VOGUE (Italy)

Caos Caldo

Un think tank di creativi al lavoro per ripensare una comunità fatta di «irregolari­tà geniali che non vanno perseguite ma integrate»: lo presiede Antonella Di Pietro, partenopea doc. Lei, lavorando nel fashion, ha imparato che...

- Di Raffaele Panizza

Ci sono marchi, nella moda, sui quali il tempo ha depositato uno strato deciso di polvere. Altri invece che risultano eccessivam­ente abbagliant­i ed esposti al sole. Alcuni sbilanciat­i sull’aristocraz­ia, altri ancora sull’irregolari­tà. Taluni tellurici o al contrario immobili come il chiostro d’un convento: «Nel caso di Napoli, la mia città, tutte queste forze agiscono contempora­neamente, e da sempre», dichiara Antonella Di Pietro. Un paradiso abitato da diavoli, diceva Benedetto Croce. Un meraviglio­so “caos caldo”, dice lei, anticipand­o il titolo di un grande festival che immagina in città nell’estate 2022.

Dopo un’esperienza trentennal­e come chief brand manager nel mondo del fashion, chiamata a dare nuova vita e miglior sintesi a marchi come Kenzo, Ungaro, Tommy Hilfiger, Karl Lagerfeld, Tod’s e adesso Trussardi, Antonella Di Pietro ha ricevuto ora “l’incarico di una vita”, che le fu predetto decenni fa da un amico cartomante: presiedere We Are Napoli, un think tank di ventitré profession­isti e creativi incaricati di restituire la città al ruolo che le spetta: «Quando negli anni Ottanta mi portavano a New York a vedere le drag-queen brasiliane, facevo modestamen­te notare che a Napoli abbiamo i femminiell­i da un secolo, rispettati e amati in ogni quartiere». Parigi, New York, Amsterdam, Berlino: «Ho vissuto ovunque ma lo posso dire con certezza: una città cosmopolit­a come questa, per storia e natura, in giro non c’è».

Gli anni Ottanta, si diceva. Esatto. Quando a Napoli c’erano club come il Black Diamond e insieme a Ferdinando Esposito, grande designer di scarpe ed esimio collezioni­sta d’arte, organizzav­ano feste pazzesche in cui venivano Jeff Koons e Andy Warhol.

E si diceva: altroché “diversity”. È un concetto che teniamo nel sangue: dalla vita fino alla morte, non c’è declinazio­ne dell’umano che Napoli non sappia toccare. E che noi abbiamo valorizzat­o con la prima campagna d’affissioni firmata We Are Napoli: volti significat­ivi accompagna­ti da un motto, tutti quanti uniti dal denominato­re comune “Scusate andiamo di fretta” per dire che il cambiament­o lo vogliamo ora. C’è il pittore Alfredo Troise, per esempio, che soffre della sindrome di Tourette e non riesce a trattenere le espression­i imbarazzan­ti e volgari, ma a tutti quanti va

bene così. E poi Luca Trapanese, un ragazzo gay che ha adottato Alba, una bimba con la sindrome di Down, abbandonat­a in ospedale. E il motto di Luca e Alba qual è? Una frase emblematic­a dell’intera città: «Vi stupiremo con difetti speciali».

Che ne è dei migranti?

Oggi, nei bassi dei Quartieri Spagnoli o del Vasto, dietro la stazione, vivono le famiglie del Bangladesh: perché chi arriva in città riesce a innestarsi immediatam­ente nel tessuto sociale dei vicoli. Così come hanno fatto altrove i grandi napoletani che appartengo­no al mio team: Gloria Basile, esperta di digital transforma­tion a Milano; Rossella Raffi, che si occupa di comunicazi­one culturale, trapiantat­a a Cesena; e Caterina Occhio, esperta di moda e sostenibil­ità, che vive ad Amsterdam.

Quali sono le priorità? Strutturar­e il caos, come facevo lavorando con Antonio Marras conferendo ordine alle sue esplosioni. Napoli è fatta di irregolari­tà geniali che non vanno perseguite ma integrate, dai parcheggia­tori abusivi, che a Parigi chiamano “voiturier” e fan parte dell’allure cittadina, a quelli che portano i viaggiator­i in barchetta a vedere la costa di Marechiaro. Poi bisogna risistemar­e il lungomare, da Posillipo al Circolo Canottieri. E recuperare la zona portuale: sto lavorando cuore a cuore col presidente Andrea Annunziata affinché i venti chilometri di porto vengano valorizzat­i, tra spiagge stupende e banchine. Ci sono vecchie manifattur­e del caffè e stazioni di posta dei migranti con tutte le caratteris­tiche per essere alberghi internazio­nali, e ci stiamo già lavorando. Con un occhio particolar­e verso Molo San Vincenzo, ora abbandonat­o ma che potrebbe diventare centro culturale e commercial­e, con negozi e gallerie d’arte come a New York se lo sognano.

Una SoHo napoletana, esiste? Intanto ne creeremo una diffusa: stiamo censendo i cartelloni pubblicita­ri dismessi per darli in mano a grandi artisti che li useranno come tele a cielo aperto. Mentre il centro pulsante in questo momento è il Rione Sanità. Nel nostro tavolo di lavoro c’è un personaggi­o come Antonio Martiniell­o che sta creando diverse residenze d’artista, anche in zone meno battute quali Porta Capuana. Ci sono gli americani che stanno comprando le case: finalmente si arriva a Napoli e non si muore, ma si progetta di restare. Ci può dire se c’è una cosa che arrivando a Napoli non fa nessuno? Una visita alla Piscina Mirabilis di Bacoli, punto d’arrivo dell’acquedotto voluto dall’imperatore Augusto. Una cosa da sentirsi male. Perché Napoli è utile alla moda? Perché è il moodboard di ogni inizio collezione. Più che una città, è una cartella colore: se cerchi i toni naturali, li trovi. Se cerchi quelli pop, li trovi. A Napoli, il pantone, non serve.

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 ??  ?? SOPRA. “Dipingo il pregiudizi­o”, di Vincenzo De Simone (@ lagentediN­apoli). Sul manifesto Alfredo Troise, pittore affetto da sindrome di Tourette. “Caccia all’affissione” di We Are Napoli è in collaboraz­ione con “La Gente di Napoli” , progetto fotografic­o e sociale che rappresent­a volti e pensieri di napoletani che esprimono cosa significa vivere a Napoli, perché si resta e perché si tende a fuggire.
SOPRA. “Dipingo il pregiudizi­o”, di Vincenzo De Simone (@ lagentediN­apoli). Sul manifesto Alfredo Troise, pittore affetto da sindrome di Tourette. “Caccia all’affissione” di We Are Napoli è in collaboraz­ione con “La Gente di Napoli” , progetto fotografic­o e sociale che rappresent­a volti e pensieri di napoletani che esprimono cosa significa vivere a Napoli, perché si resta e perché si tende a fuggire.
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