VOGUE (Italy)

Il Futuro Addosso

Non solo Phoebe Philo che torna con la sua linea eponima. Ma un vero e proprio boom di stilisti, giovani e non, che si lanciano in avventure in proprio: convinti, come dice uno di loro, che «un brand di moda può cambiare il mondo».

- Di Samira Larouci

Quando, verso la metà di luglio, Phoebe Philo ha annunciato il suo molto atteso ritorno alla moda, la reazione della fashion industry è stata sismica. La ragione? Invece di assumere la guida di un’altra maison storica, la designer inglese ha scelto di lanciare il proprio brand. Un’iniziativa che richiede un certo coraggio e che, per molti aspetti, riflette l’attuale clima del settore.

Con un esercito di giovani stilisti impegnati a imporre codici, filosofie e visioni estetiche propri, la tradiziona­le aspirazion­e a essere scoperti da una storica maison del lusso potrebbe trasformar­si se non in un lontano ricordo, almeno in una scelta residuale.

Come la stessa Philo ha implicitam­ente lasciato intendere, spiegando quanto sia importante per lei «essere indipenden­te, dirigere e sperimenta­re alle mie condizioni», l’obiettivo di un numero crescente di talenti di oggi non è quello del “posto fisso” in una grande azienda, ma piuttosto di creare un proprio brand.

Lanciato poco più di due anni fa da Charaf Tajer, il brand franco-marocchino di prêt-à-porter Casablanca annovera già fra i suoi fan Gigi Hadid, Travis Scott, Kendall Jenner e Hailey Baldwin Bieber. Ha vinto un LVMH Prize for Young Fashion Designers, è stato finalista sia all’ANDAM Fashion Award sia all’Internatio­nal Woolmark Prize, catturando, en passant, l’attenzione di Donatella Versace, che, come riportato da WWD, ha contattato personalme­nte Tajer per discutere con lui la possibilit­à di affidargli la linea maschile di Versace. Adesso circolano anche voci di una nomina di Tajer a Kenzo. Ma il fulcro della sua attenzione resta comunque Casablanca. (segue)

«Una casa di moda cambia la società in cui opera», dice Tajer parlando via Zoom da Parigi. «Devi porti un obiettivo. Io sono figlio di immigrati marocchini, e i nordafrica­ni sono parte del panorama etnico francese, ma mi ero davvero stancato di essere scambiato per un addetto alla sicurezza ogni volta che partecipav­o a una festa o assistevo a una sfilata. Volevo creare una mia maison che potesse durare nel tempo, che fosse parte integrante del principale prodotto culturale della Francia di oggi: la moda».

I codici Casablanca si fondano essenzialm­ente sulla capacità di sfidare e riconfigur­are la nozione di mascolinit­à. Tailleur pantalone svasati, orecchini e collane di perle, girocollo di bambù dorato, micro-borse a mano e una profusione di colori pastello. «Un po’ come cento anni fa Gabrielle Chanel rifletteva su come rendere le donne più maschili, io sto pensando a come far diventare il menswear più femminile, senza compromett­erne il vigore», spiega Tajer. «Sono stato allevato da donne forti, così, sebbene la gente sia solita associare, a torto, la femminilit­à alla debolezza, dal mio punto di vista è vero l’esatto contrario. Sono quindi affascinat­o dalla vulnerabil­ità che caratteriz­za l’estetica femminile, e amo manipolarl­a. Nelle nostre collezioni donna, infatti, è presente una forte componente maschile mentre, nella mia visione, l’uomo di oggi è più sensibile rispetto al passato».

La collezione P/E 2022 di Casablanca è stata presentata al Ritz – «Anzitutto perché potevo farlo, e non è che il Ritz lo permetta a chiunque» – e a breve è in programma l’apertura di negozi monomarca. Obiettivi così ambiziosi potrebbero facilmente far dimenticar­e che il brand è stato lanciato solo due anni fa con un capitale inferiore ai tremila euro. «Siamo la prima “maison digitale”», dichiara entusiasta, «il che rappresent­a un’affascinan­te contraddiz­ione: una casa di moda classica, caratteriz­zata da codici classici, il tutto animato dal dinamismo tipico della nostra generazion­e». E aggiunge: «Gli uomini e le donne di Casablanca sono ottimisti. Crediamo sia fantastico stringere legami di amicizia, migliorare la vita delle persone e stare bene con se stessi, nonché contribuir­e a un cambiament­o positivo a livello globale. Se hai sogni più modesti significa probabilme­nte che sei meno scontento della situazione, ma, personalme­nte, sento che la mia aspirazion­e è fare di Casablanca la più grande casa di moda francese».

Intanto, sull’altra sponda della Manica, il designer britannico-trinidaden­se Maximilian Davis ha fondato un brand di prêt-à-porter che, pur avendo all’attivo solo due collezioni, è già stato indossato da Naomi Campbell sulla copertina di i-D e da Michaela Coel alla cerimonia dei BAFTA, oltre ad aver sedotto Rihanna e A$AP Rocky.

«Da ragazzo mi piaceva sbirciare nel guardaroba di mia madre, che aveva una quantità di pezzi vintage di Alaïa e Vivienne Westwood. Pur risalendo agli anni 90, quei capi sono ancora attuali, hanno un’estetica senza tempo. Ecco, voglio che fra vent’anni la gente guardi le mie creazioni e provi la stessa sensazione», dice Davis, che si è fatto le ossa da Mowalola e Wales Bonner prima di fondare Maximilian nel settembre del 2020.

Titolare di un marchio che è sinonimo di stile sartoriale fluido, spacchi ultra-sexy e abiti da sera extra-long, Davis si sentiva «annoiato da ciò che la moda era stata negli ultimi dieci anni». Racconta che, quando chiedeva agli amici se avessero visto persone di colore con indosso abiti sartoriali, la risposta era invariabil­mente negativa. «Studiando Cristóbal Balenciaga e la moda dei tardi ’60 e ’70», ricorda, «mi sono reso conto che nessuno parlava di designer di colore in relazione al lusso».

Solo poco più di un anno fa, Davis era ancora costretto a fare turni extra per il suo lavoro part-time da Dover Street Market. Adesso il suo brand è in vendita in quello stesso store, oltre che da Browns, Net-àPorter, SSENSE e vari altri. «Il mio obiettivo è dimostrare che l’essere un designer di colore non implica limitarsi allo streetwear. Quando ero ragazzo avevo l’impression­e che la possibilit­à di creare capi chic ed eleganti mi fosse preclusa, ma è stato proprio questo a motivarmi e a spingermi a dedicarmi agli abiti da sera, alla sartoriali­tà e a tutte quelle cose che, allora, a Parigi, sembravano riservate agli stilisti bianchi».

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 ??  ?? A SINISTRA. Un outfit della collezione A/I 21 di Maximilian: giacca di lana con mini gonna a pieghe.
A DESTRA. Corpetto con drappeggi disco, Maximilian. Copricapo di seta e piume di struzzo, @ nasirmazha­r. Maximilian Davis è nato a Manchester,da padre giamaicano e madre trinidadia­na. La sua collezione di debutto, presentata solo digitalmen­te durante la Fashion East di settembre, racconta la storia del carnevale di Trinidad e della Black Liberation.
A SINISTRA. Un outfit della collezione A/I 21 di Maximilian: giacca di lana con mini gonna a pieghe. A DESTRA. Corpetto con drappeggi disco, Maximilian. Copricapo di seta e piume di struzzo, @ nasirmazha­r. Maximilian Davis è nato a Manchester,da padre giamaicano e madre trinidadia­na. La sua collezione di debutto, presentata solo digitalmen­te durante la Fashion East di settembre, racconta la storia del carnevale di Trinidad e della Black Liberation.
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 ??  ?? designer franco marocchino Charaf Tajer. La collezione P/E mixa silhouette anni ‘70 a colori tropicali.
designer franco marocchino Charaf Tajer. La collezione P/E mixa silhouette anni ‘70 a colori tropicali.
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Alcuni look del giovane brand Casablanca, fondato dal
SOTTO. Alcuni look del giovane brand Casablanca, fondato dal

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