Il Senso Del Fantastico
Immaginazione, savoir-faire, gusto della sfida e gemme di grande caratura. Questi gli ingredienti che la maison Cartier ha mixato per creare la sua linea di alta gioielleria, “Sixième Sense”.
Un felino stilizzato e scomposto, iridescenze multicolore, trompe-l’oeil ed effetti ottici, gemme da favola... “Sixième Sens”, la nuova collezione di alta gioielleria
di Cartier, conferma la vocazione alla bellezza e alla ricerca di nuove idee della maison francese. Pezzi unici, che proiettano la tradizione di savoirfaire del brand nella contemporaneità: l’anello Phaan, per esempio, il cui rubino da 8,20 carati sovrasta un diamante di 4,01 carati che ne esalta l’intensità del colore; o quello Parhelia, trasformabile in spilla, con uno zaffiro cabochon da 21,51 carati che è un pezzo di cielo notturno circondato da cinque semicorolle di diamanti e smeraldi scanalati. O ancora i collier Meride e Pixelage: diamanti, onice, cristallo
di rocca, una simbiosi materica nella più pura tradizione Cartier il primo, agile come la famosa pantera di cui scompone il mantello il secondo. Gioielli leggeri e essibili, come gli altri pezzi della collezione che incastonano diamanti, smeraldi, rubini... Una «delicatezza contemporanea», spiega Pierre Rainero, Head of Heritage, Image and Style del marchio, che qui racconta la collezione.
Perché avete chiamato questa collezione “Sixième Sens”?
Di tutte le espressioni artistiche, la gioielleria ha un legame speciale con la persona. Un gioiello è una scelta istintiva, non ha una ragione, corrisponde al nostro io più vero, offre di noi una prospettiva più ricca. Inoltre, una volta scelto, “quel” gioiello è “quella” persona. Penso a Evalyn Walsh McLean, ricca ereditiera e socialite americana che nel secolo scorso comprò da Cartier il diamante Hope (e anche lo Star of the East). Personalmente, tengo a sottolineare come la gioielleria non sia una questione di fisica, chimica, matematica… Forse è un po’ come un profumo, con la differenza che ciò che ci colpisce non è riconducibile a uno dei nostri cinque sensi. Quindi, Sesto Senso.
Oggi è difficile reperire gemme di qualità?
Per noi la loro qualità è sempre molto importante, in particolare per i Tutti Frutti. Molte sono antiche, provengono da pezzi già esistenti, uscite quindi dal Myanmar prima del 2007. Gli zaffiri ora li troviamo a Sri Lanka, anche se lì sono più chiari. (segue)
I rubini invece vengono dal Mozambico, dove ci sono i “sang de pigéon”, il colore preferito in Occidente, unico e speciale per la sua intensità e sfumatura, e che era tipico dei rubini birmani. Sarebbe quantomeno contraddittorio dare i soldi al governo del Myanmar e contemporaneamente aiutare la minoranza Rohingya con Cartier Philanthropy (fondazione che dal 2012 è impegnata con varie attività a migliorare la vita dei più vulnerabili, per una società inclusiva, equa e sicura, ndr).
E del rubino del collier Udyana che può dire?
È stato un colpo di fortuna, insperato. Un pezzo unico, da 67,71 carati, con delle incisioni parziali come hanno anche, solo nella parte superiore, le gocce di smeraldo che lo accompagnano. Molte delle nostre pietre sono già scolpite o incise, capolavori della glittica, ma oltre ad affidarci ad atelier specializzati esterni, abbiamo Philippe Nicolas, uno degli ultimi grandi maestri incisori, e il personale che si occupa del taglio di tutto ciò che si inserisce in piccoli spazi, come l’onice, i cristalli di quarzo... Il castone delle pietre, le maglie delle collane, ogni cosa è poi cesellata a mano. Pensi che per un Tutti Frutti ci vogliono in media tra le mille e le duemila ore di lavorazione.
La flessibilità è un elemento che caratterizza i vostri gioielli.
Assolutamente, la maglia è leggera, ma nello stesso tempo deve essere solida, sicura. Prenda Pixelage, che possiede una modernità estetica esemplare. È stata una vera sfida, volevamo spingere più lontano i limiti dell’interpretazione, l’immagine dell’animale in questo caso. L’abbinamento smalto, oro, onice non è stato semplice, anzi. Più gli elementi sono vicini, più è difficile riuscire a mantenere la flessibilità. Bisognava trovare un perfetto equilibrio tra la morbidezza della collana e l’effetto visivo. Per la collana Meride la sfida era invece nel rendere un’idea di pieno e vuoto – permette di dare luce da sotto e da sopra – senza ispessirla troppo e al contempo preservare la leggerezza e lo snodo del pezzo.
Per le nuove generazioni, un gioiello ha ancora l’attrattiva e la valenza estetica di un tempo ?
Di sicuro hanno meno tabù e maggiore libertà, magari non mettono un orologio ma con i gioielli si esprimono. Credo che questa attrattiva sia addirittura amplificata dalla conoscenza, oggi accessibile a tutti, di vicende, storie, personaggi legati a questo mondo. Il mito è sempre più forte.