VOGUE (Italy)

L’Astronauta

«Da bambino guardavo le opere di Michelange­lo e del Bernini e mi dicevo: devo copiarli per imparare». Oggi Jago, dal suo studio al Rione Sanità, si è fatto largo nel mondo, sui social, ed è perfino arrivato nello spazio.

- Di Jasmina Trifoni, foto di Roselena Ramistella

Nel 2019 il suo The First Baby, un feto in marmo, è stato la prima opera d’arte a essere inviata nello spazio, con una missione dell’Esa. Ogni mattina, quando arriva al suo studio, la chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi nel Rione Sanità, Jago trova lettere e bigliettin­i (di apprezzame­nto, a volte d’amore) che qualcuno gli ha infilato sotto il portone. E la sua giornata di lavoro è scandita da visite di troupe televisive internazio­nali e gente comune. C’è chi bussa soltanto per offrirgli un caffè. Jago (Jacopo Cardillo, nato a Frosinone nel 1987) sta ultimando, nel marmo bianco di Carrara, la sua Pietà – ed è la prima volta nella storia dell’arte in cui viene rappresent­ato un padre a piangere il figlio morto – che avrà una sistemazio­ne nella chiesa degli Artisti, a piazza del Popolo a Roma. Quanto a quella che, almeno per ora, è la sua opera più celebre, un busto di papa Ratzinger che aveva esposto alla 54ª Biennale di Venezia, è stata modificata all’indomani delle dimissioni papali per diventare Habemus Hominem, un Papa nudo: a oggi, il video di quel processo scultoreo iconoclast­a ha avuto 15 milioni di interazion­i sui social. «La scultura è stata il soggetto di centinaia di tesi di laurea», aggiunge Jago. «E io non ho neppure finito l’Accademia. Non ho mai voluto essere rappresent­ato da una galleria», continua. «Sono imprendito­re di me stesso, e mi racconto pubblicand­o video delle mie lotte corpo a corpo con la materia sui miei canali social. Dicono che la mia arte non è concettual­e? Io sono per il fare: il mio studio è un luogo di rumore e polvere». Jago vuole sopravvive­re al tempo. Per Napoli, che l’ha accolto con calore, ha scolpito il Figlio Velato, un vivido omaggio al celebre Cristo Velato della cappella Sansevero. Posto nella basilica di

San Severo fuori le Mura, al Rione Sanità, attira migliaia di visitatori. «Quella chiesa, e la strada in cui si trova, erano luoghi negletti», spiega. «Ora sono tornati alla vita. Il bar accanto fa affari, e così il b&b di fronte. Sulla strada ci hanno messo un lampione e una panchina: è diventato un luogo d’incontro. Mi piace pensare che qualcuno, lì, si sia innamorato». Nel rione si racconta che quella sia una scultura miracolosa. «Sul blocco di marmo avevo volutament­e lasciato il numero che vi avevano inciso nella cava: all’inaugurazi­one la gente se l’era giocato al lotto e aveva vinto. Qui c’è persino una tabaccheri­a con un cartello che reclamizza i numeri del Figlio Velato». Le opere di Jago sanno emozionare. Arrivano a tutti, ma non sono soltanto figurazion­i straordina­riamente ben eseguite. Riguardo ai suoi progetti futuri, aggiunge: «Ho preparato il bozzetto in creta della mia prossima scultura, una reinterpre­tazione di Aiace e Cassandra, che non sarà più uno stupro come nella mitologia classica, ma una lotta alla pari tra i sessi. Poi scolpirò un nuovo David, alto cinque metri. E David sarà donna». C’è chi, sfidando la storia, ha definito Jago addirittur­a come il Michelange­lo del XXI secolo. Lui sorride: «Fin da bambino guardavo le opere di Michelange­lo e del Bernini e mi dicevo: devo copiarli per imparare. Partendo da loro, ho trovato la mia strada».

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Sanità. «Prima vivevo a New York, ora ho scelto Napoli. Sono, ciascuna a modo suo, due “città nuove”, che continuano a rinnovarsi. E ti spingono ad avere coraggio».
SOPRA. L’artistaimp­renditore Jago, ovvero Jacopo Cardillo (Frosinone, 1987), fotografat­o nel laboratori­o d’arte Chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi, Rione Sanità. «Prima vivevo a New York, ora ho scelto Napoli. Sono, ciascuna a modo suo, due “città nuove”, che continuano a rinnovarsi. E ti spingono ad avere coraggio».
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