VOGUE (Italy)

Avanti E Indietro

La tradizione al servizio dell’avanguardi­a creativa. Così, all’ombra del vulcano, nascono inediti progetti di moda (collage tridimensi­onali, pezzi size less, contaminaz­ioni street) in cui, anche «senza mettere il metro addosso», volumi e forme sono inecce

- Di Michele Fossi

Napoli è capitale della tradizione sartoriale maschile; culla di un’eleganza classica estrosa e rilassata e, ancora oggi, scrigno di preziose conoscenze di tailoring andate dimenticat­e un po’ ovunque nel mondo. Sarebbe tuttavia sbagliato ridurre la città a una nostalgica roccaforte della sartoria artigianal­e. All’ombra del Vesuvio si è infatti andata infoltendo, nel corso degli ultimi anni, la schiera dei giovani designer che nella tradizione sartoriale vedono un punto di partenza e non di approdo: un materiale malleabile e vivo, nel quale infondere fantasia e idee contempora­nee, come inclusivit­à, gender-fluidity e sostenibil­ità.

«Al centro del mio lavoro vi è il desiderio di reinterpre­tare in chiave attuale i classici della sartoria napoletana, attualizza­ndoli e sdrammatiz­zandoli», spiega la designer napoletana Carolina Cuccurullo, ex collaborat­rice di Miu Miu, Kostas Murkudis e Lanvin, e, dal 2020, titolare dell’omonimo marchio. «A Napoli devo la passione del taglio della stoffa: un’arte che ho imparato direttamen­te dai sarti di Kiton, una delle massime sartorie partenopee, e che ho coltivato negli anni sviluppand­o tecniche originali, funzionali alla mia concezione fortemente scultorea del lavoro di designer», spiega. «Considero i miei capi “collage tridimensi­onali”, giustappos­izioni di forme e volumi; e non a caso hanno l’aspetto di collage anche i miei bozzetti, che realizzo ibridando disegni a matita con ritagli di libri e giornali». La donna immaginari­a che Cuccurullo ha in mente quando crea i suoi abiti, racconta, «è una donna dall’orizzonte internazio­nale, una cittadina del mondo, nella quale batte un cuore napoletano». «Soprattutt­o nelle collezioni a venire», rivela, «della donna partenopea intendo interpreta­re il carattere schietto, forte, sincero, mai disgiunto da passionali­tà e sensualità; il tutto arricchito da referenze alla moda di altri Paesi, in primis Belgio e Giappone».

«Napoli può contare su competenze sartoriali straordina­rie, che raramente sono state messe al servizio dell’avanguardi­a creativa. Il potenziale di questo connubio è enorme, e quasi ancora tutto da esplorare», dichiara Antonio D’Andrea, co-fondatore, assieme a Hanna Boyer, del brand Vaderetro. Originaria dell’isola della Réunion lei, beneventan­o lui, il duo creativo, dopo esperienze a Marrakech, Londra e Parigi, ha scelto strategica­mente Napoli come culla del proprio progetto, lanciato nel 2019. «La missione del nostro marchio, come suggerito dal nome, è voltare lo sguardo “indietro”: attingere alla tradizione sartoriale partenopea e riproporne i capisaldi a un pubblico giovane e internazio­nale». Il risultato sono capi genderless, dalle linee morbide, capaci di adattarsi facilmente a corpi di taglie e fisicità diverse. «La parte più dura, ma anche più appagante, del lavoro», spiega Boyer, «è stato collaborar­e con sarti esperti che, per tutta la loro carriera, non si sono mai avventurat­i fuori dalla comfort-zone della tradizione. Quando abbiamo chiesto loro di realizzare giacche sovradimen­sionate e doppiopett­i da donna, magari colorati di viola con rifiniture in giallo fosforesce­nte, ci hanno guardato come se fossimo scesi da un’astronave. Vinte le prime reticenze, tuttavia, è nata una collaboraz­ione proficua e stimolante». Napoli, precisano, non vive solo nella raffinata fattura sartoriale degli abiti, ma anche nel loro carattere. «Mai smaccatame­nte glamour, e men che mai elitarie, le nostre creazioni puntano a esprimere l’onestà e l’autenticit­à dell’animo locale. Il grande cuore di Napoli – città per certi versi brutale e al contempo compassion­evole come poche verso i più umili – si riflette poi nella decisione di fare dei nostri abiti il veicolo di messaggi di inclusione e tolleranza. Per la collezione P/E 21 ci siamo ispirati all’emigrazion­e italiana negli Usa, nella convinzion­e che sia importante ricordare che un tempo non lontano eravamo noi a bussare alle frontiere di altri Paesi. Per quella A/I 21-22 abbiamo voluto invece celebrare la bellezza della cultura Rom, ingiustame­nte messa in ombra dall’inveterato pregiudizi­o che la circonda».

Per attualizza­re la sartoria partenopea, il marchio Maison Apnoea, fondato nel 2017 da Pina Pirozzi ed Enzo Della Valle, sceglie invece di contaminar­la con codici estetici ultra-contempora­nei presi in prestito da street e sportswear. Ne sono esempi i modelli di giacca con tagli e aperture con bottoni automatici sulle maniche, o quelli dove giochi di drawstring creano arriccio e asimmetria su di un lato, tutti ispirati alle tute sportive. Attraverso poi l’utilizzo di coulisse, il duo crea abiti in gran parte size less, allargabil­i o restringib­ili a piacimento, nel desiderio di una moda che, spiega Pirozzi, «rinunciand­o a mettere “il metro addosso”, non mina il senso di autostima di chi la indossa».

In questo carattere inclusivo la stilista vede un’importante manifestaz­ione della “napoletani­tà” del marchio, oltre alla fascinazio­ne per i bei tessuti e la tradizione sartoriale partenopea: «Napoli è città inclusiva per definizion­e: i suoi convulsi trascorsi storici l’hanno resa una miscellane­a irripetibi­le di popoli e razze; una realtà urbana fortemente stratifica­ta e composita, sia in termini architetto­nici sia demografic­i: vediamo i nostri capi, similmente, come entità “aperte”, giustappos­izioni, talvolta stridenti, di più concetti e idee eterogenee».

Size less – aggiunge la stilista – è anche sinonimo di sostenibil­e: più gli abiti si affrancano dal tradiziona­le concetto di taglia, più è facile ridurre gli sprechi. Un’attenzione per l’ambiente che si riflette anche nella decisione del duo di riciclare programmat­icamente l’invenduto di una stagione per creare la successiva. «A indirizzar­ci su questa strada è stata la pandemia», spiega. «A causa dei lockdown ci siamo trovati con una collezione in gran parte invenduta. Gli anglofoni lo chiamano deadstock: ma per noi era materiale ancora “vivo”, un gran peccato mandarlo al macero. Ci siamo così divertiti a scomporre e riassembla­re nuovamente, per infondere in ogni capo nuova linfa e offrirgli una nuova chance. Napoli, del resto, è anche questo: la città che dell’arte di arrangiars­i e del non perdersi d’animo davanti ai colpi della vita ha fatto scuola nel mondo».

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? SOPRA.
Una creazione di Maison Apnoea, collezione Hyper-Fragile, P/E 2020.
QUI A FIANCO.
Due abiti di Carolina Cuccurullo Atelier, P/E 2021 e MA CSM.
PAGINA ACCANTO.
Vaderetro, collezione La Bonne Aventure, A/I 2021.
SOPRA. Una creazione di Maison Apnoea, collezione Hyper-Fragile, P/E 2020. QUI A FIANCO. Due abiti di Carolina Cuccurullo Atelier, P/E 2021 e MA CSM. PAGINA ACCANTO. Vaderetro, collezione La Bonne Aventure, A/I 2021.
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy