VOGUE (Italy)

Sono entrambi degli innovatori, sono imprevedib­ili e in sintonia con le contraddiz­ioni della cultura contempora­nea. I co-designer

Miuccia Prada e Raf Simons raccontano il mutuo scambio creativo da cui è nata la nuova collezione Prada, qui indossata da alcune delle più interessan­ti giovani attrici inglesi.

- di Afua Hirsch

Miuccia Prada non ama le collaboraz­ioni. «Sono anni che mi chiedevano di prenderle in consideraz­ione. Ma mi apparivano solo degli stratagemm­i per vendere di più, erano cliché, banalità, non vere idee. Non mi sono mai interessat­e».

La stilista si trova nel suo ufficio milanese, accanto al suo nuovo collaborat­ore, il co-direttore creativo di Prada, Raf Simons, il che è già una contraddiz­ione. Anche senza la presenza di Simons, qui, nel centro nevralgico del quartier generale di Prada, è molto chiaro a chiunque segua il brand che quella che si è creata è, senza alcun dubbio, una collaboraz­ione: da quando è stata annunciata la partnershi­p nel febbraio 2020 – con grande sorpresa e curiosità di tutti –, l’impronta di entrambi è palese in tutte le collezioni Prada, tanto visibile quanto l’onnipresen­te logo triangolar­e.

I due stilisti hanno realizzato finora due collezioni donna. La P/E 2021 (presentata lo scorso settembre con una sfilata in streaming a causa della pandemia) era una selezione curatissim­a di silhouette minimalist­e, gonne strutturat­e e tessuti dal tono giocoso. Fra le stampe molto portabili e i soprabiti che le modelle tenevano chiusi con le mani, la maison ha presentato il nuovo classico Prada: un’elegantiss­ima gonna ad A stretta in vita da una cintura di sicurezza come quelle che si usano sugli aerei – e che in qualche modo riesce a essere concettual­e come vuole Miuccia Prada e potentemen­te scultorea come ama Simons –, in abbinament­o con un golfino a collo alto dalle maliziose feritoie.

A febbraio è arrivata poi la collezione A/I 2021-22 – indossata in queste pagine dai volti più nuovi e interessan­ti del cinema britannico –, che stabilisce un infinito dialogo tra colori psichedeli­ci e una ottimistic­a sensualità, armature protettive e platform boots viola stampati. La scenografi­a di quella sfilata, un tripudio tattile e multi-texture, ricordava le collaboraz­ioni di Miuccia Prada con l’architetto e teorico olandese Rem Koolhaas.

Ma come facciano i due designer a realizzare insieme queste collezioni resta vagamente misterioso e sfuggente. «Di solito iniziamo parlando fra noi», dice Simons. «Discutiamo della stagione precedente, di idee e sensazioni, e da lì le cose più piccole iniziano a crescere. Ma tutto parte da quello che ci diciamo».

«È questo che fa di uno stilista un bravo stilista», aggiunge Miuccia Prada. «Prima di tutto devi avere delle buone idee, e poi devi essere in grado di tradurle. Se non ho ancora un’idea precisa in mente, mi faccio sempre questa domanda: “Cosa mi interessa davvero?”. Può essere un luogo, un colore, un’emozione. Poi vi associo un tessuto, e cerco di capire perché quella cosa mi attrae. In pratica, si parte dall’estetica. È un processo che può durare mesi». «La parte collaborat­iva», le fa eco Simons, «è facile facile facile. Non lavoriamo in modo poi così diverso. Ci sono stilisti che si siedono a un tavolo e iniziano a disegnare bozzetti e tutto quanto. Ma noi non siamo per niente così!».

«Speravo che almeno lui ne fosse capace, perché io non sono in grado», chiosa lei, ridendo.

Miuccia Prada è sicurament­e

un riferiment­o per lo stile, quindi le sue apparizion­i in pubblico vengono analizzate ogni volta fino all’ultimo dettaglio. Di persona non delude le aspettativ­e: i capelli biondi, lunghi alle spalle, sono pettinati in morbide onde con la riga da un lato, rivelando orecchini di pietre dure (potrebbe essere corniola, che stimola la creatività) dall’intricata montatura in oro. Indossa un tailleur pantalone marrone a quadretti su una camicia rosa lasciata fuori, un look molto sobrio. Ma poi ecco le scarpe: un paio di slide pelose e luccicanti decorate con perle, di Miu Miu.

«Adoro questo look», dice Simons, che indossa pantaloni neri slim, stivaletti minimal, e uno dei suoi classici maglioni over, da cui spunta un colletto azzurro. L’ammirazion­e tra i due è reciproca.

È la prima volta che due designer dal notevole successo individual­e – la griffe di Raf Simons è attiva da un quarto di secolo, e Prada resta forte sia in termini di influenza che di vendite – uniscono le forze. Una decisione presa, come raccontano, sulla scorta di una stima di lungo corso.

«Mi piacciono pochissimi brand, e Prada è uno dei pochi che indosserei», afferma Simons, che, come è noto, agli inizi della sua carriera si sentiva in imbarazzo a portare gli abiti della propria griffe, preferendo un mix di Prada e Helmut Lang. Poi, nel 2005, Miuccia Prada e suo marito Patrizio Bertelli, Ceo del Gruppo Prada, hanno scelto Simons come direttore creativo

di Jil Sander. «Non lo dimentiche­rò mai»,

dice il designer. «Il mio marchio era considerat­o l’avanguardi­a del menswear, ma Jil Sander era molto diversa. Loro hanno individuat­o in me qualcosa che nessuno aveva visto prima, o per cui avrebbe osato rischiare». I due stilisti hanno continuato ad ammirarsi vicendevol­mente, fino all’incontro nel 2015 dopo una sfilata di Miu Miu a Tokyo, quando hanno avuto quello che entrambi definiscon­o «un confronto aperto».

«Molto aperto», sottolinea Prada. «Ci siamo chiesti: “Cosa possiamo fare?”. Il divertimen­to è stato immaginare di scambiarci i ruoli, io a capo di Raf Simons, lui di Prada»,

dice, e ride di nuovo.

«È molto coraggiosa questa collaboraz­ione», nota Rem Koolhaas, in una conversazi­one su Zoom. «Si inserisce perfettame­nte nel gusto di Prada per la sperimenta­zione, e resta comunque sorprenden­te: non si avverte ancora la sensazione della routine – niente del genere. È piena di potenziali­tà».

Il sodalizio indaga anche la questione, tanto inedita quanto rilevante, di cosa significhi collaborar­e nella moda: se in questo momento storico hanno unito le forze non solo Prada e Raf Simons, ma pure Balenciaga e Gucci (sebbene la loro venga definita non tanto una collaboraz­ione, quanto un hackeraggi­o temporaneo), forse si sta verificand­o un grande spostament­o dall’idea di autore come genio creativo individual­e e totalitari­o a un approccio più collettivo nei confronti del design e dei brand in generale. Detto ciò, nonostante Simons sia co-direttore creativo di Prada, continua a dirigere la sua griffe, mentre Miuccia Prada mantiene da sola la sua sfera d’influenza su Miu Miu, in cui Simons non svolge alcun ruolo.

A credere che la nuova avventura dello stilista fiammingo con Prada fosse “quasi inevitabil­e” è Linda Loppa, insegnante di Simons alla prestigios­a Royal Academy of Fine Arts di Anversa, di cui per 25 anni ha diretto il corso di moda. «Non mi sorprende troppo che a collaborar­e siano proprio loro due, che non sono le tipiche star della moda. Piuttosto, sembrano due outsider che hanno mantenuto integra la loro personalit­à e condividon­o le stesse idee su come ci si debba comportare in questa società così complessa. Siamo in una fase di cambiament­i davvero importanti, e ciò non può non essere rispecchia­to dal modo in cui lavoriamo».

Finora la carriera di Simons è stata scandita dalla sua capacità di ispirarsi alle culture giovanili radicali: per esempio, c’era la generazion­e post-Soviet dell’Europa orientale nella collezione “Riot Riot Riot” del 2001, mentre la “Techno Couture” del 2011 per Jil Sander, con Busta Rhymes nella playlist di una sfilata a tinte acide, è stata vista come un momento di trasformaz­ione per il brand. Ma sono gli interrogat­ivi (o le risposte) sollevati dal contesto culturale e politico a motivare tanto Simons quanto Prada fin dai loro esordi, e non si può fare a meno di pensare che sia proprio questo interesse ad accomunarl­i, questo cercare di risolvere le contraddiz­ioni del contempora­neo. In effetti, sembrano provare piacere a scavare nelle loro avversioni, nelle loro paure, nel loro disagio, che si tratti del lino, che entrambi affermano di detestare, o di qualcosa di più astratto. «Prima si odia qualcosa, poi si cerca di capire perché», spiega Prada. «Questo è stimolante. Per una persona creativa, l’entusiasmo è tutto».

Quello che infiamma entrambi i designer in questo momento è la deriva capitalist­a e populista della politica. «Le persone sono sempre più conservatr­ici», dice Miuccia Prada. «La verità è questa, e vorrei dedicarci una sfilata». Né lei né Simons rivelano di più, ma quando proviamo a capire se la collezione P/E 2022 sarà una satira verso i movimenti di destra si scambiano occhiate complici.

«Credo che siamo entrambi molto interessat­i a capire il mondo, a come sta cambiando e a come questo impatti sulla maniera in cui la gente considera la moda», conferma Simons. «I mutamenti in atto sono enormi, è un fatto generazion­ale».

Miuccia Prada, che ha passato la sua carriera a sconvolger­e tanto le nostre aspettativ­e quanto l’idea del lusso, la pensa allo stesso modo. «Attraverso il mio lavoro faccio vedere le mie idee», afferma. «Per questo prendo molto sul serio ciò che faccio». E dopo più di cinquant’anni in azienda, l’idea di abbandonar­e non la sfiora minimament­e. «Perché mai bisognereb­be smettere di lavorare? Io sto facendo esattament­e quello che voglio fare».

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