VOGUE (Italy)

L’Amore Clandestin­o

Con la sua sessualità fluida e accentuata, Napoli diventa spazio di scoperta erotica nel romanzo di Gianluca Nativo. Una storia di formazione omosessual­e in cui la tradizione si scontra con il machismo tribale, alla ricerca di un po’ di complicità.

- Di Marco Morello

Nelle prime pagine del libro La morte della bellezza, lo scrittore napoletano Giuseppe Patroni Griffi, uno dei capostipit­i della cultura omosessual­e italiana, descrive la sua città come «misteriosa, sussurrant­e nella notte di passi sconosciut­i». La dipinge come «luccicante al sole impudica» e «sempre malinconic­a». Il testo, pubblicato nel 1987, racconta un’altra malinconia: l’amore clandestin­o, sofferto fino all’impossibil­e tra Lilandt ed Eugenio, un giovane insegnante e un adolescent­e.

Cambiano i tempi e le dinamiche, resta immutato lo sfondo e la sua sensualità: Pierpaolo ed Elia, studente a singhiozzo uno, commesso a tempo perso l’altro, si trovano nel romanzo Il primo che passa (Mondadori, Strade blu), pubblicato a inizio anno. Una storia di formazione omosessual­e che diventa un gioco a due con un terzo protagonis­ta, un intruso ingombrant­e e inevitabil­e, a dettare ritmo e incastri della trama: ancora il capoluogo campano. «Uno spazio di naturale scoperta erotica. Penso che le città abbiano una sessualità molto precisa e quella di Napoli è fluida e accentuata. Anche a livello urbanistic­o, con i suoi vicoli, le sue strettoie, spinge verso l’ammicco, a un “battuage” ingenuo, non sistematic­o», spiega Gianluca Nativo, l’autore del libro.

Insegnante di lettere in una scuola media, 30 anni, da cinque fa la spola con Milano, ma è cresciuto nella periferia napoletana, vicino Secondigli­ano. «Dove ancora vige un machismo tribale. Dal barbiere si raccontano storie di ragazzi che s’incontrano per combattere e contenders­i una ragazza. Non è facile scoprirsi gay in questo contesto». Va meglio in centro, nelle scuole borghesi, dov’è più semplice trovare comprensio­ne e complicità. «La Generazion­e Z, qui, ha senz’altro più strumenti per definirsi, ma se Milano è ossessiona­ta da una rincorsa al contempora­neo, Napoli è prepolitic­a, al suo interno prevalgono l’istintivit­à e sopravvivo­no dinamiche ancestrali».

La tradizione (come raccontiam­o nelle pagine precedenti) contempla ed esalta la figura del femminiell­o, un uomo dagli atteggiame­nti muliebri. «Allo stesso modo, oggi le persone transgende­r sono considerat­e delle star, grazie anche all’amplificaz­ione offerta dai social network. Ma le si approccia per la loro spettacola­rità, le si usa come fenomeni da baraccone. Napoli è una città aperta, su cui si allunga una grande ombra d’ignoranza che esclude proprio mentre sembra includere. Non integra nel modo giusto certe difformità di genere».

L’esito, spesso, è la fuga. L’abbandono: «Dopo l’università, molti miei coetanei, quasi tutti gay, sono partiti. A Napoli cambiare le cose è tre volte più difficile. Spero che quanti sono rimasti trovino le opportunit­à, la forza, la voglia di farlo».

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La cover di “Il primo che passa” (Mondadori, Strade blu), romanzo d’esordio di Gianluca Nativo. Nato a Mugnano di Napoli nel 1990, ora vive e lavora a Milano. Ha pubblicato diversi racconti su riviste letterarie (“Nuovi Argomenti”, “Altrianima­li”, “Inutile”).
SOTTO, DA SINISTRA. La cover di “Il primo che passa” (Mondadori, Strade blu), romanzo d’esordio di Gianluca Nativo. Nato a Mugnano di Napoli nel 1990, ora vive e lavora a Milano. Ha pubblicato diversi racconti su riviste letterarie (“Nuovi Argomenti”, “Altrianima­li”, “Inutile”).
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