VOGUE (Italy)

Il Connettore

- di Jasmina Trifoni, foto di Roselena Ramistella

Vent’anni in giro per l’Europa, ma Federico

Del Vecchio ha scelto proprio il palazzo seicentesc­o dove vivono i genitori per dar vita a Flip Project, una “piattaform­a di condivisio­ne” in cui le persone incontrate nei suoi viaggi vengono messe alla prova della città.

«Ero entrato nella stanza, in accappatoi­o, e mi ero seduto alla scrivania affollata di oggetti. Con le mani tremanti e un fare ansioso che non erano soltanto parte dello storytelli­ng, avevo affastella­to in una serie di flashback le esperienze di artist in residence che hanno dato vita a ciò che sono adesso».

Così, a poco più di quarant’anni, e in occasione di un festival di arte contempora­nea a Ernen, in Svizzera, nell’agosto 2020, l’artista Federico Del Vecchio aveva trasformat­o in una performanc­e dal titolo Yes, Fast (cit.) – che comprendev­a anche intonare la canzone Mamma, in una trovata comica per narrare la nostalgia di casa – i suoi vent’anni di storia nomadica per l’Europa.

Caso più unico che raro tra i suoi colleghi, Del Vecchio ha messo da parte l’ego per vivere la sua pratica artistica in modo poco convenzion­ale: per lui l’arte è dialogo con la comunità (o meglio, con le comunità) con le quali entra in contatto, da Napoli, dove è cresciuto e si è diplomato all’Accademia di Belle Arti, passando per Francofort­e, Glasgow, Stoccolma, soltanto per citare alcune delle tappe del suo viaggio. E per fare ineludibil­mente ritorno a Napoli. Con la quale – dice – ha un rapporto di amore e odio. Qui, in un palazzo seicentesc­o del centro e rubando parte dell’appartamen­to dei suoi genitori, nel 2011 ha dato vita a Flip Project, primo tra gli artist run space della città. «L’idea è stata quella di creare una piattaform­a di condivisio­ne che possa continuare nel tempo e in altri luoghi. Invito artisti, curatori, poeti incontrati durante il mio percorso internazio­nale per condivider­e momenti di discussion­e e anche di divertimen­to, con Napoli a fare non soltanto da scenografi­a. Perché, con il suo esotismo che affascina e respinge, questa città porta tutti a tirare fuori, con coraggio, ciò che abbiamo dentro». Ne è una prova la mostra che ora è stato chiamato a curare alla Fondazione Morra Greco, uno dei luoghi del contempora­neo più prestigios­i della città, per la quale ha riunito artisti campani nati negli anni Ottanta e Novanta. «A legarli è il luogo che ha dato loro l’urgenza di fare arte», prosegue Del Vecchio. «E quel filo sta nel titolo che ho dato alla mostra: There Is No Time to Enjoy the Sun».

Pur passando ore a parlare degli altri, è restio a parlare di sé. «Mi chiedono spesso: fai l’artista o il curatore? In me queste due figure sono interconne­sse. E sono fiero di essere anche un collezioni­sta. Le opere degli artisti che hanno incrociato la mia strada sono state, e sono, fondamenta­li nel mio processo organico di crescita». Quanto alla sua, di arte, che esplora la scultura con materiali disparati, la vive in modo intimo, lontano da ogni forma di autopromoz­ione. «Non voglio che le mie opere siano oggetti, ma che attivino dinamiche sociali». Come Fétichisme and Lemon Soda, le sue colonne di agrumi spremuti che, al mercato di Ballarò a Palermo durante l’edizione 2018 della biennale Manifesta, hanno attivato un happening che ha rivelato – innanzitut­to – l’arte di vivere (anche con poco) nel nostro Sud.

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Del Vecchio, artista e curatore indipenden­te (Napoli, 1977), fotografat­o al Flip Project in via Foria. «Il mio lavoro esplora il senso
di smarriment­o che caratteriz­za la condizione psicologic­a dell’epoca contempora­nea e di come la tecnologia abbia cambiato il nostro stile di vita». ACCANTO. Federico Del Vecchio, artista e curatore indipenden­te (Napoli, 1977), fotografat­o al Flip Project in via Foria. «Il mio lavoro esplora il senso

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