QUELLA VOLTA CHE...
Perchè dimenticare o riscoprire lezioni pagate a caro prezzo da altri? La condivisione delle esperienze negative è da sempre il modo migliore per evitare ad altri di doverle ripetere, spesso pagando il prezzo più alto. VOLO offre pertanto uno spazio di condivisione a tutti coloro che desiderino raccontare le proprie esperienze. Gli articoli dovranno essere firmati, ma verranno pubblicati in forma anonima, salvo espressa indicazione contraria dell’autore. Nel primo numero il direttore generale ha il privilegio di dare l’esempio, raccontando uno dei propri errori.
L’America e la Russia sono avversari, il Medio Oriente è un’area di grande instabilità, la Libia rappresenta un grande problema di sicurezza, e per una volta l’Italia ha un presidente del consiglio rispettato sullo scenario internazionale. Non stiamo parlando della situazione attuale, peraltro perfettamente sovrapponibile, ma del 1986, perché la storia tende spesso a ripetersi.
Personalmente finalmente posso godere di qualche giorno di meritata licenza. Da pochi giorni sono stato dichiarato combat ready su F 104, ho appena ricevuto la mia prima valutazione caratteristica (sono già considerato “eccellente” come non capita nemmeno a chi è destinato a diventare capo di stato maggiore), le Frecce Tricolori si stanno informando sul mio conto, ho appena comprato una bellissima MGB gialla e fra breve incontrerò la compagna della mia vita: cosa potrebbe andare storto?
Casa, giovedì 2 gennaio 1986, ore 07.05. Sono ancora giustamente fra le braccia di morfeo, recuperando qualche giorno di stravizi, ma l’insistenza del telefono che continua a squillare in soggiorno mi riporta mio malgrado nel mondo degli attivi. “Pronto, chi è che chiama a quest’ora? …Ah, è lei comandante… ho capito, fra un’ora posso essere a Istrana.”
Riempio la borsetta che si infila nel compartimento elettronico del 104 con pochi effetti personali e un libro di Tom Clancy e scendo in garage a prendere l’MG. Al mio arrivo al comando del 22 gruppo caccia tutti i piloti sono già in aula briefing. “Tommy”, il comandante, mi guarda serio e segna una tacca a mio carico sul “bottigliometro” per essere arrivato per ultimo. L’ufficiale intelligence ci illustra con il suo fare essenziale il briefing: “La situazione sulla nave da crociera Achille Lauro, in mano ai terroristi nel Mediterraneo, sta precipitando; un passeggero americano disabile (Leo Klinghofer) stato appena massacrato e il governo italiano ha deciso di prepararsi per un intervento con gli incursori di Marina. Il 22 gruppo si rischiererà con effetto immediato su Trapani per effettuare missioni Combat Air Patrol sull’area di intervento, proteggendo i nostri
elicotteri.”
Tommy mi guarda serio. ”Mini, sei arrivato per ultimo, un aereo ha problemi tecnici, aspetterai pertanto che venga rimesso in efficienza e appena giunto a Trapani sostituirai nel turno notturno il gregario pronto per il decollo su allarme”. Vado quindi in sala operativa per garantirne i servizi e guardo mestamente tutti gli aerei che in tre formazioni decollano in rapida successione per la Sicilia. Circa un’ora dopo annoto l’atterraggio di tutti gli aerei a destinazione e faccio un salto allo shelter numero tre dove freme il mio cavallo che per il momento rimane ancora zoppo. Il maresciallo che ci sta lavorando mi guarda e scuote la testa: “sior tenente, el vada a mensa che a xe ancora longa”. Accolgo l’invito e le ore passano senza novità. Che sfortuna, proprio ora che c’è l’azione mi tocca stare qui! Alla fine arriva anche l’ora di cena e torno a mensa certo che nulla sarebbe accaduto, per cui passo a prendere lenzuola e coperte per dormire sul divano letto destinato al pilota d’allarme. E invece dopo cena avviene il miracolo e il maresciallo, distrutto da dodici ore di lavoro senza pausa, arriva al gruppo e mi comunica che “l’aereo ne gha fato morir, ma finalmente xe pronto”. Corro in sala equipaggiamento, indosso anti-G, giubbetto di sopravvivenza e giarrettiere, afferro il casco decorato con stelle rosse, prendo cosciale eguanti e passo in SOR per un aggiornamento meteo: lungo la rotta CAVOK, ma a destinazione la nuvolosità è compatta da FL 200 a scendere. A 1000 Ft. diventa BROKEN e la visibilità è VFR.
Shelter 3, ore 22.30. Arrivo a piedi dal gruppo; emergendo dalla oscurità del piazzale rimango abbagliato dalle luci che nello shelter illuminano il mio aereo, marche 51-03. Non abbiamo mai volato insieme, è il momento di imparare a conoscerci. Leggo con attenzione la parte terza del libretto di volo, dove vengono annotate le inefficienze e le limitazioni: niente di significativo. Sistemo il mio equipaggiamento nell’abitacolo, infilo la borsetta personale nel vano munizioni e comincio il walkaround. Presa d’aria sinistra libera, carrello anteriore a posto, alette del sistema APC libere. Poso la mano sul bordo di attacco tagliente come una lama per abbassarmi a controllare il carrello principale e l’integrità del faro. Passando dietro al motore non posso non pensare compiaciuto alla fiamma di sette metri che fra poco squarcerà l’oscurità per qualche secondo finche’ non avrò raggiunto i trecento nodi. Completando il giro finisco davanti al lungo tubo di pitot davanti al muso. Mi fermo e guardo l’aereo nel suo complesso facendo quello che il mio istruttore anziano mi ha recentemente insegnato: “quando hai finito il giro, fermati davanti all’aereo, prendi un momento per guardarlo e concentrati, analizza la situazione e in quel momento saprai come andrà il volo che ti accingi a spiccare.” Una specie di Risk Management ante litteram. Ragiono; ho una dannata voglia di arrivare a destinazione per non essere da meno degli altri, il tempo è bello lungo la rotta, ma lo è meno a destinazione, l’aereo è efficiente, ma io sono qui da stamattina e con i postumi degli orari del capodanno appena passato vivo ancora con il fuso orario di New York: devo stare attento, molto attento.
Dieci minuti dopo sorvolo il Po a FL 280 filando a Mach 0,9 con il TACAN di Firenze inbound. Conscio della potenziale pericolosità della condizione non standard che sto vivendo, mi concentro sulla navigazione: gli stimati di pianificazione tornano quasi al secondo e gli strumenti mi dicono che l’aereo è stato sistemato a dovere. Tra Sorrento e la Sicilia, non posso non guardare lo spettacolo magnifico offerto dal cielo stellato a questa quota, ma è un attimo e mi metto a ripassare le procedure di atterraggio. Dopo qualche minuto l’avvicinamento di Trapani mi conferma che le meteo sono leggermente peggiorate, ma che sono ancora nei limiti della mia carta strumentale. Mi predispongo quindi per una procedura alta TACAN pista 31.
Scendo a FL 200 e una volta raggiunto lo IAF, riduco motore, posiziono i flapsu TO e inizio la penetrazione che mi porterà in finale sul mare. Scendendo, entro quasi subito in IMC; la nuvolosità è compatta e si balla molto per la turbolenza. Una volta allineato con la direzione di atterraggio do una spazzata con il radar in modalità air to ground che conferma la mia posizione al suolo e configuro l’aereo per l’atterraggio. 260 nodi carrello giù, 240 Flaps Land e appena comincia il soffiaggio del BLC ad ogni variazione di motore l’aereo si inclina un po’ di qua e di la, ma sempre nei limiti. Sto per raggiungere il FAF, e la lancetta del TACAN mi dice che sono sulla radiale prevista. La nuvolosità, prima compatta, ora è BROKEN ed entro ed esco continuamente dalle nubi. L’avvicinamento mi passa con la TWR ed il controllore comincia a leggermi una serie infinita di NOTAM che riguardano molte inefficienze della base. Dopo qualche
istante decido che queste indicazioni, fornitemi mentre sono in atterraggio da solo su un caccia, di notte e in condizioni meteo difficili, rappresentano una distrazione e non mi interessano. Mi concentro quindi sulla condotta strumentale. Sono un po’ alto, 2200 piedi invece dei duemila che sarebbero invece corretti a questa distanza dal punto di contatto. Finalmente sbuco in VMC. Vedo perfettamente la costa, vedo le luci degli hangar, vedo il faro dell’aeroporto, ma non vedo le luci della pista! 1200 piedi, sono alto, 1050 piedi, le cose non tornano devo riattaccare. A 1020 piedi l’occhio coglie con la visione periferica il riflesso del faro di atterraggio sul mare. Guardo l’altimetro: non sono 1020 piedi, Dio mio sono 20! Istintivamente do motore e risalendo guadagno il sentiero. In quel momento “per magia” compaiono pertanto le luci della pista. Con il cuore a mille riesco a toccare con un bel rimbalzo; sotto i 180 nodi estraggo il parafreno e freno fino a velocità di rullaggio. Al parcheggio lo specialista mi fa effettuare le “cinque dita” prima di spegnere, per cui lascio casco e guanti a bordo per assumere la prontezza al decollo in cinque minuti. Al gruppo mi attende il comandante, non può sapere nulla di quanto accaduto, ma so che è mio dovere raccontarlo. Tommy mi ascolta paziente e poi mi dice: “Mini va a dormire, stasera monterà d’allarme qualcun altro”. Come potrete ben immaginare quella notte non ho dormito molto. All’epoca l’altimetro del 104 aveva tre indici, uno per le decine di migliaia di piedi, uno per le migliaia e uno per le centinaia e ogni tanto capitava di sbagliare ad interpretarne le indicazioni. Poco dopo la successiva segnalazione formale del mio mancato incidente, quel modello di altimetro venne finalmente sostituito con uno di più immediata lettura. Ho riflettuto a lungo sulle ragioni del mio errore e soprattutto sulle circostanze che mi avevano salvato. Fra queste ultime, la principale è legata agli insegnamenti dei miei istruttori, in particolare del mio pilota chase ad Istrana che mi aveva allertato con il suggerimento che ho riportato prima, ma anche a quelli del capitano Daniel Slunder, che in Canada durante l’addestramento strumentale mi aveva ricordato che anche volando in IFR, quando sei in VMC l’occhio può dare indicazioni utili, ricordando però che l’occhio vede ciò che il cervello vuole vedere.
Roma, lunedì 5 aprile 2021, ore 14. Questo che ho raccontato non è certamente l’unico caso in cui ho sentito l’alito freddo della Signora sul collo, ma solo il primo di una serie proporzionale alle migliaia di ore che ho volato. In retrospettiva devo dire che queste esperienze mi hanno fatto guardare alla vita in modo diverso, apprezzandone i valori veri e sorvolando sulle umane bassezze. Sono sopravvissuto grazie all’addestramento che ho ricevuto da grandi istruttori, e perché la divina provvidenza così ha deciso, consentendomi di fare nella porzione di vita che mi è stata a più riprese regalata cose importanti per l’Italia, senza mai sentire la necessità di chiedere nulla in cambio. Sono capitato in Aero Club d’Italia per caso, ma se sempre per caso ci fosse stato invece un disegno del destino, ritengo allora che il mio ultimo incarico professionale debba essere messo al servizio di una nobile causa come migliorare la sicurezza dei nostri voli. Per farlo, sarà necessario agire sulla cultura della sicurezza, creandone una solida con l’aiuto e la condivisione di tutto il corpo istruttori. Se non agiamo sulla cultura e sui comportamenti che da questa discendono, continueremo a ritrovarci il lunedì a piangere qualche amico caduto nel weekend, perché, tanto, gli incidenti succedono sempre a qualcun atro…