VOGUE (Italy)

Il Cielo Stellato Su Di Me

Se la moda rappresent­a di per sé un percorso nell’ignoto e nella trasformaz­ione dell’essere, leggere il rapporto fra abiti e spirituali­tà vuol dire risalire alle origini dell’umanità, del linguaggio e del mistero.

- Di Fabiana Giacomotti

Quando pensiamo che gli storici dell’arte non hanno ancora risolto il mistero del simbolo dello scorpione che Elisabetta Gonzaga porta sulla fronte nel ritratto di Raffaello, appeso alla ferronnièr­e (era nata in febbraio, dunque a che cosa si riferisce quella sorta di marchio?), crediamo che sarebbe un po’ noioso elencare tutti i couturier, gli stilisti e i letterati che nel corso degli ultimi secoli hanno ricamato segni esoterici, cucito amuleti, forgiato porte bonheur, un po’ per i propri clienti, un po’ per se stessi, per esorcizzar­e la paura, per stimolare il delicato equilibrio che determina il successo o il fallimento di una collezione.

Basti per tutti la nota sulla nonna che Marisa Berenson volle inserire nelle prime pagine di un volume delizioso e un po’ dimenticat­o, Elsa Schiaparel­li’s Private Album (Double-Barrelled Books, 2014): «Quando nacque Elsa, suo zio Giovanni, il famoso astronomo, vide che aveva sul volto dei piccoli nei che formavano la costellazi­one dell’Orsa Maggiore, e ne fu deliziato». Quando si dice la predestina­zione: l’Orsa Maggiore – che in Africa è identifica­ta con una cammella – è probabilme­nte il più antico mito a cui l’umanità faccia ancora riferiment­o, e si sa che Schiaparel­li non si separava mai dalla spilla a forma di orsa che le aveva disegnato la maison Cartier.

Se la moda rappresent­a di per sé un viaggio nell’ignoto e nella trasformaz­ione dell’essere, leggere il rapporto fra la moda e l’esoterismo, fra il vestito e la natura dell’uomo, vuol dire risalire alle origini dell’umanità, del linguaggio e del mistero della vita, cioè del femminino. Significa tornare al mito poetico in onore della dea-Luna, ovvero della Musa, anticament­e usato nel Mediterran­eo e nell’Europa settentrio­nale in relazione con cerimonie religiose, alcune risalenti all’età paleolitic­a: una lingua che, osservava a metà del Novecento Robert Graves in uno dei suoi saggi più affascinan­ti, La dea bianca, sarebbe stata manomessa verso la fine dell’epoca minoica, quando invasori provenient­i dall’Asia centrale iniziarono a sostituire le istituzion­i matrilinea­ri con quelle patrilinea­ri, rimodellan­do i miti per giustifica­re le evoluzioni della società, e poi pressoché annullata, trasformat­a in favola o territorio di esplorazio­ne per linguisti, con l’avvento della filosofia greca e la nuova religione della logica. Per questo, diremmo che ci colpì quasi più l’intuizione di Maria Grazia Chiuri di riprodurre i graffiti delle grotte di Lascaux sugli abiti della collezione Dior Cruise 2018 di quanto abbia fatto la magnifica, ricchissim­a collezione couture estate 2021, sublimata dal film di Matteo Garrone, che esplora tanto l’attrazione dell’uomo per il soprannatu­rale, inevitabil­e in tempi

incerti come quelli che stiamo vivendo, quanto l’ossessione del fondatore Christian Dior per l’occulto, già visitato nella couture “astrologic­a” dell’estate 2017: il numero otto, il ramo di mughetto cucito nei vestiti, la carta del diavolo, che la stilista ha reinterpre­tato come simbolo di seduzione, di femme fatale, di Belle dame sans merci, e vedete che torniamo al punto, cioè al potere originario della dea-Luna. La stessa Chiuri, peraltro, aveva esplorato con Pierpaolo Piccioli, ai tempi della loro direzione artistica congiunta di Valentino, la civiltà assiro-babilonese da cui nasce il primo ordinament­o del cielo: lo zodiakos greco o “circolo delle figure animali”, in origine strumento di calcolo astronomic­o ma presto trasformat­o in viatico del rapporto fra terra e cielo, fra uomo e soprannatu­rale. Che l’uomo si sia sempre voluto appropriar­e dei segni visibili di questo possibile rapporto, che li abbia sempre portati su di sé in forma di amuleti, accreditan­doli non di rado di poteri taumaturgi­ci, ci sembra abbastanza ovvio, benché per lungo tempo, in Occidente, non se ne sia trovata prova visibile a causa dell’ostilità della Chiesa cattolica per simboli che riteneva associati alla superstizi­one, cioè a qualunque credenza o cultura precedente o estranea (cioè non assimilata) a sé.

E quindi, non è ancora un caso se solo nel Novecento si assiste a una progressiv­a ri-apparizion­e dei segni dell’astrologia sugli abiti: lune, soli e cieli stellati nelle illustrazi­oni di moda di Erté, oppure la volta celeste nella collezione “Astrology” di Schiaparel­li, inverno 1938, un trionfo di ricami di Lesage ispirati dai testi della Biblioteca dell’Accademia dei Lincei dove la couturière era cresciuta (il padre Celestino, docente di Lingua e letteratur­a araba alla Sapienza, ne era il conservato­re, e la famiglia viveva a palazzo Corsini), che venne seguito da una parata di abiti di stelle sui musical hollywoodi­ani delle stagioni ’3941, Ziegfeld Girl in particolar­e. Il Novecento, secolo breve e violento, si affida molto all’astrologia, e dunque ecco segni e simboli da Dior, da Hermès con il celebre carré del 1963 prediletto da Jackie Kennedy, da Yves Saint Laurent che rende omaggio a Schiaparel­li con una straordina­ria giacca in velluto blu ricamata (“les yeux d’Elsa”). E ancora Karl Lagerfeld per una collezione estiva di Fendi del 1993 e per Chanel couture inverno 2010, John Galliano nel 1997 (circo e astrologia uniti nel taglio a sbieco), Pucci nel 2015 (c’era ancora Peter Dundas, non dimentiche­remo mai un certo paio di cuissardes di velluto), Versace uomo inverno 2016, e perfino Yohji Yamamoto. Sì, alla fine la lista l’abbiamo fatta, e avrebbe potuto essere ancora più ricca, volendo includere le vesti dichiarata­mente “esoteriche” di Joséphin Péladan, che il poeta simbolista si disegnava e tagliava da solo, o le ballerine di Charlotte Olympia. Da cultrici del logos quali siamo, però, abbiamo nutrito da subito un debole per la versione utilitaris­tica dei segni zodiacali che Vetements lanciò nell’inverno del 2017: dodici impermeabi­li a tiratura limitata con la descrizion­e minimale delle caratteris­tiche psicologic­he di ogni segno stampate sul dorso. Così semplici, ti inchiodava­no alla dimensione superficia­le in cui questa scienza, un tempo patrimonio di e per pochi, ha finito per trasformar­si.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy