Un Abbraccio
È ciò che, secondo Alber Elbaz, vogliono le donne: ora più che mai, anche da un abito. Per questo, dopo cinque anni di assenza, è tornato. Con un progetto che promette emozioni tecnologiche.
Alber Elbaz ha lasciato Lanvin cinque anni fa, che in termini moda sono lunghi quanto mezzo secolo. Uno dei designer più amati e rispettati, famoso per i suoi abiti eterei e fluidi, si era disamorato del sistema, in cui, diceva, l’imperativo marketing e l’eccesso di collezioni avevano preso il sopravvento a scapito della creatività. Eccolo oggi di ritorno sulla scena, a proporre un nuovo concetto con il proprio marchio AZ Factory. La collezione d’esordio è suddivisa in tre capitoli, il primo dei quali, “MyBody”, è fatto di vestiti dalle linee semplici ma in un tessuto brevettato – l’Anatoknit, – che dà risalto a tutte le morfologie. Il secondo, “Switchwear”, punta su due capi essenziali – giacca e gonna – abbinati a leggings e magliette tech per trasformare il look da giorno a sera. Il terzo, infine, è dedicato a un nuovo materiale, il broccato di nylon, qui declinato in una semplice tunica, ma che in futuro potrebbe essere utilizzato per abiti couture. Un insieme volutamente conciso, che Elbaz qui racconta, parlando della (sua) moda che verrà.
Bentornato Alber, ci è mancato. Anche voi mi siete mancati. Ma in fondo non sono mai partito! Semplicemente, non ero più innamorato della moda. Ma la passione per la sua industria, quella è rimasta intatta. Volevo staccare, e far scoccare nuovamente la scintilla.
Il primo amore non si scorda mai?
Esatto, mi sono separato senza divorziare. Avevo bisogno di riflettere, di sognare, di guardare al passato per capire il presente e immaginare il futuro: la moda è arrivata a un bivio? Ha ancora un senso proporla oggi con la mentalità di ieri? Quale sarà la svolta?
Ha trovato le risposte?
Faccio una parentesi: da piccolo mia madre mi diceva sempre: «Alber, be big and small», pensa in grande ma resta sempre umile. È il mio mantra, quindi non posso dire che ho le risposte, ma delle intuizioni.
Quali?
Pensare Life, non Lifestyle! Quest’anno di pandemia è come un momento di detox, per capire cosa va cambiato. A partire dal sistema: troppo merchandising e troppa offerta, troppe, troppe collezioni. I capi arrivano in boutique il mese di giugno, e a luglio sono già in svendita, è diventato il business dei saldi. Oppure, ti propongono un bikini il mese di gennaio: ma io non conosco donne che vanno a provare dei costumi da bagno in inverno! Detto questo, abbiamo bisogno di moda, ne abbiamo bisogno come una medicina senza controindicazioni che ti fa star bene.
Qual è la sua medicina?
Dicono che dopo le grandi crisi arrivano i periodi di grande ricchezza e creatività. Per esempio, dopo la terribile epidemia d’influenza spagnola entrammo nelle années folles. Penso che stiamo per entrare nell’epoca delle années smart, dove moda e tecnologia andranno a braccetto. Lo vedo come yin e yang: intuito & emozione uniti con algoritmi & data. Lo chiamo “solution driven fashion”.
Queste soluzioni sono pensate per le donne?
Le donne stanno cambiando: il corpo, lo stile di vita, i desideri, lo stare al mondo. La tecnologia le porta a consumare diversamente e persino a socializzare in modo nuovo. Mangiano e vestono come non facevano ieri, portano sneakers invece di tacchi a spillo. Dunque come proporre abiti in sintonia con il presente senza far tabula rasa della tradizione? Penso spesso alla cucina, in particolare italiana e francese, che adoro: mica buttiamo via le ricette del passato, le adattiamo piuttosto, meno olio e meno burro. La brioche di Maria Antonietta oggi sarebbe senza glutine. (risata)
Cosa vogliono oggi le donne?
In una parola: a hug. Un abbraccio. Vestiti che ti abbracciano. Ne abbiamo così bisogno!
Cosa significa concretamente? Una linea di abiti in engineered knitwear, l’Anatoknit, un nuovo materiale che fascia come una guaina senza costringere. Tessuto seguendo l’anatomia del corpo, la sua maglia è a seconda dei punti stretta o larga per sostenere, contenere, lasciar respirare. Tutte le donne lamentano un problema di peso, perché la società ci condiziona a pensare che qualche chilo di troppo sia sbagliato. Ma questa è un’idea del passato, ormai démodé: tutte le morfologie sono belle! L’importante è essere in buona salute. Quindi ho creato “MyBody”, una collezione di abiti che sposano tutte le forme, disponibili in tutte le taglie, dalla XXS alla XXXXL, a un prezzo abbordabile.
E gli altri due capitoli della collezione?
Ho fatto un’eccezione per celebrare il lancio di AZ Factory, ma in futuro presenterò un progetto alla volta, una storia alla volta. Soprattutto non pensi che questa sia una collezione capsule, già il nome mi mette in agitazione, io che sono ipocondriaco penso subito agli antibiotici (risata). Sono delle storie.
Ce le racconta?
Restando in tema tecnologico, ho lavorato con dei laboratori tessili per creare dei tessuti in microfibra di nylon con delle trame broccate che utilizzo per fare dei capi supertech e superchic. Poi c’è lo “Switchwear” che racconta come passare dal leisurewear all’abito da sera con la semplice aggiunta di un capo. Per esempio, una gonna a corolla in duchesse riciclato che infili sul top e leggings oppure una giacca tailored. Inoltre, ho chiesto a degli artisti di disegnare uno stampato per dei pigiami, in questo momento molto utili in casa, ma che si possono indossare per uscire. E niente tacchi a spillo.
No. Secondo me dopo aver assaporato la gioia e il comfort delle sneakers chi vuole tornare ai tacchi alti? Però molte donne mi hanno detto che la punta troppo rotonda non è abbastanza elegante, così ho disegnato una sneaker che davanti ha la forma di una décolleté e allunga la silhouette.
Questi capi sono disponibili online?
Sì, su Net-A-Porter e Farfetch. Più tardi arriveranno anche in qualche boutique: diciamolo, ci manca il piacere di entrare in un negozio e provare un abito, no?
Pensa che abbiamo imparato qualcosa in quest’anno di pandemia e non torneremo al solito modo di fare business?
Business non è una parolaccia. Piuttosto, non mi piace la parola business plan! Infatti Johann Rupert (chairman di Richemont, il gruppo che finanzia il marchio di Elbaz, ndr ) non mi ha chiesto “how much”, né un piano di investimenti su cinque anni... Il mio business plan è un albero, che cresce in modo organico ogni giorno, nutrito da un mix di pensieri ed emozioni. Nel mio piccolo continuerò a distillare progetti, uno alla volta, producendo in piccole quantità, semplicemente, senza sprechi. L’importante è che mi senta libero.
Come un giovanotto di 60 anni che crea la sua prima start up.
Per me, l’unico rischio alla mia età è di non prendere rischi...