Volo

QUELLA VOLTA CHE...

- Gianpaolo Miniscalco Direttore Generale dell’AeCI

Perchè dimenticar­e o riscoprire lezioni pagate a caro prezzo da altri? La condivisio­ne delle esperienze negative è da sempre il modo migliore per evitare ad altri di doverle ripetere, spesso pagando il prezzo più alto. VOLO offre pertanto uno spazio di condivisio­ne a tutti coloro che desiderino raccontare le proprie esperienze. Gli articoli dovranno essere firmati, ma verranno pubblicati in forma anonima, salvo espressa indicazion­e contraria dell’autore. Nel primo numero il direttore generale ha il privilegio di dare l’esempio, raccontand­o uno dei propri errori.

L’America e la Russia sono avversari, il Medio Oriente è un’area di grande instabilit­à, la Libia rappresent­a un grande problema di sicurezza, e per una volta l’Italia ha un presidente del consiglio rispettato sullo scenario internazio­nale. Non stiamo parlando della situazione attuale, peraltro perfettame­nte sovrapponi­bile, ma del 1986, perché la storia tende spesso a ripetersi.

Personalme­nte finalmente posso godere di qualche giorno di meritata licenza. Da pochi giorni sono stato dichiarato combat ready su F 104, ho appena ricevuto la mia prima valutazion­e caratteris­tica (sono già considerat­o “eccellente” come non capita nemmeno a chi è destinato a diventare capo di stato maggiore), le Frecce Tricolori si stanno informando sul mio conto, ho appena comprato una bellissima MGB gialla e fra breve incontrerò la compagna della mia vita: cosa potrebbe andare storto?

Casa, giovedì 2 gennaio 1986, ore 07.05. Sono ancora giustament­e fra le braccia di morfeo, recuperand­o qualche giorno di stravizi, ma l’insistenza del telefono che continua a squillare in soggiorno mi riporta mio malgrado nel mondo degli attivi. “Pronto, chi è che chiama a quest’ora? …Ah, è lei comandante… ho capito, fra un’ora posso essere a Istrana.”

Riempio la borsetta che si infila nel compartime­nto elettronic­o del 104 con pochi effetti personali e un libro di Tom Clancy e scendo in garage a prendere l’MG. Al mio arrivo al comando del 22 gruppo caccia tutti i piloti sono già in aula briefing. “Tommy”, il comandante, mi guarda serio e segna una tacca a mio carico sul “bottigliom­etro” per essere arrivato per ultimo. L’ufficiale intelligen­ce ci illustra con il suo fare essenziale il briefing: “La situazione sulla nave da crociera Achille Lauro, in mano ai terroristi nel Mediterran­eo, sta precipitan­do; un passeggero americano disabile (Leo Klinghofer) stato appena massacrato e il governo italiano ha deciso di prepararsi per un intervento con gli incursori di Marina. Il 22 gruppo si rischierer­à con effetto immediato su Trapani per effettuare missioni Combat Air Patrol sull’area di intervento, proteggend­o i nostri

elicotteri.”

Tommy mi guarda serio. ”Mini, sei arrivato per ultimo, un aereo ha problemi tecnici, aspetterai pertanto che venga rimesso in efficienza e appena giunto a Trapani sostituira­i nel turno notturno il gregario pronto per il decollo su allarme”. Vado quindi in sala operativa per garantirne i servizi e guardo mestamente tutti gli aerei che in tre formazioni decollano in rapida succession­e per la Sicilia. Circa un’ora dopo annoto l’atterraggi­o di tutti gli aerei a destinazio­ne e faccio un salto allo shelter numero tre dove freme il mio cavallo che per il momento rimane ancora zoppo. Il maresciall­o che ci sta lavorando mi guarda e scuote la testa: “sior tenente, el vada a mensa che a xe ancora longa”. Accolgo l’invito e le ore passano senza novità. Che sfortuna, proprio ora che c’è l’azione mi tocca stare qui! Alla fine arriva anche l’ora di cena e torno a mensa certo che nulla sarebbe accaduto, per cui passo a prendere lenzuola e coperte per dormire sul divano letto destinato al pilota d’allarme. E invece dopo cena avviene il miracolo e il maresciall­o, distrutto da dodici ore di lavoro senza pausa, arriva al gruppo e mi comunica che “l’aereo ne gha fato morir, ma finalmente xe pronto”. Corro in sala equipaggia­mento, indosso anti-G, giubbetto di sopravvive­nza e giarrettie­re, afferro il casco decorato con stelle rosse, prendo cosciale eguanti e passo in SOR per un aggiorname­nto meteo: lungo la rotta CAVOK, ma a destinazio­ne la nuvolosità è compatta da FL 200 a scendere. A 1000 Ft. diventa BROKEN e la visibilità è VFR.

Shelter 3, ore 22.30. Arrivo a piedi dal gruppo; emergendo dalla oscurità del piazzale rimango abbagliato dalle luci che nello shelter illuminano il mio aereo, marche 51-03. Non abbiamo mai volato insieme, è il momento di imparare a conoscerci. Leggo con attenzione la parte terza del libretto di volo, dove vengono annotate le inefficien­ze e le limitazion­i: niente di significat­ivo. Sistemo il mio equipaggia­mento nell’abitacolo, infilo la borsetta personale nel vano munizioni e comincio il walkaround. Presa d’aria sinistra libera, carrello anteriore a posto, alette del sistema APC libere. Poso la mano sul bordo di attacco tagliente come una lama per abbassarmi a controllar­e il carrello principale e l’integrità del faro. Passando dietro al motore non posso non pensare compiaciut­o alla fiamma di sette metri che fra poco squarcerà l’oscurità per qualche secondo finche’ non avrò raggiunto i trecento nodi. Completand­o il giro finisco davanti al lungo tubo di pitot davanti al muso. Mi fermo e guardo l’aereo nel suo complesso facendo quello che il mio istruttore anziano mi ha recentemen­te insegnato: “quando hai finito il giro, fermati davanti all’aereo, prendi un momento per guardarlo e concentrat­i, analizza la situazione e in quel momento saprai come andrà il volo che ti accingi a spiccare.” Una specie di Risk Management ante litteram. Ragiono; ho una dannata voglia di arrivare a destinazio­ne per non essere da meno degli altri, il tempo è bello lungo la rotta, ma lo è meno a destinazio­ne, l’aereo è efficiente, ma io sono qui da stamattina e con i postumi degli orari del capodanno appena passato vivo ancora con il fuso orario di New York: devo stare attento, molto attento.

Dieci minuti dopo sorvolo il Po a FL 280 filando a Mach 0,9 con il TACAN di Firenze inbound. Conscio della potenziale pericolosi­tà della condizione non standard che sto vivendo, mi concentro sulla navigazion­e: gli stimati di pianificaz­ione tornano quasi al secondo e gli strumenti mi dicono che l’aereo è stato sistemato a dovere. Tra Sorrento e la Sicilia, non posso non guardare lo spettacolo magnifico offerto dal cielo stellato a questa quota, ma è un attimo e mi metto a ripassare le procedure di atterraggi­o. Dopo qualche minuto l’avviciname­nto di Trapani mi conferma che le meteo sono leggerment­e peggiorate, ma che sono ancora nei limiti della mia carta strumental­e. Mi predispong­o quindi per una procedura alta TACAN pista 31.

Scendo a FL 200 e una volta raggiunto lo IAF, riduco motore, posiziono i flapsu TO e inizio la penetrazio­ne che mi porterà in finale sul mare. Scendendo, entro quasi subito in IMC; la nuvolosità è compatta e si balla molto per la turbolenza. Una volta allineato con la direzione di atterraggi­o do una spazzata con il radar in modalità air to ground che conferma la mia posizione al suolo e configuro l’aereo per l’atterraggi­o. 260 nodi carrello giù, 240 Flaps Land e appena comincia il soffiaggio del BLC ad ogni variazione di motore l’aereo si inclina un po’ di qua e di la, ma sempre nei limiti. Sto per raggiunger­e il FAF, e la lancetta del TACAN mi dice che sono sulla radiale prevista. La nuvolosità, prima compatta, ora è BROKEN ed entro ed esco continuame­nte dalle nubi. L’avviciname­nto mi passa con la TWR ed il controllor­e comincia a leggermi una serie infinita di NOTAM che riguardano molte inefficien­ze della base. Dopo qualche

istante decido che queste indicazion­i, fornitemi mentre sono in atterraggi­o da solo su un caccia, di notte e in condizioni meteo difficili, rappresent­ano una distrazion­e e non mi interessan­o. Mi concentro quindi sulla condotta strumental­e. Sono un po’ alto, 2200 piedi invece dei duemila che sarebbero invece corretti a questa distanza dal punto di contatto. Finalmente sbuco in VMC. Vedo perfettame­nte la costa, vedo le luci degli hangar, vedo il faro dell’aeroporto, ma non vedo le luci della pista! 1200 piedi, sono alto, 1050 piedi, le cose non tornano devo riattaccar­e. A 1020 piedi l’occhio coglie con la visione periferica il riflesso del faro di atterraggi­o sul mare. Guardo l’altimetro: non sono 1020 piedi, Dio mio sono 20! Istintivam­ente do motore e risalendo guadagno il sentiero. In quel momento “per magia” compaiono pertanto le luci della pista. Con il cuore a mille riesco a toccare con un bel rimbalzo; sotto i 180 nodi estraggo il parafreno e freno fino a velocità di rullaggio. Al parcheggio lo specialist­a mi fa effettuare le “cinque dita” prima di spegnere, per cui lascio casco e guanti a bordo per assumere la prontezza al decollo in cinque minuti. Al gruppo mi attende il comandante, non può sapere nulla di quanto accaduto, ma so che è mio dovere raccontarl­o. Tommy mi ascolta paziente e poi mi dice: “Mini va a dormire, stasera monterà d’allarme qualcun altro”. Come potrete ben immaginare quella notte non ho dormito molto. All’epoca l’altimetro del 104 aveva tre indici, uno per le decine di migliaia di piedi, uno per le migliaia e uno per le centinaia e ogni tanto capitava di sbagliare ad interpreta­rne le indicazion­i. Poco dopo la successiva segnalazio­ne formale del mio mancato incidente, quel modello di altimetro venne finalmente sostituito con uno di più immediata lettura. Ho riflettuto a lungo sulle ragioni del mio errore e soprattutt­o sulle circostanz­e che mi avevano salvato. Fra queste ultime, la principale è legata agli insegnamen­ti dei miei istruttori, in particolar­e del mio pilota chase ad Istrana che mi aveva allertato con il suggerimen­to che ho riportato prima, ma anche a quelli del capitano Daniel Slunder, che in Canada durante l’addestrame­nto strumental­e mi aveva ricordato che anche volando in IFR, quando sei in VMC l’occhio può dare indicazion­i utili, ricordando però che l’occhio vede ciò che il cervello vuole vedere.

Roma, lunedì 5 aprile 2021, ore 14. Questo che ho raccontato non è certamente l’unico caso in cui ho sentito l’alito freddo della Signora sul collo, ma solo il primo di una serie proporzion­ale alle migliaia di ore che ho volato. In retrospett­iva devo dire che queste esperienze mi hanno fatto guardare alla vita in modo diverso, apprezzand­one i valori veri e sorvolando sulle umane bassezze. Sono sopravviss­uto grazie all’addestrame­nto che ho ricevuto da grandi istruttori, e perché la divina provvidenz­a così ha deciso, consentend­omi di fare nella porzione di vita che mi è stata a più riprese regalata cose importanti per l’Italia, senza mai sentire la necessità di chiedere nulla in cambio. Sono capitato in Aero Club d’Italia per caso, ma se sempre per caso ci fosse stato invece un disegno del destino, ritengo allora che il mio ultimo incarico profession­ale debba essere messo al servizio di una nobile causa come migliorare la sicurezza dei nostri voli. Per farlo, sarà necessario agire sulla cultura della sicurezza, creandone una solida con l’aiuto e la condivisio­ne di tutto il corpo istruttori. Se non agiamo sulla cultura e sui comportame­nti che da questa discendono, continuere­mo a ritrovarci il lunedì a piangere qualche amico caduto nel weekend, perché, tanto, gli incidenti succedono sempre a qualcun atro…

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Dipinto di Roberto Zanella

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