Dare L’Anima
Il loro lavoro è far prendere vita alle creazioni dei designer. E allora chi meglio di Sophia Neophitou, una delle stylist più rilevanti della sua generazione, per ragionare sulle nuove vie della creatività?
Aveva 27 anni quando ha deciso di lasciare un lavoro stabile presso uno studio di architettura per seguire la carriera di stylist. «Mia madre era inorridita», ricorda Sophia Neophitou. «Mi ha detto: “Che cosa? Vuoi diventare una specie di parrucchiera?”. Non c’era speranza che capisse. A quei tempi potevi essere una fashion editor, una designer o una fotografa, perché questi erano lavori che godevano di un riconoscimento ufficiale, ma nessuno aveva la minima idea di cosa fosse una stylist».
Questo accadeva poco più di 25 anni fa. Da allora, la figura di “stylist” è passata dall’indeterminatezza allo status di professione avidamente ambita. Nel frattempo, la carriera di Neophitou è decollata. Dopo lo styling di interni per l’edizione britannica di Elle Decoration e il lavoro come assistente presso British Vogue, eccola stylist e creative director per Antonio Berardi, quindi ancora stylist delle sfilate di Victoria’s Secret ai tempi in cui queste andavano in onda in prima serata in uno scintillio di alucce tempestate di paillettes. Cosa ancora più importante, però, ha fondato una rivista, 10 Magazine, della quale ha celebrato il ventesimo anniversario lo scorso febbraio, a Londra, con un party gremito di designer. Poi è arrivato il Covid-19, che l’ha colpita in modo particolarmente serio, tanto che tutt’ora si sta sottoponendo a una terapia di riabilitazione. Durante la convalescenza, però, è tornata al lavoro che ama da sempre, fin da quando nessuno sapeva cosa fosse, affrontandolo da una nuova prospettiva. Con lei abbiamo parlato del tema di questo numero: dove vive la moda, nella prospettiva di chi, per mestiere, toglie gli abiti dalle grucce e li fa indossare.
Come spiegherebbe, oggi, quello che sua madre allora non capiva? In cosa consiste il lavoro di fashion stylist? Il suo ruolo tradizionale è quello di individuare e quindi studiare un aspetto, una tendenza o il punto focale di un’intera stagione o della collezione di un singolo designer, per poi “restituirla” in chiave personale. Si tratta di creare il contesto per una reazione emozionale alle immagini. Spesso quelle melodie, quei temi e quelle tendenze sono simili o sono già stati esplorati, ma ognuno li reinterpreta con una voce diversa. E quella voce è il frutto del talento creativo della stylist. Il suo lavoro consiste nell’affascinare il pubblico attraverso la propria visione dell’immagine, e la misura del suo successo è data dalla longevità di quell’immagine.
Le caratteristiche del suo lavoro sono cambiate nel corso del tempo?
Assolutamente sì, è una professione in perenne evoluzione. Il modo in cui lavorano Grace Coddington o Tonne Goodman è diverso da quello della mia generazione, così come il mio è diverso da quello degli stylist più giovani di me. A mio avviso, ciò che abbiamo tutti in comune è la tendenza ad archiviare nella nostra testa una massa di riferimenti visivi: questo è il materiale grezzo che ci consente di dare forma alla nostra visione. Non bisogna smettere di lasciarsi influenzare. Mai tenere gli occhi chiusi.
Qual è il nemico di uno styling ben riuscito?
Per quanto mi riguarda, è l’affidarsi troppo alla nostalgia. Può essere molto seducente ed è qualcosa cui tendiamo ad aggrapparci, ma soffoca l’inventiva e l’originalità. I nostri punti di riferimento devono rimanere esattamente quello che sono, punti di riferimento e nient’altro. Fare qualcosa che è già stato fatto prima senza alcun intervento creativo significa solo sprecare energie. Quale ritiene che sia la prossima frontiera dello styling?
Senza dubbio l’immagine in movimento: creare dei film che riflettano il nostro mondo e siano in sintonia con il pubblico, che non siano dei semplici video di backstage o dei banali servizi. Il più grande cambiamento cui ho assistito nel corso dell’ultimo anno è che ora il nostro team di 10 Magazine viene contattato per curare non solo immagini ma anche produzioni video che rappresentano altrettante finestre aperte sul lavoro dei designer e dei loro brand. La nostra profonda competenza come image maker e magazine maker ci ha trasformati in agenzie creative che operano lungo questa nuova frontiera. Prendiamo TikTok: postare un fantastico fashion video a elevato contenuto creativo fa necessariamente vendere i prodotti mostrati nelle immagini? Niente affatto. Ciò che fa è creare una connessione fra quel vasto pubblico di giovani entusiasti e il punto di vista dei designer. Questa area di intersezione, come altre analoghe, costituisce lo spazio in cui lo styling potrà rivelarsi particolarmente efficace nel 2021 e più avanti. Ma se restiamo legati alla nostalgia e ci rifiutiamo di guardare il mondo da una nuova prospettiva, allora non faremo mai progressi. Se invece non avremo paura di sottoporre il nostro lavoro a questo nuovo pubblico – e questo pubblico è la risposta alla domanda “Dove vive la moda?” –, allora potremo mostrargli come entrare in contatto con la moda e come conoscere il nostro mondo. E, secondo me, finiremo per scoprire che la nuova generazione, immersa com’è in un universo di digitale immaterialità, ha una gran fame di cose concrete. Per me, la risposta alla domanda “Dove vive la moda?” è ancora oggi quella che è sempre stata: nella mente della generazione che vede la moda come qualcosa di interamente nuovo e tutto da scoprire. Il lavoro della stylist è quello di creare dei segnali stradali lungo questo percorso di scoperta. E se si ama la moda come la amo io, be’… allora è il lavoro più bello del mondo.