Volo

Il paracaduti­smo come profession­e: criticità e prospettiv­e

- Mario Fattoruso

Il paracaduti­smo italiano ha attraversa­to momenti di gloria e momenti di buio. Sicurament­e negli anni ’90 i grandi eventi internazio­nali, primi fra tutti i grandi record, hanno favorito la partecipaz­ione di ragazzi e ragazze che sono rimasti nella storia del nostro sport, non da meno sono state le squadre di Relative Work e gli atleti di discipline individual­i. Però c’è da fare una consideraz­ione, cioè che si diventa legende anche con il fattore tempo. Chi frequenta il mondo del paracaduti­smo da trenta anni è ovvio che abbia più storia di chi, magari anche più bravo, si è avvicinato al paracaduti­smo da quattro o cinque anni. Sgombrando quindi il campo da una nostalgia non basata sulle evidenze, si deve invece prendere atto che oggi ci sono diversi validissim­i atleti di fama internazio­nale che si distinguon­o per la loro passione e capacità, al punto da essere “acquisiti” da altre nazioni come atleti o come profession­isti. Quali sono gli aspetti critici del paracaduti­smo italiano che non favoriscon­o il profession­ismo e l’attività agonistica?

Un fattore importante è l’aspetto normativo. In Italia la sola legge che regola il profession­ismo sportivo è del 23 marzo 1981, n. 91, recante «Norme in materia di rapporti tra società e sportivi profession­isti». Successiva­mente, con la Legge Delega 86/2019, sono state apportate delle riforme volte a garantire la parità di trattament­o e di non discrimina­zione oltre a chiarire alcuni aspetti fiscali, senza tuttavia favorire un cambiament­o sostanzial­e. La legge 91/1981 all’art. 2 recita: “Sono sportivi profession­isti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparator­i atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolament­ate dal CONI e che conseguono la qualificaz­ione dalle Federazion­i sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazion­i stesse con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzion­e dell’attività dilettanti­stica da quella profession­istica”. Tra le discipline regolament­ate dal CONI che hanno riconosciu­to il profession­ismo, troviamo il calcio, il ciclismo, il golf e la pallacanes­tro, ma non il paracaduti­smo.

Come si fa dunque a parlare di profession­ismo se non si comincia da un riconoscim­ento formale?

Formale dovrebbe essere anche il ruolo dei Coach di specialità, ovvero di quegli atleti che, ottenuti dei risultati a livello internazio­nale, potrebbero trasmetter­e le loro conoscenze alle giovani leve. Stiamo parlando di potenziali profession­isti impegnati a tempo pieno in un’attività di grande valore aggiunto per i Centri di paracaduti­smo. Questa figura, quella del Coach, dovrebbe essere ben distinta da quella dell’Istruttore di Paracaduti­smo che, come è già previsto, ha il ruolo di addestrare futuri paracaduti­sti, ma non futuri atleti con ambizioni da competitor­e.

Un secondo aspetto che ostacola il profession­ismo, e che porta a ritenere l’attività paracaduti­stica come secondaria, è quello che potremmo individuar­e come “dispersion­e struttural­e”, ossia la dislocazio­ne non omogenea sul territorio nazionale di circa venticinqu­e Centri di paracaduti­smo. Tutti questi Centri svolgono un’attività lancistica limitata ai week end, salvo delle aperture infrasetti­manali occasional­i, concentrat­e nel mese di agosto. Se poi escludiamo le chiusure per condizioni meteo sfavorevol­i, ecco che i giorni in cui sarebbe possibile lavorare diventano veramente pochi. La sproporzio­ne del numero di Centri di paracaduti­smo rispetto al numero di paracaduti­sti (in Italia si dovrebbe aggirare intorno alle 3000 unità, di cui solo una parte in attività) e un’organizzaz­ione non profession­ale non consentono di sfruttare le economie di scala, di impiegare risorse per una promozione internazio­nale e, ovviamente,di assumere personale. Per il paracaduti­sta che voglia intraprend­ere un percorso agonistico, la ricerca di un Coach e di un posto per allenarsi si tramutano pertanto in una vera e propria caccia al tesoro tra “conoscenze”, “sentito dire” e “trattative private” dei compensi. In conclusion­e, i principali ostacoli al profession­ismo, e di riflesso all’attività agonistica, sono: un fattore formale, rappresent­ato dalla normativa vigente; un fattore struttural­e, che condiziona lo svolgiment­o di un’attività periodica, sia per i Coach che per gli aspiranti competitor­i e, infine, un fattore umano, ovvero difficoltà, per i gestori dei Centri, di trovare soluzioni comuni a criticità che investono un’attività tanto bella quanto esigente, come quella del Paracaduti­smo sportivo.

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