MENTO SAPENDO DI MENTINA
UNA CARRIERA SUL FILO DEL SURREALE, TRENT' ANNI DI COMICITÀ TRA CINEMA, RADIO E TV, DA RENZO ARBORE A SOFIA COPPOLA: QUANDO I GIOCHI DI PAROLE SUPERANO I MURI CULTURALI E GENERAZIONALI
INTERVISTA A
Nino Frassica COMICO
TESTO
Eugenio Spagnuolo Giornalista esperto di cultura pop
ART
Felix Petruška Disegnatore e illustratore, vive a Milano ed è appassionato di cartoon
Come nascono le sue battute? «Un po’ improvviso, un po’ mi segno su un foglietto o sul telefonino tutti gli spunti che mi dà la vita, tra giochi di parole e “deformazioni”. Poi teatralizzo le migliori».
Ogni tanto sui social capita di imbattersi nei suoi giochi di parole, spesso esilaranti e senza tempo, che risalgono addirittura a trent’anni fa, a Indietro
Tutta. Tipo: «Menti sapendo di mentina». Le piacciono ancora? «Tutto parte sempre da un gioco di parole. Non si tratta di storpiarle ma di sovvertirne la logica e i ragionamenti: è così che si passa il confine della comicità paradossale».
Così, di battuta in battuta, lei è diventato il re dei calembour. Che piacciono ai comici ma anche ai rapper: basta sentire l’ultimo disco di Fedez e J-Ax. «Nei giochi di parole c’è più di quel che sembra: sono una forma di ribellione alle frasi fatte. Non amiamo le cose scontate? Distruggiamole! È un modo di prendere in giro chi è fermo sulle sue posizioni, i “conservatori”».
In questo momento è impegnato con
Programmone, su Radiodue Rai, e tanta tv. Qual è il confine tra comicità radiofonica e televisiva? «La radio ti dà la possibilità di sperimentare e tentare qualche azzardo; in tv invece hai solo pochi minuti e devi colpire l’obiettivo. Non hai spazio per fare esperimenti. O meglio… puoi provarci ma i tempi sono più lenti. E poi lì non posso rischiare di non far ridere, devo andare a colpo sicuro. Se invece alla radio qualche volta capita, è meno grave: nell’esperimento è previsto anche il fallimento».
Risate ed esperimenti: viene in mente
Alto Gradimento, la trasmissione che lanciò Arbore e Boncompagni. Si sente erede di quella storia? «In parte sì, anche perché c’ero: nei primi Anni ’80, nelle ultime stagioni dei programmi con Renzo Arbore, Gianni Boncompagni e Mario Marenco, che si chiamavano Radio anche noi, c’ero pure io».
È vera la leggenda che circola sui suoi inizi? Si dice che lei ha mandato una cassetta ad Arbore, che l’ha ascoltata e passata a Boncompagni; lui se n'è dimenticato e, quando Arbore gli ha chiesto un parere, per evitare figuracce ha detto: «Bravissimo, prendiamolo!». «Sì, ha blu ato: però le cose che poi ho fatto gli piacevano davvero. Ma la sua pigrizia era proverbiale, al punto che registravamo da lui: aveva tutta l’attrezzatura in salotto. Neppure si muoveva di casa. Tanto che spesso veniva a trovarci Giancarlo Magalli, che era il suo vicino di casa. Ma nessuno lo conosceva allora».
Qualcuno ha scritto che Nino Frassica sarebbe anche il re dei nonsense, uno dei maestri dello humour surreale. Pensa di avere degli eredi? «Massimo Bagnato, Lillo e Greg... proprio eredi no, ormai sono quasi miei coetanei. Poi Maccio Capatonda, che lo fa anche al cinema: è la grande novità di questa comicità, perché ha portato l’umorismo surreale nei video e sul grande schermo. Un bel passo avanti. Io devo raccontare una cosa con le parole, lui riesce a farlo con le immagini».
Cos’è che oggi fa ridere? C’è un confine tra le generazioni in fatto di risate? «Fa ridere lo spiazzamento. Però dipende, il confine tra generazioni c’è. Provocare una risata in me e in quelli della mia è di cile: abbiamo visto tutto, ormai. I ragazzi ridono con meno, sentono certe battute per la prima volta e si divertono. Ecco perché molti comici giovani riciclano cose già sentite. Ma è sbagliato dire che non fanno ridere: non divertono noi, ma per il pubblico dei giovanissimi è tutto nuovo e esilarante».
Una delle caratteristiche della sua comicità è la “spalla”. Come la sceglie? «Devono essere autori, non solo attori. Altrimenti finirebbero per trovarsi male».
Anche lei lo è stato... per esempio con
Indietro tutta!, di cui nel 2018 ricorrono i trent’anni. Ma di tutti i comici di quella nidiata sembra essere l’unico ad aver conservato il successo. «Ho resistito perché, all’inizio del Terzo Millennio, mi sono dedicato alla fiction che mi ha dato ossigeno. Poi sono venute una parte nel film Somewhere di Sofia Coppola e le chiamate dei varietà, da Piero Chiambretti a Sabina Guzzanti, fino a Fabio Fazio».
A proposito di confini. Lei è l’unico comico in Italia che sia riuscito a conciliare Sabina Guzzanti e Don Matteo. Un autentico capolavoro. «Non tradisco me stesso, semplicemente. Neanche quando faccio Don Matteo scado nella comicità facile. Certo, è una cosa del tutto diversa da uno show di satira politica come quello della Guzzanti. Ma uso comunque tutto quello che ho imparato sia nel varietà, sia nella fiction, sia in televisione».
Poi, un altro confine: molti comici, per piacere alla critica, a un certo punto della carriera si impegnano in qualcosa di drammatico. Penso a Totò con Pier Paolo Pasolini, a Paolo Villaggio con Fellini. Non ci ha ancora pensato? «È una stupidaggine, perché probabilmente alcuni critici non sono in grado di “leggere” la comicità. Un pezzo comico ha sempre un contenuto drammatico, ma la bravura di chi lo interpreta sta proprio nel riuscire ad andare oltre. La comicità è proprio il superamento di quel punto di confine. Prendete per esempio Fantozzi: le sue erano storie drammatiche, ma è proprio superando quel punto e adattando il testo a situazioni paradossali, che Villaggio è riuscito a dare vita a quella comicità esilarante».
Anche lei è figlio di una terra di confine: la Sicilia. Di tanto in tanto, ci torna? «Sì che ci vado. La Sicilia resta la mia base, lì ho fratelli e sorelle. Però mi sento italiano. Anzi europeo. Anzi mondiale. Senza confini».