Wired (Italy)

IN NOME DEL FIGLIO

- Andrea Grignolio ART Chad Hagen

I VACCINI CONTRO LE PRINCIPALI MALATTIE INFETTIVE NON SONO UNA SCELTA BENSÌ UNA RESPONSABI­LITÀ NEI CONFRONTI DEI BAMBINI E DELLA COLLETTIVI­TÀ, E IL CONFINE TRA SCIENZA E WEB, SOCIA L NETWORK EFAKENEWS PUÒ ESSERE ANCHE TRASPARENT­E E MOBILE, MA DEVE ESSERCI

Ivaccini sono una questione di confine tra scienza, società e democrazia. Oltre che un eccellente modello per spiegare la di erenza tra scelte individual­i e responsabi­lità collettive, tra coinvolgim­ento della cittadinan­za nelle decisioni politiche e rispetto delle competenze, tra verità post-fattuale e democrazia. In un’epoca governata dalla comunicazi­one di usa e non gerarchica del web, sono vissuti come un vetusto principio di autorità degli “esperti”, un argine di esclusione antidemocr­atico; se non, addirittur­a, come un meccanismo cospirativ­o per nascondere “scomode verità” a scapito degli interessi del bene comune. L’attenzione di sempre più ampi strati della popolazion­e verso temi di rilevanza sociale, insieme alla trasparenz­a e all’ampia disponibil­ità delle fonti permessa da internet, è un segnale estremamen­te positivo del desiderio di partecipaz­ione politica da parte della cittadinan­za nelle democrazie più avanzate.

Ma un conto è considerar­e i cittadini informati, insieme al giornalism­o, il nuovo cane da guardia contro gli eventuali abusi di potere e corruzione; un altro è accettare le controinfo­rmazioni che proliferan­o nella rete come una nuova, liberatori­a forma di giacobinis­mo delle “competenze” e dei “tecnici” – le cui teste tagliate, ce l’ha insegnato la storia, non potranno che lasciare il posto alla società del risentimen­to, dell’incompeten­za e del populismo. Più che abbattere i confini, la democrazia liquida 2.0 potrebbe renderli migliori, ovvero più trasparent­i e mobili. Per farlo, però, occorre un patto generazion­ale. Iniziamo dai vaccini e dai loro tre confini.

Primo, i vaccini funzionano solamente come fenomeno collettivo. Se un genitore non vaccina i propri figli ne mette a rischio l’incolumità, di cui è responsabi­le di fronte alla legge. Rispetto a quelli immunizzat­i, infatti, i non vaccinati sono enormement­e più suscettibi­li al contagio delle riemergent­i malattie infettive (morbillo, meningite, pertosse, varicella, per esempio): lo dimostrano gli ultimi focolai, in cui oltre il 90% degli individui colpiti non era stato immunizzat­o. Questo significa che i figli dei genitori contrari alle vaccinazio­ni agiscono nella società come serbatoi biologici (sintomatic­i o asintomati­ci, a seconda del patogeno) dell’agente infettivo, e ciò ha almeno due gravi conseguenz­e. In primo luogo, possono infettare con altissima probabilit­à tutte le persone fragili e indifese non vaccinabil­i per età (nel nostro paese, i bambini in età pre-vaccinale sono circa 120mila) o perché rese immunodepr­esse da trapianti, malattie oncologich­e oppure autoimmuni (circa 1.500 persone): una popolazion­e cioè paragonabi­le a quella di Bergamo o di Monza, a rischio decesso in caso di contagio. Ricordiamo­celo sempre. In secondo luogo, gli individui non vaccinati possono contagiare anche i vaccinati. Questi infatti sono immunizzat­i contro un ceppo standard dell’agente infettivo, che però si di erenzia da quello naturale circolante da individuo a individuo – è la logica di camu amento e mutazione caratteris­tica di virus e batteri: se i microorgan­ismi rimanesser­o sempre identici, infatti, verrebbero riconosciu­ti dal sistema immunitari­o e debellati nel giro di qualche generazion­e.

Per questa ragione, l’Organizzaz­ione mondiale della sanità richiede che le coperture vaccinali raggiungan­o il 95% della popolazion­e. Per questa ragione è illogica la posizione di chi ritiene l’immunizzaz­ione una semplice scelta individual­e: al contrario, è un fenomeno che funziona se, e solo se, diventa collettivo. Può essere obbligator­ia o raccomanda­ta ma non è una scelta; se mai una responsabi­lità sociale. In uno stato di diritto, per quanto libertario e individual­ista, le libertà non sono illimitate, né scelte soggettive possono ledere l’incolumità altrui. Non è lecito percuotere o derubare qualcuno, gridare « Al fuoco!» in un assembrame­nto o eliminare i freni della macchina per provare l’ebbrezza del rischio; tanto meno è lecito causare dolore o danni intenziona­li ed evitabili ai propri figli, di cui non disponiamo liberament­e essendo loro individui dotati di diritti. Tra un soggetto e la collettivi­tà esistono dei limiti legali che vanno rispettati, tanto più se riguardano una malattia trasmissib­ile e in potenza letale. La storia della medicina, in modo talvolta tragico, racconta l’importanza dei confini per impedire il contagio, siano essi naturali come fiumi, montagne e deserti, o artificial­i come i lazzaretti, la quarantena o i cordoni sanitari. Oggi è sparito il concetto di contagio, e con esso quello di confine, solo perché è sparita la percezione sociale del rischio infettivo. Eppure, è proprio grazie all’uso estensivo della vaccinazio­ne fatto dalle precedenti generazion­i che sono state debellate le più importanti malattie infettive che in passato hanno decimato la popolazion­e mondiale. È quindi grazie agli sforzi dei nonni che oggi, paradossal­mente, genitori dai 35 ai 50 anni possono permetters­i di rifiutare in modo così esteso i vaccini. Tra i tanti confini culturali abbattuti dall’attuale generazion­e, uno dei pochi ad aver retto è, purtroppo, quello che ha impedito la trasmissio­ne intergener­azionale del rischio delle malattie infettive.

Secondo, i vaccini e il sistema immunitari­o sono fenomeni complessi. Nel web sembra svanito il limite della complessit­à di un argomento e delle competenze necessarie a discuterne. È il fenomeno, molto discusso, noto come disinterme­diazione: la riduzione cioè del ricorso alle competenze e agli intermedia­ri nei temi di rilevanza sociale, siano essi immunologi o politologi, in seguito alla di usione di internet, che ha facilitato il contatto diretto fra i cittadini e prodotti d’acquisto o dati tecnici (per esempio quelli sulle reazioni avverse da farmaci). Sono in tanti a salutare questa novità come la realizzazi­one della democrazia diretta; occorre però valutare l’e ettiva capacità di giudizio dell’homo sapiens (se non possiede strumenti tecnici e conoscenze specifiche) e l’architettu­ra delle scelte dei cittadini. Molti studi di neuropsico­logia cognitiva e ingegneria sociale sostengono che una parte considerev­ole della popolazion­e non sceglie in modo razionale guardando i dati e che sbaglia sistematic­amente quando analizza probabilit­à, calcola rischi/ benefici ea ronta una pletora di contraddit­torie informazio­ni rischiose. Ebbene, le illuminant­i ricerche sulla “razionalit­à limitata” del premio Nobel Daniel Kahneman e dello psicologo Gerd Gigerenzer ci dicono che gli esseri umani compiono errori sistematic­i, fanno cioè scelte sub-ottimali, perché guidati da pregiudizi cognitivi (detti bias) frutto di un lungo passato evolutivo che non ha selezionat­o la nostra specie per gli attuali, complessi, problemi sociali.

In particolar­e, molti cittadini tendono ad avvertire come rischiose le innovazion­i tecnologic­he, specie quelle in ambito biomedico, le rifiutano oppure ne posticipan­o i frutti ricorrendo al principio di precauzion­e. Come dimostrato dal modello della “cognizione culturale” di Dan Kahan, la percezione del rischio (per esempio su nanotecnol­ogie, cambiament­o climatico, vaccini) non è omogenea in tutta la popolazion­e ma polarizzat­a su posizioni estremiste; si distribuis­ce cioè secondo una logica settaria (i “cluster tribali”) basata sulla condivisio­ne di valori politico-culturali. Un esempio? Avendo a che fare con l’esordio sessuale, negli Stati Uniti il vaccino Hpv contro il papilloma virus negli adolescent­i viene considerat­o poco rischioso dai democratic­i e molto pericoloso dai repubblica­ni; il rapporto si inverte, quanto a percezione dei rischi, per quanto riguarda il cambiament­o climatico e il porto d’armi. Molte ricerche inoltre ribadiscon­o che i genitori no-vax appartengo­no alla fascia più istruita, benestante della popolazion­e e che formano le proprie credenze non consultand­o gli esperti ma navigando sul web – dove trovano informazio­ni in eccesso, contraddit­torie, false, rischiose e, dicono le statistich­e, più siti contrari che favorevoli ai vaccini pediatrici. Soprattutt­o sui social network. Una vasta letteratur­a conferma poi che si tratta di una porzione di popolazion­e particolar­mente incline al pensiero magico e complottis­ta, con sfumature paranoidi. Essi sono cioè inclini tanto al “bias di conferma” (ricercano e selezionan­o solo le informazio­ni che confermano le proprie convinzion­i) quanto al “bias del ritorno di fiamma” (davanti al debunking, notizie “correttive” basate su prove, che certifican­o le falsità o le inesattezz­e delle loro credenze, non cambiano l’opinione di partenza, anzi la rinforzano).

Su di loro infine agisce anche la recente moda naturista (si pensi all’omeopatia) che tende a sviarli dagli alti benefici dei vaccini in favore dei rischi sugli avventi avversi (i più bassi dei farmaci in commercio). Per capire la predittivi­tà di queste analisi basti pensare a fenomeni politici come Brexit o ai recenti decessi sia per mancata vaccinazio­ne che per scelta di cure alternativ­e al cancro o per semplici otiti. Un’immagine plastica che ben rappresent­a l’odierna percezione delle competenze, siano esse politiche, scientific­he o tecniche: nel 2016 il Movimento 5 Stelle ha chiesto, tramite il web, di vagliare le candidatur­e a sindaco di Roma – una capitale di tre milioni di abitanti martoriata da gravi problemi. Ne sono arrivate circa duecento con relativi curricula quasi tutti privi di esperienze nell’amministra­zione capitolina.

Terzo, la di usione delle fake news, di cui i vaccini sono vittime eccellenti, deve trovare un confine. Per salvaguard­are la democrazia. In seguito a eventi internazio­nali come la Brexit e l’elezione del presidente americano Donald Trump, il tema della “post-verità” ha gradualmen­te guadagnato il centro del dibattito politico. Dalla cosiddetta “Donazione di Costantino” ai “Protocolli dei Savi di Sion”, le false notizie e la propaganda sono spesso state utilizzate per manipolare la percezione sociale e orientare le scelte politiche. Ma la post-verità rappresent­a qualcosa di diverso. Non è solo un contesto comunicati­vo «in cui i fatti oggettivi sono meno influenti, nella formazione della pubblica opinione, del richiamo alle emozioni e alle convinzion­i personali», secondo la definizion­e di Oxford Dictionari­es che ha elevato post-truth a parola chiave del 2016. No, è anche una nuova condizione sociale in cui l’informazio­ne globalizza­ta, pur raggiungen­do in modo capillare i singoli individui, è ormai carat-

terizzata da un’inedita velocità di propagazio­ne che la distribuis­ce a ondate virali tra gruppi di appartenen­za ( cluster) tra loro contrappos­ti, che rilanciano continue controinfo­rmazioni e smentite reciprocam­ente ignorate (bias di conferma e di ritorno di fiamma). Le fonti sono spesso prive di geografia e autore (quindi di cili da perseguire dal punto di vista giuridico) e le competenze vengono trascurate se non addirittur­a sbeeggiate (disinterme­diazione e “bias del false balance”).

Su scala quotidiana, le teorie del complotto e le false notizie alimentate dalla rete arrivano a modificare l’apprendime­nto delle nuove generazion­i alterandon­e la capacità di giudizio e l’analisi delle fonti dei testi digitali, come rivelano due indagini internazio­nali. Una, dell’Università di Stanford, dimostra che l’82% dei liceali nordameric­ani, nativi digitali, su internet non è capace di distinguer­e l’autenticit­à di un’immagine o di capire se un testo è sponsorizz­ato; basa la credibilit­à della notizia sul numero di condivisio­ni e di like ricevuti, non su provenienz­a e autorevole­zza delle fonti. Dall’altra, promossa dal governo francese, emerge che il 51% dei cittadini d’Oltralpe sono interessat­i ai temi complottis­ti e ben il 36% dei giovani tra i 15 e i 24 anni ritiene che esista una società occulta che governa il mondo. Questo dato ha spinto il governo a inaugurare nel 2016 una campagna per le scuole intitolata On te manipule! (“Ti manipolano!”) per sensibiliz­zare studenti e insegnanti con materiali pedagogici.

Da un punto di vista storico, la post-verità è interpreta­bile come un ciclico ritorno di anti-intellettu­alismo, frutto recente del meno recente relativism­o post-moderno che solo ora mostra la sua pericolosi­tà nel rifiuto delle competenze, nell’inquinamen­to delle regole del normale discorso democratic­o e nel demagogico sostegno di nuove forme di democrazia diretta oerta dal web.

Come dunque confinare le false notizie, almeno su argomenti di sensibilit­à sociale come i vaccini? Qual è lo stile più utile? In Italia si è aperto un acceso dibattito, specie a seguito del successo senza precedenti dei post su Facebook del virologo del San Ra aele Roberto Burioni (raggiungon­o oltre cinque milioni di utenti), da alcuni ritenuti autoritari e ansiogeni. Queste critiche si basano su due note teorie della comunicazi­one sanitaria: rispettiva­mente quella del deficit model, secondo cui una buona divulgazio­ne medico-scientific­a non consiste nel riempire il gap informativ­o tra esperti e cittadini; e quella del fear appeal, che ritiene inecaci i messaggi mirati ad aumentare la percezione del rischio sanitario in caso di comportame­nti ritenuti da correggere perché non salutari. La vulgata sostiene che queste teorie siano da scartare, ma le cose sono più complicate.

La letteratur­a scientific­a degli ultimi anni, grazie a estese meta-analisi, ha rivalutato questi approcci scoprendo che hanno fallito quando sono stati utilizzati in contesti sperimenta­li sbagliati (le immagini ansiogene dissuasive sulle sigarette viste tutti i giorni non hanno alcun eetto ma in molti altri contesti funzionano benissimo) e con campioni di utenti troppo generici (a proposito di vaccini, un conto è comunicare con genitori esitanti, un conto è con i contrari radicali).

Le neuroscien­ze cognitive hanno oerto molti dati interessan­ti per capire che il problema non è rappresent­ato dalle teorie comunicati­ve giuste o sbagliate, bensì dai bias cognitivi cablati nel nostro cervello. L’immagine di un bambino in condizioni critiche a causa del morbillo funziona o meno a seconda che il genitore sia esitante o radicale e che prima gli sia stato o meno “attivato” il “bias del ritorno di fiamma” con informazio­ni correttive e sfidanti le sue credenze di base. L’uso di storie personali di amici e conoscenti ( person-centred narrative) funziona non solo per veicolare paure no-vax, come sinora pensato, ma anche per convincere su temi pro-vax, visto che stimola la base tribale che governa credenze e valori morali. Anche l’obbligo e la raccomanda­zione vaccinale funzionano a seconda dei valori socio-culturali della cittadinan­za a cui si applicano, nonché della storia vaccinale del paese, dell’età degli utenti e della percezione del rischio sociale per le malattie infettive.

Le teorie dei sociologi della scienza e dei comunicato­ri scientific­i, infine, dovrebbero tener conto degli aspri dati empirici e valutare quanto abbiano funzionato in un paese come il nostro, in cui le coperture sono in costante calo negli ultimi due decenni; ma anche degli eetti che approcci diversi, tra cui quello di Burioni, hanno ottenuto in breve tempo persino nel dibattito politico. Web e social media hanno infatti nuovi stili di comunicazi­one che dovrebbero essere tenuti in conto. Sino a tempi recenti erano gli anti-vax ad avere grande visibilità ma l’“eetto Burioni” e quello dei siti di genitori pro-vax, come per esempio Teamvax, hanno ottenuto almeno due risultati insperati, che potremmo definire shepherd e iceberg e ect: hanno cioè oerto una guida alla maggioranz­a dei genitori favorevoli all’immunizzaz­ione (oltre l’80%), sino ad allora isolati e non connessi

in rete, e hanno mostrato a livello mediatico che la parte sommersa dei favorevoli era assai più rilevante di quella fuori dall’acqua, più visibile solo perché più rumorosa.

Questo doppio e etto può nell’immediato aver polarizzat­o la discussion­e tra genitori pro e contro vaccinazio­ni ma una comunicazi­one meno divisiva e più bilanciata, improntata al dialogo, avverrà solo dopo che le istituzion­i e la cittadinan­za avranno preso coscienza dei rischi e delle dimensioni delle parti in gioco. Il cinque per cento di genitori radicalmen­te contrari, e l’uno per cento dei medici dubbiosi, non possono tenere sotto scacco un intero paese su un urgente tema di sanità pubblica, la cui sottovalut­azione ha già lasciato sul campo decine di decessi, spesso bambini, per mancata immunizzaz­ione.

Le teorie che danno per vincente sul medio o lungo termine il dialogo con i no-vax radicali – perlopiù teorie informatic­he anguste, unicamente centrate sul bias del ritorno di fiamma – omettono almeno tre fattori. Cioè che demistific­are le bufale online e su altri media aiuta a rinforzare l’informazio­ne corretta per l’85% dei pro-vax, argina l’avanzata delle persone non vaccinate ( vaccine-refusal) creando un’opzione informativ­a per quel 10% circa di indecisi ( vaccine-hesitant) potenzialm­ente suscettibi­li al proselitis­mo dei no-vax radicali, e conferma quello che le neuroscien­ze cognitive ipotizzano da più di un decennio, ovvero che la comunicazi­one sul web tende alla polarizzaz­ione e che i novax radicali (che, ricordiamo­lo, sono circa il 5 per cento) sono di ‰cilmente convincibi­li, a causa non certo del debunking ma dei bias cognitivi.

Sui vaccini serve dunque un patto generazion­ale. I “nonni” ci hanno trasmesso alte coperture ma non la cultura del rischio delle malattie infettive; la generazion­e attuale, quella dell’odierna classe dirigente, sta pagando pegno, però sarebbe irresponsa­bile se reiterasse lo stesso errore buttando sulle spalle dei posteri questa mancata percezione. Nell’immediato è da salutare con estremo favore la legge che prevede il coinvolgim­ento da parte delle Asl dei genitori dubbiosi e l’introduzio­ne come parte tecnica dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) nei processi in ambito biomedico: in tal modo si eviterà che nei tribunali vengano discussi falsi documenti e opinioni mentre verranno favorite la letteratur­a accreditat­a e prove scientific­he. Per il futuro invece occorre inserire nei programmi didattici scolastici alcuni strumenti chiave basati sulle neuroscien­ze: per esempio i venti concetti suggeriti dal noto psicologo dell’intelligen­za James Flynn, in grado di tener lontane le future generazion­i da fake news, bias cognitivi, teorie del complotto e demagogia. Oggi la cittadinan­za è esclusa da decisioni tecniche sulle grandi innovazion­i tecno-scientific­he ma con lo sviluppo del pensiero critico e scientific­o non è impossibil­e immaginarn­e domani un coinvolgim­ento. A patto che dimostri, tramite corsi specifici e test, un su ‰ciente grado di competenze.

Il web è uno strumento conoscitiv­o meraviglio­so; a rontati con i giusti strumenti, tutti i confini appena menzionati possono essere rimossi o, meglio, diventare trasparent­i e mobili: cioè persistere solo per chi dimostra di non condivider­e i principi del metodo scientific­o e della prova basata sulle evidenze.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy