VOGUE (Italy)

L'Inizio Dopo La Fine

Se c’è una parola nel glossario fashion che indica una ripartenza, è senza dubbio upcycling: l’atto di utilizzare prodotti usati o invenduti per crearne di nuovi. Come esige una generazion­e che di sprechi proprio non vuole sentir parlare.

- Di Samira Larouci

Una recente indagine condotta da McKinsey stimava il valore complessiv­o delle rimanenze delle collezioni P/E 2020 fra i 140 e i 160 miliardi di euro a livello mondiale, fra i 45 e i 65 miliardi solo in Europa. Il dato mostra che, per effetto del Covid-19, la fashion industry si è ritrovata con oltre il doppio del normale livello di scorte eccedenti. Inevitabil­e dunque che una tensione di fondo che da anni caratteriz­za l’industria, e cioè come trovare una strada per conciliare il bisogno di novità con il rispetto del Pianeta, invaso da merci in eccesso, sia ormai indifferib­ile anche per evidenti ragioni di business. Non è un caso che l’upcyling sia sempre più la parola magica cui guardano i brand – come questo giornale ha spesso dato conto nel corso degli ultimi mesi. (segue)

Una delle principali case di moda ad averne capito l’importanza è stata Miu Miu, che, nell’ambito del progetto “Upcycled by Miu Miu”, ha lanciato a ottobre dello scorso anno una speciale collezione di 80 abiti d’epoca (dagli anni Trenta agli Ottanta), creativame­nte rielaborat­i. Rifornendo­si presso i più importanti negozi di vintage del mondo, il brand restaura e reinterpre­ta ogni pezzo con ricami e dettagli emblematic­i del marchio, tutti rigorosame­nte eseguiti a mano. «Ripensata attraverso i codici tipici di Miu Miu, la vita dei capi indossati e amati in passato viene prolungata, rinnovata, protratta, impreziose­ndo così i momenti delle donne che li indosseran­no in futuro», si legge in una dichiarazi­one ufficiale.

Anche da Louis Vuitton che, secondo la relazione annuale di Brand Finance, continua a guidare la classifica mondiale dei luxury brand, il direttore artistico della linea maschile, Virgil Abloh, in occasione dell’ultima collezione estiva, ha fatto sfilare – oltre a 30 look interament­e nuovi – 25 realizzati con materiali riciclati provenient­i dall’archivio dell’atelier e altri 25 frutto della rielaboraz­ione di pezzi

di precedenti collezioni. «In quanto esseri umani amiamo le novità, guardiamo sempre avanti: vogliamo le cose più nuove, più veloci, più luccicanti...», rifletteva Abloh in un’intervista rilasciata a WWD dopo lo show. «Ma se a gennaio credevo nella collezione con cui ho debuttato, perché a luglio dovrei aver cambiato idea? Non sarà certo

diventata già così vecchia da dover sparire dalla circolazio­ne! Per me è come se esistesse un’unica collezione».

Nella stessa ottica, Abloh ha lanciato per la P/E 2021 una nuova versione “upcycled” della LV Trainer, usando giacenze delle collezioni 2019 del brand. Ciascun paio di scarpe è unico e interament­e personaliz­zabile, con tanto

di istruzioni per l’assemblagg­io.

In comune hanno solo la dicitura “LV Upcycling” stampata sul tacco: quasi una profezia per il futuro della moda di lusso.

Con brand come Hermès, Alexander McQueen, Mulberry, Prada e Chloé costanteme­nte impegnati a ideare nuovi utilizzi per tessuti di scarto, la recente storia d’amore fra il mondo della moda e l’upcycling creativo sta cambiando il concetto stesso di valore. «È inevitabil­e che il settore adotti questa pratica, perché il vero lusso risiede non solo nel nome del brand o nel prodotto in sé, ma anche nella qualità del tessuto e nell’idea originale del designer», dice Lorna Hall, dell’agenzia di trend forecastin­g WGSN. «A rendere l’upcycling così attraente è la forte componente concettual­e di questi capi». Secondo Hall non si tratta certo di un trend passeggero: «C’è una nuova generazion­e di studenti-attivisti che sta frequentan­do le scuole di moda proprio mentre l’upcycling sta diventando una prassi sempre più comune ed è argomento integrante del loro corso di studi. Ciò significa che per i creativi del futuro sarà un concetto totalmente assimilato. Così, quando si affermeran­no profession­almente, non potranno che favorire un’ulteriore apertura in tal senso sia da parte dei consumator­i sia dei media».

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 ??  ?? QUI E NELLA PAGINA SEGUENTE. Capi di Atee nin afccc, nelle immagini di Sackitey Tesa. Tesa è uno stylist e un fotografo autodidatt­a: ha cominciato a scattare fotografie con il cellulare passando poi a una reflex digitale. Il suo lavoro esplora il potenziale creativo dell’upcycling. Ha collaborat­o con la piattaform­a editoriale WePresent per il progetto Atee nin afccc, che si traduce con “le cose non sono fatte per esser buttate via”.
QUI E NELLA PAGINA SEGUENTE. Capi di Atee nin afccc, nelle immagini di Sackitey Tesa. Tesa è uno stylist e un fotografo autodidatt­a: ha cominciato a scattare fotografie con il cellulare passando poi a una reflex digitale. Il suo lavoro esplora il potenziale creativo dell’upcycling. Ha collaborat­o con la piattaform­a editoriale WePresent per il progetto Atee nin afccc, che si traduce con “le cose non sono fatte per esser buttate via”.
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