The Contours
dei primi anni Sessanta.
Quel «Do you love me? (I can really move). Do you love me? (I am in the groove). Do you love me? (Now I can dance)», che pare riferito al loro sofisticato livello tecnologico, ma non manca di risvegliare anche in noi umani, sempre più immobilizzati e stanziali, una comprensibile voglia di movimento.
L’artista Jacopo Miliani, dal canto suo, sta invece lavorando a sceneggiatura e regia di un film che, intitolato La discoteca, verrà presentato al pubblico il prossimo autunno nel contesto del Gender Bender Festival di Bologna. Lo ha ambientato in un sistema futuro che promulga il distacco dalle emozioni, il non coinvolgimento interpersonale, il divieto di sudare o di arrossire.
Ogni ricordo musicale va mentalmente controllato e velocemente rimosso, pena la trasformazione in un fiore, una rosa recisa, posta a bagno in un vaso fino alla morte. Dal canto suo, la discoteca appare convertita in uno spazio per rituali organizzati di coppia, ordinati e
distaccati momenti di danza finalizzata alla procreazione.
Vincitore dell’ottava edizione
di Italian Council, programma di sostegno e promozione internazionale dell’arte contemporanea italiana del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, questo primo progetto filmico di Jacopo Miliani è stato promosso dall’associazione culturale bolognese Nosadella.due, a cura di Elisa Del Prete e Silvia Litardi del direttivo curatoriale NOS Visual Arts Production in collaborazione con APS Arcigay Il Cassero/Gender Bender Festival, Bottega Bologna, If I Can’t Dance, I Don’t Want to Be Part of Your Revolution, Run
by a Group/Openspace. Il film La discoteca entrerà a far parte della collezione museale del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci
di Prato, che inoltre all’opera di
Miliani dedicherà una mostra personale.
E mentre l’autore e organizzatore di mostre Luca Locati Luciani sta arricchendo di documenti, poster, locandine e gadget un personale archivio dedicato alle notti LGBT+ in discoteca dagli anni Settanta a oggi, non è difficile rendersi conto di come e quanto essa abbia rappresentato una delle risorse più irrinunciabili della cultura giovanile. Impressa a fuoco nelle esperienze di tutti, la sua storia non si cancella, né, verosimilmente, appare destinata all’estinzione.