UNA MOTO CHE VOLA... da 100 anni
La Guzzi compie un secolo di vita. Nasce grazie all’entusiasmo e alle competenze di due uomini strettamente legati all’aeronautica: Il tecnico motorista Carlo Guzzi e il pilota Giorgio Parodi. Un connubio illuminato e visionario che ha generato moto incredibili e di enorme successo, oltre a pezzi unici come la Otto cilindri 500, la più straordinaria moto da corsa mai concepita. Questa è la storia della prima moto, la “Normale” 500. E pure di quanto la Guzzi sia naturalmente connessa alle macchine volanti
Il segreto dei 100 anni di vita della Moto Guzzi è impresso sul suo serbatoio: l’aquila che si libra ad ali spiegate. Questo fregio mostra chiaramente qual è il retaggio che accompagna da sempre il più famoso Marchio di motociclette italiane. Aeronautiche sono le sue origini, legati al volo i suoi fondatori, il milanese Carlo Guzzi e il genovese Giorgio Parodi. Sono compagni d’armi nella Regia Marina durante il primo conflitto Mondiale; appartengono alla squadriglia Sant’Andrea basata a Venezia: iI primo è un abile tecnico, che conosce vita, morte e miracoli dei motori Isotta-Fraschini degli idrovolanti, il secondo è un pilota che si distingue per coraggio, ardimento e passione per il volo. Carlo Guzzi ha 32 anni e ha un sogno che lo accompagna da sempre: vuole costruire una motocicletta, ma che sia un mezzo ben diverso dalle due ruote che scorazzano per le strade impolverate di allora. La vuole affidabile, ottima nelle prestazioni, facile da mettere a punto, che non consumi in modo esagerato. Giorgio ha 24 anni, è il figlio dell’armatore navale Vittorio Emanuele Parodi, ovvero del finanziatore di questa impresa esaltante e unica, e anche lui ama la motocicletta, ma ancora di più la sfida, la competizione. A loro si aggiunge Giovanni Ravelli che, oltre a essere un pilota di aerei (prende parte a 117 missioni di guerra), è anche un abile motociclista, un corridore che ha partecipato al Tourist Trophy del 1913 su una Premier. Ma Ravelli non vedrà mai quella moto che fila veloce sul lungolago di Como perché muore a Venezia nel 1919, durante il collaudo di un velivolo. Per onorarlo i due compagni decidono che l’aquila che si staglia sul petto dei piloti debba essere pure il
simbolo della Moto Guzzi. L’esperienza aeronautica acquisita da Carlo costituisce la base tecnica per la realizzazione della prima moto, una monocilindrica con il cilindro piazzato in orizzontale, una caratteristica che sarà mantenuta e sviluppata negli anni. La “nuova grande Marca italiana” è citata per la prima volta sulla rivista Motociclismo alla fine del 1920. Nel servizio si annuncia, in modo misterioso, l’arrivo di un’inedita “macchina” per la prossima primavera. Dalla fotografia sbiadita appare una moto semplice nel disegno, essenziale nel telaio.
La Guzzi che sarà costruita nel 1921 non è esattamente quella che voleva il tecnico milanese. La sua prima moto è audace nelle scelte progettuali, una monocilindrica con la testata a quattro valvole, un telaio in tubi e lastre di lamiera, uniti da saldature e rivetti, una soluzione molto aeronautica. Guzzi costruisce il prototipo (che ancora oggi vediamo al museo nella fabbrica di Mandello del Lario), lo chiama G.P. dalle iniziali dei cognomi dei fondatori dell’azienda, ma la prima, vera, Moto Guzzi è una moto più semplice, meno costosa nella costruzione, ma ugualmente fondamentale nel panorama motociclistico, anzi rivoluzionaria rispetto alle moto di quel periodo: si chiama “Normale” è ha una cilindrata di 498 cc. Il veicolo “motocicletta”
cammina sulle strade da prima degli inizi del secolo, ma a fronte di rare eccezioni, abbiamo davanti poco più che delle biciclette che montano un motore dalla scarsa resistenza meccanica, dalla limitata percorrenza chilometrica. Non si pensa ancora alla moto come un vero mezzo di trasporto. Guzzi introduce i concetti di affidabilità, durata e razionalità costruttiva che ha conosciuto lavorando sui motori usati in aviazione: così il cilindro è piazzato in orizzontale nella situazione ideale per il raffreddamento e per migliorare il baricentro abbassandolo, un grande volano esterno regolarizza l’erogazione ai bassi regimi, la lubrificazione è forzata a carter secco per arrivare in ogni parte del motore, la corsa del pistone è inferiore rispetto all’alesaggio, il cambio a tre marce è ospitato nello stesso carter del motore ed è in comune con la frizione, la biella ha una sezione tubolare per essere più rigida, le candele di accensione sono due per avere una migliore combustione, ma pure ridondanza di funzionamento. Dove sta la genialità di Guzzi? Proprio nell’aver messo insieme e amalgamato tutti questi particolari, oltre al fatto di utilizzare la migliore componentistica: Bosch per il magnete, il carburatore inglese Amac da 1”, pneumatici Dunlop, catene Renold e cuscinetti svedesi nel motore. Queste le prestazioni: potenza 8,5 CV a 3.400 giri/min, velocità massima 90 km/h, consumo carburante 28 km/l, consumo olio 350 km/l. Di queste moto d’avanguardia ne saranno costruite 17 il primo anno, nel 1922 saranno 139 e in totale ne verranno prodotti, sino al 1924, 2.065 esemplari.
La Guzzi e l’aeronautica
Come il maresciallo motorista Carlo Guzzi sia arrivato a costruire la sua Normale 500 lo avete già letto, ma l’aquila a Mandello del Lario è capace di svettare su altre realizzazioni oltre che sul serbatoio, confermando il retaggio aeronautico dell’intera azienda. Per esempio: la Guzzi è la prima industria motociclistica a dotarsi di una galleria del vento per provare le sue moto. Siamo nel 1950 e l’esigenza di verificare le prestazioni delle carenature montate sulle moto da competizione diventa prioritaria per battere le rivali. La mastodontica struttura di prova è lunga 28,5 m, la bocca di entrata dell’aria ha un diametro di 8,2 m e per muovere il flusso che scorre a 220 km/h si utilizza un’elica aspirante a tre pale con passo variabile che è collegata a un motore elettrico da 228 kW.
La galleria è ufficialmente inaugurata nell’aprile 1954, ma è utilizzata con largo anticipo: la prima moto che entra nel tunnel è la 250 bialbero del 1953. E’ caratterizzata da una carenatura a “becco d’uccello”, così chiamata per l’evidente protuberanza nella parte anteriore; la protuberanza applicata alla carena serve ad aumentare il carico sulla ruota anteriore, esattamente come succede oggi sulle moderne MotoGP dotate di varie alette e alettoni che svolgono un effetto deportante. Poi arrivano i modelli con la carenatura integrale, detta a “campana”, sino alle macchine da record di velocità che devono avere un abito che permetta all’aria di scivolare al meglio.