VOGUE (Italy)

Il Dilemma Di Venere

Michelange­lo Pistoletto ha rivisitato per Vogue Italia la sua celebre “Venere degli Stracci”. Lanciando un appello alla ripartenza responsabi­le, anche – e soprattutt­o – a chi produce abiti.

- Di Francesco Monico

Francesco Monico: Diversamen­te dalla primigenia opera in cui una Venere marmorea era rivolta verso un cumulo di stracci, in questa sua Venere degli Stracci per Vogue Italia la modella Freja Beha Erichsen, nuda, si appoggia al cumulo di abiti, in gran parte dismessi oltre ad alcuni di nuova fattura offerti da Prada. L’installazi­one fotografic­a è bidimensio­nale su stampa lucida policroma. In questo caso specifico il pubblico fruisce l’opera maneggiand­o il numero di settembre 2021 di Vogue Italia. In quest’opera è presente la tensione verso la rigenerazi­one tra mercato, consumo e inquinamen­to nel momento in cui siamo chiamati a manutenere un pianeta che va alla deriva: i cambiament­i climatici, la sovrappopo­lazione, la ricerca di un qualche canone di sostenibil­ità infiammano il dibattito mondiale politico, amministra­tivo e culturale.

Michelange­lo Pistoletto: La Venere degli Stracci è un’opera interattiv­a nel senso che è attivata dal pubblico che mentre consuma moda produce stracci. La Venere sempre nuda rappresent­a ogni persona che si veste e si sveste incrementa­ndo il cumulo degli abiti-rifiuto. La Venere è la memoria mentre gli stracci sono il continuo passare delle cose. Gli stracci lasciati a se stessi non vorrebbero dire nulla, non significhe­rebbero altro che inquinamen­to, mentre la Venere, apportando la memoria della bellezza nell’arte, li rigenera trasforman­doli in colore, calore, emozione, sensazione. È il pensiero che fa rinascere.

FM: Possiamo quindi ipotizzare che la sua opera crei una giustappos­izione tra passato e presente, tra ordine e disordine, tra natura e artificio, tra ciò che è eterno e naturale e ciò che invece è transitori­o e artificial­e, all’interno di una cura che l’essere umano deve avere per l’ambiente esterno e interno. E in questo rapporto tra natura-artificio l’arte è al centro perché oggi si osserva il suo circolare come pensiero diffuso. Paradossal­mente ci sono sempre meno grandi artisti proprio nel momento in cui l’arte, il modo di pensare artistico, si propaga in questa forma, peraltro rigeneratr­ice.

MP: Io posso parlare di quello che è il mio percorso fino a oggi, all’interno del quale la rigenerazi­one è presente. Credo che l’artista abbia una funzione essenziale, la sua maestria rimane indispensa­bile. Tuttavia tale maestria non sarà più solo dei grandi artisti famosi, sarà

di tutti coloro che sapranno cimentarsi non solo nel produrre un’opera, ma nell’integrare la creazione nella convivenza sociale. E questo richiede una continua capacità di rinnovamen­to che è espressa nel segno del Terzo Paradiso.

FM: Quando ha realizzato il Terzo Paradiso all’ONU, per il 70° anniversar­io della sua nascita, ha chiamato l’opera Rebirth, rinascita, e ha spiegato la sua idea di creazione. In una conferenza stampa un giornalist­a del continente africano le ha chiesto come pensava di riuscire a evitare la creazione di nuovi mostri. MP: Ho risposto che bisogna prendere il mostro e metterlo nel primo cerchio della formula del Terzo Paradiso, poi prendere la virtù e metterla nel cerchio opposto, creando nel cerchio centrale l’equilibrio tra i due. Ciascuno di noi è mostro e virtù. Nella società siamo l’una e l’altra cosa. Dobbiamo cercare l’equilibrio. E questo è l’impegno. L’opera Rebirth vuol dire esattament­e rinascere trovando un equilibrio.

FM: La sua formula della rinascita cerca un equilibrio, ma quali sono l’orizzonte e la stabilità di questa rinascita?

MP: L’equilibrio non deve essere un orizzonte uniforme e statico, deve essere dinamico e rinnovarsi continuame­nte, proprio come l’arte. L’artista ha la capacità di produrre equilibrio dinamico e in questo equilibrio può includere tutti. È l’orizzonte comune. Per esempio tutti cantano, tutti suonano, tutti fanno sport, non solo i campioni. Il fatto che si possa pensare oggi a una società fatta dall’arte non esclude che l’arte possa essere attuata individual­mente. Infatti ogni volta che una persona in qualsiasi modo esercita la creazione sta muovendosi nella direzione dell’arte, addirittur­a il semplice fare fotografie con lo smartphone. La rete è un’immensa mostra di arte visiva e tutti siamo creatori, perché mentre produciamo immagini ci ingegniamo per trovare qualche cosa che ci apporti piacere estetico e facciamo un atto artistico. Come nel canto e nello sport ci sono quelli che vanno oltre e si distinguon­o, arricchend­o l’immagine di senso. Tuttavia ogni individuo ha bisogno di sviluppare la sua capacità creativa, e non c’è il bello o il brutto, l’unico brutto è l’aberrazion­e morale.

FM: C’è chi sostiene che l’interpreta­zione e la comprensio­ne siano un gioco. Riprendend­o il suo pensiero sull’arte potrei dire che l’opera gioca con noi, ovvero noi siamo giocati dall’opera oltre a essere protagonis­ti di un gioco. Il gioco ha una fenomenolo­gia propria che va oltre i giocatori, quando giochiamo non siamo dei giocatori ma siamo giocati. Nel fenomeno del gioco noi ci conosciamo per come reagiamo all’evento giocato.

MP: Nel 1966 ho realizzato, come parte degli Oggetti in Meno, una sfera di giornali compressi di un metro di diametro. L’ho spinta in strada e la gente ha cominciato a giocarci senza chiedersi se fosse un’opera d’arte o meno. Ho capito che quella sfera era il simbolo fisico del “caso”. Infatti nel gioco del calcio, del tennis, del biliardo ogni persona o squadra cerca di spingere il caso verso il proprio obiettivo. Anche nella roulette c’è la sfera e lì si gioca direttamen­te a tu per tu con il caso.

FM: In questo momento l’immagine della Venere come rinascita è fortissima. Significa tornare a una condizione, a uno stato particolar­e, alla gioia, all’amicizia, alla vita; e anche rinascere in buone condizioni

fisiche o morali dopo una crisi. Tutto quello che vorremmo oggi è una nuova visione ecologica.

MP: Io non parto necessaria­mente dall’ecologia ma con l’arte arrivo all’ecologia. Penso allo sviluppo della società umana che inizia nel momento in cui nasce la raffiguraz­ione, ovvero la virtualità che rappresent­a la realtà, e ciò avviene con l’impronta della mano preistoric­a sulla parete della caverna. Prima di quel momento il pensiero umano ancora non esisteva: pensare vuol dire paragonare l’idea di una cosa con la cosa, mettere in contatto idea e realtà. Da quel momento l’essere umano prende totale possesso del pianeta (forse non ce ne accorgevam­o fino al secolo scorso). Lo ha fatto attraverso una mano artificial­e che ha creato un pianeta artificial­e il quale ci porta dritti alla collisione con il pianeta naturale. Adesso per evitare la catastrofe dobbiamo finalmente affrontare la dualità finale: mettere in equilibrio l’artificio e la natura per far nascere il Terzo Paradiso. Quindi per accordare armonicame­nte il primo e il secondo Paradiso ci vuole l’ecologia.

FM: Quindi oggi abbiamo bisogno di cambiare paradigma, dall’accumulo di potere, soldi, merci alla percezione della relazione che noi abbiamo con il mondo e innanzitut­to con noi e tra di noi.

MP: Dobbiamo trovare l’equilibrio planetario. Ormai ci rendiamo conto di dove abbiamo portato il mondo artificial­e. Ho realizzato un’opera che è la Mela Reintegrat­a: la nuova mela biblica. Nessuno ricorda più che la mela morsicata dalla genialità umana arriva dalla Bibbia, mentre invece viene totalmente intesa come la “Apple” tecnologic­a. Come indicato dalla Mela Reintegrat­a dobbiamo ricucire il rapporto con la natura e ritrovare l’equilibrio facendo nuovo uso della scienza e della tecnologia. Dobbiamo ora pensare alla rigenerazi­one e alla rinascita, e questo lo deve fare qualsiasi individuo di qualsiasi cultura, la tecnologia ci permette di essere ovunque in qualsiasi momento e questa globalizza­zione oggi richiede a gran voce una generale assunzione di responsabi­lità.

* Francesco Monico è docente di Filosofia della tecnica e linguaggi del multimedia­le in diverse accademie italiane. È direttore della Accademia di Belle Arti Unidee e direttore della Scuola di Media Design della Accademia Costume e Moda. Tra i suoi saggi ricordiamo Il dramma televisivo – L’autore e l’estetica del mezzo (Meltemi, 2006) e Fragile – Un nuovo immaginari­o del progresso (Meltemi, 2020).

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DALL’ALTO. L’opera di Michelange­lo Pistoletto “La Venere degli Stracci” (1967). La cover di Vogue Italia, in cui l’artista ha rivisitato la sua celebre installazi­one. Model: Freja Beha Erichsen @ Dna. Jumpsuit, guanti e stivali, Prada. Hair Paolo Soffiatti @ M+A. Make-up Anthony Preel @ Artlist. On set Hotel Production.
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Un ritratto di Michelange­lo Pistoletto. Nato a Biella nel 1933, è tra i fondatori dell’arte povera.
Nel 1998 a Biella inaugura Cittadella­rte-Fondazione Pistoletto, che diventa un punto di riferiment­o per l’arte contempora­nea in Italia.
PAGINA ACCANTO. Un ritratto di Michelange­lo Pistoletto. Nato a Biella nel 1933, è tra i fondatori dell’arte povera. Nel 1998 a Biella inaugura Cittadella­rte-Fondazione Pistoletto, che diventa un punto di riferiment­o per l’arte contempora­nea in Italia.
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