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THE FIGHTER

LA FAMIGLIA, LA PALESTRA, LE MEDAGLIE D' ORO ALLE OLIMPIADI, LE ONORIFICEN­ZE, LA FIDANZATA: LA CAMPIONESS­A DI BOXE RACCONTALE SUE BATTAGLIE, SUL RING E PERIDI RITTILGBT

- Nicola Adams DI Justin Wood ART

La pugile inglese Nicola Adams, vincitrice di due ori olimpici e bandiera del movimento Lgbt, nell’autobiogra­fia Believe racconta la sua vita, ripercorre­ndo gli incontri più duri. Sostenuti sul ring ma anche fuori dal ring. A sei mesi già cammina, a sei anni preferisce la bici da cross ai giocattoli; combatte contro un sistema immunitari­o che le causa l’asma e un disturbo dell’attenzione che ne rallenta il percorso scolastico. Spesso si domanda come sarebbe finita se, da adolescent­e, non avesse scoperto il pugilato. Sin dal primo colpo vibrato in aria ha capito che l’avrebbe portata alla felicità. In palestra sono tutti maschi, più forti e grandi, ma il suo talento le fa presto guadagnare il rispetto dei colleghi, nello sport in cui le donne hanno forse meno voce in capitolo. Non amava né ama lamentarsi: preferisce cambiare le cose. Magari vincendo l’oro a Londra 2012, prima edizione in cui il pugilato femminile è ammesso tra le discipline olimpiche. Quando manda al tappeto la cinese Ren Cancan, rivale di sempre, e quando quattro anni dopo a Rio la ributta giù, mostra a tutti che i limiti non sono una giustifica­zione. Lei, ragazza “diversa” nata in periferia, ha raggiunto la vetta più alta del mondo grazie a un’incrollabi­le fiducia nei suoi mezzi di donna, di nera, di bisessuale. Oggi è una delle voci più influenti della comunità gay e la sua metà, che presto sposerà, è la pugile statuniten­se Marlen Esparza.

«La Abae (Amateur boxing associatio­n of England, ndr) è stata praticamen­te obbligata a permettere alle donne di avere le stesse opportunit­à degli uomini grazie all’insistenza di noi atlete. Nonostante ci allenassim­o per le stesse competizio­ni, non eravamo una priorità; gli uomini venivano prima e noi non avevamo altra scelta che occupare i posti più indietro. Sapevo che all’epoca c’era una mentalità retrograda ma, ripensando­ci oggi, tutto sembra ancora più scioccante. Molte delle ragazze possedevan­o grandi doti, eppure nessuno credeva in noi. La cosa incredibil­e è che nessuno tra i pugili maschi era in alcun modo infastidit­o dal fatto che fossimo donne ed erano sempre molto amichevoli e incoraggia­nti nei nostri confronti. Erano gli allenatori ad avere un problema con noi; per loro la boxe era uno sport maschile. È come quando qualcuno dice che gli uomini non dovrebbero fare nuoto sincronizz­ato o ginnastica. E perché no? Chi scrive le regole su ciò che gli uomini e le donne dovrebbero fare? Il motivo per cui non eravamo ammesse al pugilato prima del 1996 è perché, a quanto pare, il ciclo mestruale ci rende instabili. Non sto scherzando. S’immaginava­no una donna che sale sul ring con la sindrome premestrua­le e dà di matto. Il fatto che non sia passato molto tempo, da allora, è preoccupan­te. Ma poi penso che neanche troppi anni fa le donne non potevano neanche votare.

[…] Non ho parole per descrivere il momento in cui ho realizzato che avevo vinto l’oro alle Olimpiadi. Ero la prima campioness­a di boxe della storia dei Giochi. Quel giorno ho capito che tutto è possibile. Se tu credi in te stesso e non lasci che niente e nessuno ti sbarri la strada, puoi avere tutto quello che vuoi. Una delle cose più importanti per me, a prescinder­e da quello che farò in futuro, è continuare a ispirare altre donne. Crescendo non ho avuto molti modelli femminili, a parte mia madre, e purtroppo non c’erano pugili olimpionic­he da ammirare. Ecco perché è così elettrizza­nte per me essere oggi un modello per le giovani.

Sono del tutto dalla parte delle donne, la cosa bu •a è che in passato non mi considerav­o una femminista perché, onestament­e, avevo un’idea distorta del suo significat­o. Pensavo: se sei femminista, allora sei contro gli uomini e tutto ti fa arrabbiare. Oggi sono sicura che le femministe erano dipinte così per evitare che le donne si unissero e si facessero sentire. Solo quando ho “googlato” la parola "femminismo" ho capito che indica una persona che vuole uguaglianz­a per entrambi i sessi. Chi mai non lo vorrebbe? Per vent’anni ho cercato di trasformar­e la boxe in uno sport alla pari, per uomini e donne, e lo faro nei prossimi vent’anni e oltre.

[…] Non ho problemi a dire che sono bisessuale ma quando, all’inizio della carriera, ho cominciato a rilasciare interviste, non sapevo cosa dire circa la mia sessualità. Non credevo fosse qualcosa di cui dovessi parlare, perché nulla aveva a che fare con la mia boxe. Non voglio che la gente pensi che mi vergogno di dire che sono bisessuale, perché è l’ultima cosa che sento, e nel momento in cui mi è stato chiesto se lo fossi, non ho esitato a rispondere in modo onesto. Non avevo paura che qualcuno mi scoprisse, perché francament­e di che cosa stiamo parlando? Se qualcuno ha dei problemi con il fatto di essere bisessuale – e ricordiamo­ci che non viviamo negli anni Cinquanta – be' sono fatti suoi.

o fatto il mio coming out “u Ÿciale” a 15 anni. Per prima l’ho detto a mia madre. Ero nervosa, non sapevo quale sarebbe stata la sua reazione. Cosa avrebbe detto? Avrebbe gridato? Avrebbe subito uno shock? Eravamo in cucina, iniziai a parlarle preparando­mi al peggio: “Mamma, devo dirti una cosa, sono bisessuale”. E lei, come se niente fosse: “Oh, è ok, lo sapevo già. Ti dispiace accendere il bollitore?”. […] Essere in cima alla “Pink List” del 2012, l’elenco delle persone più influenti del movimento Lgbt pubblicata dall’Independen­t on Sunday, è stato un gran successo per me. Aver battuto Jessie J mi ha dato grande soddisfazi­one. Ho sempre appoggiato le iniziative del movimento. Ho anche vinto un paio di “Attitude Awards” e sono stata intervista­ta da Attitude e Diva. Guardavo sempre il mio eroe Mohammed Ali che diceva: “Sono il più grande”, adesso posso dirlo anche io. Sono dove volevo essere e sono tutto quello che ho sempre desiderato essere».

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