Ma Un Aiuto Non Guasta
Fare affari, acquisire beni e conoscenze in modo autonomo, senza intermediari. A dieci anni di distanza la profezia di Bezos pare avverata. Però, avverte qui un noto esperto del mutevole incrocio tra vendita e consumi, non bisogna esagerare: va bene far da sé, ma senza dimenticare che gli esperti possono aggiungere valore e cura alle nostre scelte. In un celebre passaggio della lettera agli azionisti di Amazon sui risultati del 2011, Jeff Bezos scrisse: «Anche i gatekeepers benintenzionati rallentano l’innovazione». Suonò come una campana a morte per gli intermediari, qualunque fosse il loro campo d’azione. Passati dieci anni, tra Airbnb, Uber, Netflix e gli innumerevoli fronti in cui la Blockchain promuove transazioni e trasferimenti di beni intangibili senza coinvolgimento di terzi, l’innovazione auspicata da Bezos non pare avere più ostacoli. Il distanziamento pandemico avrebbe poi accelerato la disintermediazione, consolidando modelli digitali, e-commerce e comunicazioni virtuali, rimuovendo ogni filtro per la libera circolazione di oggetti, informazione, creatività. È davvero l’alba di un nuovo mondo, come sostengono in molti, o sono estrapolazioni generiche da condizioni particolari, il virus, e proprio la pandemia ha mostrato i limiti del virtuale e dell’assenza di interazioni umane? A questa seconda ipotesi crede Frank V. Cespedes, docente di Business Administration ad Harvard, noto esperto di quel mutevole incrocio tra vendita e consumi, autore del recente Sales Management That Works: How to Sell in a World That Never Stops Changing (Harvard Business Review Press): una luce sul futuro per distinguere il segnale dal rumore di fondo.
Quali potrebbero essere gli effetti a lungo termine delle abitudini affermatesi nell’ultimo anno? E-commerce e transazioni online fanno parte della Rete da trent’anni. Eppure, dopo decenni quasi senza tassazione, l’e-commerce riguardava solo l’11,4% delle vendite in Usa e nel secondo trimestre del 2020, nel momento peggiore del lockdown in molti paesi, ha raggiunto il 16% per poi riscendere al 14% a fine anno. I futurologi tendono ad aumentare l’impatto della tecnologia. Già nel secolo scorso, quando è nata la rete telefonica, in molti avevano predetto la “morte dell’intermediario”. Così come quando è stata creata la rete autostradale, gli esperti annunciarono la scomparsa della vendita al dettaglio. Niente di ciò è avvenuto. È sbagliato vedere il mondo fisico e quello online in termini di aut-aut. Tra il 2009 e il 2018, nonostante Amazon, il numero di librerie indipendenti americane è raddoppiato. Online e offline sono complementari nel comportamento d’acquisto, perché i consumatori cercano informazioni su prodotti e servizi in un vasto range di media, negozi e canali di distribuzione. Molto tornerà come prima della pandemia e gli acquisti omnicanale saranno la norma.
Come sono influenzati i consumatori dalle nuove tecnologie? Dispongono di più scelte e accedono a più fonti d’informazione.
Gli intermediari possono però aggiungere valore curando le scelte e rendendo più semplice il confronto tra prodotti, prezzi e servizi. Leggiamo che l’Intelligenza Artificiale permette di predire le preferenze senza il bisogno di venditori e altri supporti, ma queste affermazioni risentono di un malinteso su come le persone decidano gli acquisti. Perché la maggior parte di questi non è il risultato di preferenze stabili, quanto l’effetto di dati e contingenze (sconti, recensioni dei prodotti eccetera). Per i consumatori, la rivoluzione dell’informazione significa l’aumento delle scelte prese all’ultimo minuto e in prossimità dei punti vendita.
Più che la fine dell’intermediazione, è la nascita di nuove figure d’intermediari?
Sì: nella cosmetica, per esempio, i consumatori non hanno difficoltà a trovare online giudizi e confronti su prezzi o prodotti; ma influencer come Jaclyn Hill, Katie Jane Hughes e Jeffree Star attirano sui pronaging pri canali social centinaia di migliaia di follower: Estée Lauder destina la gran parte del proprio budget per il marketing agli influencer. Gran parte di ciò che chiamiamo “sharing economy” si basa su mediatori tipo Uber e altri che facilitano le ricerche dei clienti.
Vale nel caso dei Bitcoin e della finanza decentralizzata?
Sì perché con i Bitcoin si può trasferire denaro senza intermediari finanziari, ma sui cittadini ricadono i rischi di furto, smarrimento e di altre frodi. Non è una coincidenza che si siano affacciate nuove categorie d’intermediari quali i “portafogli custodial”. Perché una nuova forma di scambio finanziario possa diffondersi, deve contare anche su istituzioni e norme di conformità.
I venditori scompariranno?
No, in questo secolo negli Stati Uniti i venditori sono aumentati e se consideriamo economie come la nostra o quella europea in cui i servizi sono predominanti, molte figure chiamate “associates”, “madirectors”, “partners”, non sono altro che venditori.
A monte della crisi degli intermediari c’è la cultura della comodità, della gratificazione immediata... Gli strumenti per risparmiare lavoro sono i driver della cultura della comodità ed è un trend a lunga scadenza. Questi dispositivi ridisegnano le abitudini domestiche, la demografia della forza lavoro e la quantità di tempo libero a disposizione. Penso che sia un vantaggio e sarei riconoscente a un mercato che consente agli innovatori di operare e ottenere un premio per le invenzioni. È ciò che un sistema capitalista customer-oriented sa fare bene. C’è però un’ironia. Lo storico Frank Trentmann ha notato che «un maggior benessere e tempo libero incoraggiano il lamento, da una parte perché le aspettative aumentano e dall’altra perché i canali che incoraggiano a lamentarci e la facilità con cui possiamo farlo sono cresciuti in modo esponenziale». Dice il proverbio: «Ogni buona azione è punita».