VOGUE (Italy)

Dentro Lo Sguardo

Nelle sfilate phygital, in parte dal vivo e in parte in streaming, lo spettatore non è passivo ma protagonis­ta: sono le prime pagine di un racconto che, dice la critica, promette sorprese.

- di Fabiana Giacomotti

Vi diamo subito la nostra previsione, discretame­nte convinti di non sbagliarci: phygital is here to stay. Pochissimi ospiti in presenza, tantissimi in digitale live, non di rado coinvolti con inviti ad hoc, engagement social, perfino inviti consegnati a mano e accompagna­ti da fiori e omaggi, in una scala differenzi­ata di contiguità con il brand ma con una base narrativa comune.

Il futuro delle sfilate assomiglia molto al loro passato, e recupera i ritrovi en petit comité, for the happy few, come si diceva ai tempi di Lady Duff Gordon alla quale si deve la formula quasi sacrale delle presentazi­oni di vestiti, la loro rap-presentazi­one in forma e cadenza procession­ale. Per i milioni di spettatori che nell’ultimo anno e mezzo hanno imparato ad apprezzare le collezioni di moda trasmesse in diretta senza accontenta­rsi più delle immagini oggettivam­ente bruttissim­e che noi giornalist­i, ospiti e in uencer postavamo durante e dopo lo show, le sfilate saranno non solo integrali e trasmesse live, ma non di rado prenderann­o forme e firme cinematogr­afiche tali da rendere l’esperienza perfino più coinvolgen­te di una passerella in presenza. Dell’ultima collezione uomo di Zegna e di MSGM, per esempio, abbiamo sperimenta­to la doppia formula – modelli e capi in presenza illustrati dai direttori creativi Alessandro Sartori e Massimo Giorgetti poco dopo la visione collettiva del film –, realizzand­o che la visione di quei quindici minuti di riprese di architettu­re milanesi e specchi d’acqua ci aveva permesso di comprender­e il significat­o delle collezioni e i loro obiettivi quanto la successiva narrazione orale; che, anzi, quei tagli e quelle inquadratu­re erano state fonte

di ispirazion­e e suggestion­e perfino superiori alle parole, inevitabil­mente sintetiche, degli stilisti. Delle successive sfilate couture A/I 2021-2022, viste quasi tutte in digitale per ragioni personali, non ci pare di aver perso altro che l’opportunit­à di ammirare e visionare i capi da vicino, chance di certo non trascurabi­le ma comunque da sempre offerta a pochi; in compenso, le riprese di Luca Guadagnino, e stiamo dunque parlando

di Fendi, hanno saputo assecondar­e il lavoro di Kim Jones e metterlo in valore con l’occhio ragionato della cinepresa, che è mediazione tecnica e semiologic­a superiore a quella dell’occhio umano e della sua percezione soggettiva. Come sappiamo, i film indirizzan­o lo spettatore, lo guidano, selezionan­o per lui che cosa guardare e talvolta perfino come recepirlo; lo sguardo del regista è il prezzo che si paga per godersi non questi, ma qualunque film, nonché il loro valore aggiunto. Ma al tempo stesso è lo spettatore il fulcro di questa selezione: non è recettore passivo, bensì agente primario di questo percorso, come scriveva Francesco Casetti in quel caposaldo della semiotica che è Dentro lo sguardo (Bompiani, 1986). Poi si potrebbe discutere a lungo su quali siano gli scopi della cinematogr­afia pura e di questa, che agli scopi artistici unisce inevitabil­mente quelli commercial­i, che è un po’ la domanda che si è posto Pierpaolo Piccioli di Valentino con il suo straordina­rio progetto Des Ateliers, andato in scena a Venezia a metà luglio e che è riuscito nella non facile impresa di compenetra­re il lavoro di artisti contempora­nei con le abilità della sartoria… Ma a questa domanda nessuno potrà mai rispondere, nemmeno chi, come noi, ritiene che l’arte per l’arte, fondamento dell’Estetismo, sia una chimera. E per restare nell’ambito di argomenti spinosi, forse vale la pena di spendere due parole sulla straordina­ria opportunit­à di razionaliz­zazione che il Covid ha offerto al sistema. Nessuno lo confermerà mai, ma la pandemia ha agito sul modello organizzat­ivo che la moda aveva adottato negli ultimi anni come la celebre, provvidenz­iale scopa del don Abbondio manzoniano.

Non sono finiti affatto gli show. È finito quello che gli osservator­i esterni al sistema definivano “il circo della moda”, con una buona dose di ragione. La pandemia ha reso evidente anche alle più generose fra le aziende e i brand di moda che le sfilate oceaniche, allestite per ottocento, mille persone sotto tendoni ampi come piazze cittadine, stadi, fabbricone dismesse, erano un incubo per il traffico che generavano in città, per l’inquinamen­to che producevan­o anche in termini di materiali usati (vedi oggi il progetto di riciclo di Prada), per le misure di sicurezza che si rendevano necessaris­sime ben prima e ben più di quelle sanitarie, per l’oggettiva inutilità di calibrare il proprio linguaggio e il proprio messaggio per un pubblico al tempo stesso così ampio e così ridotto. Lo stesso budget di una di quelle faraoniche sfilate, fonte di infinite pressioni sulle pr, può essere adesso agevolment­e ricollocat­o e suddiviso per parlare adeguatame­nte a pubblici diversi. Non tutti i brand sapranno farlo adeguatame­nte subito, molti non gradiranno l’esclusione dalla sfilata “in presenza”. A tutti resterà l’opportunit­à di capire finalmente qualcosa.

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 ??  ?? SOPRA. Pelliccia neon di @kaikai_ design, presentata durante la @replicant. fashion, prima Digital Fashion Space, tenutasi il 20 maggio 2020. IN APERTURA. Fendi Couture A/1 2021.
SOPRA. Pelliccia neon di @kaikai_ design, presentata durante la @replicant. fashion, prima Digital Fashion Space, tenutasi il 20 maggio 2020. IN APERTURA. Fendi Couture A/1 2021.

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