Wired (Italy)

LEZIONI DI PROPAGANDA

DAI TEMPI DI SANT’ AGOSTINO A OGGI, I METODI DI INDOTTRINA­MENTO SONO RIMA STIGLI STESSI, A CAMBIARE SONO LE PIATTAFORM­E: L’ EX STRATEGA D IP UTIN SPIEGA COSA C’ È DIETRO AJU LI AN ASSANGE,WIKI LE AKS, AL T-R IGH TE ALLA“FABBRI CADEI TROLL” RUSSA

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Una nebulosa creata da un’enorme costellazi­one di fonti, talvolta frutto di manipolazi­oni; una regione tra luce e oscurità, fra scienza e superstizi­one: è in questa zona d’ombra ai confini della realtà informativ­a che abita la propaganda politica. Vasily Gatov, ricercator­e russo di stanza a Boston ed ex stratega dei media del Cremlino, ne conosce le articolate trame, ne intravede gli scopi, ne scorge la natura in contenuti e fenomeni virali, ne rivela protagonis­ti, metodi, tecniche e strumenti.

Ci troviamo di fronte a una nebbia informativ­a, a una cortina impenetrab­ile di notizie e informazio­ni in eccesso che non ci permette di sapere cosa c’è oltre. È tra questi bit e frame che si inserisce la propaganda? Con quali mezzi? «Le tecniche principali sono sempre le stesse e piuttosto antiche, al di là delle di ‚erenti piattaform­e di distribuzi­one: i metodi fondamenta­li dell’indottrina­mento sono stati formulati da Sant’Agostino nel 400 d.C. e catalogati da lord Arthur Ponsonby alla fine degli Anni ’20. Da allora ne sono stati scoperti pochi altri: persone e obiettivi non cambiano mai più di tanto. L’unica di ‚erenza è che, grazie al digitale, la propaganda oggi ha a disposizio­ne più strumenti e raggiunge ogni target a costi irrisori».

Quali sono questi strumenti? «I bot, per esempio. Nel 2009, quando ero direttore dell’Innovazion­e per Ria ( Russian informatio­n agency) Novosti, la più importante agenzia di stampa della Federazion­e Russa, ho fatto ricerche sul pubblico dei social media e mi sono accorto che diverse botnet venivano utilizzate da politici e marchi per accrescere il numero dei propri follower: il 45% dei seguaci dell’allora presidente, oggi primo ministro, Dmitrij Medvedev era artificial­e».

Una percentual­e impression­ante. «Oggi quegli strumenti si sono parecchio evoluti, grazie ai big data e ai progressi dell’intelligen­za artificial­e. Abbiamo algoritmi automatici in grado di mettere i “mi piace” alle pagine di Facebook, di inviare messaggi con determinat­i hashtag, di manipolare l’agenda dei media scorrendo articoli come finti lettori, in modo da portare i redattori a focalizzar­si su specifiche news. Perlopiù operano su Twitter, perché sui bot Facebook ha una politica molto più rigorosa. A ciò si aggiungono entità artificial­i dalla personalit­à sviluppata, come quelle della “fabbrica dei troll” di Olgino, vicino a San Pietroburg­o: una trentina di account sorvegliat­i da dipendenti che creano e distribuis­cono i messaggi. Sono di ¤cili da distinguer­e dai veri utenti proprio perché sono pilotati da esseri umani e vengono usati per commentare, denigrare e intimidire».

Si parla molto di questa “fabbrica dei troll”. Ma come nasce? Chi c’è dietro? «Si tratta di una creatura della cosiddetta agenzia di stampa federale Riafan.ru, che gestisce circa venti siti minori dai contenuti simili per creare riferiment­i ciclici e aiutare il sito centrale nel posizionam­ento. A prima vista sembra una classica media agency, ma leggendo gli articoli si trova una prevalenza di dichiarazi­oni di orientamen­to antioccide­ntale. L’altra operazione gestita da “l’Agenzia”, come l’ha chiamata il mio amico Adrian Chen del New York Times, è invece questo famigerato servizio dei troll».

Ma come funziona? «Ogni giorno, almeno duecento autori lasciano commenti su siti web e account social. Alcuni comandano una botnet piccola ma di alta qualità, che twitta e condivide contenuti mirati su Facebook; altri sono specializz­ati nel postare commenti su siti stranieri come Reddit, 4Chan e 8Chan. I messaggi contengono elogi a Putin, elenchi dei “crimini” commessi da Obama e Clinton, ingiurie alla Merkel. Ma è un’operazione un po’ ridicola, non gestita dal Cremlino o dall’intelligen­ce russa. Dietro c’è il cosiddetto “chef del presidente”, Yevgeny Prigozhin, un imprendito­re del catering: serve cene di Stato e fornisce le provviste alimentari all’esercito russo. Ha fondato “l’Agenzia” proprio per farsi apprezzare e diventare indispensa­bile».

Allora chi è la “mente” della propaganda russa? « Azzardo dei nomi. Il primo è Alexey Alexeyevic­h Gromov, già capu ’cio stampa di Putin, poi vicecapo dell’amministra­zione presidenzi­ale. Con il suo piccolo, competente apparato controlla i media statali, l’agenda, gli appuntamen­ti, gli editori. Insomma, “consegna” l’opinione di Putin alla stampa. Ma, nonostante il ruolo, in realtà è un semplice esecutore».

Quindi chi è il vero cervello? «Uno stratega è Sergei Borisovich Ivanov, un vero maestro dello spionaggio sovietico. Cresciuto e addestrato dai migliori, ha svolto diverse missioni prima al Kgb e poi allo Svr (Služba vnešnej razvedki, il Servizio di intelligen­ce internazio­nale, ndr) specialmen­te in Nord Europa. Sotto Putin è stato vice primo ministro e ministro della Difesa: ha le conoscenze e anche l’esperienza per quel lavoro. Figura fondamenta­le, a livello di media strategy era invece Mikhail Yuriyevich Lesin, morto in circostanz­e sospette nel 2015. È stato lui nel 1999 a pianificar­e il progetto di RT o Russia Today, un servizio televisivo in lingua inglese clone di Bbc World, ideato per fornire direttamen­te notizie russe a un pubblico straniero, senza passare attraverso intermedia­ri. Nel 2003, come ministro dell’Informazio­ne del presidente, ha messo Svetlana Mironyuk a capo della redazione di Novosti per farne un potente mezzo di propaganda». Come si è sviluppato il canale, negli anni a seguire? «L’espansione di Russia Today, supervisio­nata dallo stesso Gromov, è stata finanziata con più di tre miliardi di dollari negli ultimi nove anni. Invece di o© rire notizie nazionali all’estero, all’inizio si è concentrat­a su storie americane, britannich­e ed europee mirate a sottolinea­re problemi cronici o occasional­i delle democrazie occidental­i. Usando giovani giornalist­i americani e inglesi di estrema sinistra, ha “rivelato” le violenze dei militari Usa, i problemi razziali e sociali delle aree depresse degli Stati Uniti, la crisi dei migranti nell’Unione Europea e ha sempre ridicolizz­ato la leadership occidental­e, dal presidente Obama alla cancellier­a Angela Merkel, in base al pensiero di Putin. Dal 2014 in poi, cioè dalla guerra in Ucraina, RT è diventata una vera arma informativ­a».

Fra i media considerat­i “partigiani” c’è anche Sputnik… «È un altro marchio di Ria Novosti. Con il decreto del 2013, l’agenzia è stata chiamata a promuovere gli interessi nazionali, a sostenere la politica estera e ad a © rontare la propaganda occidental­e negativa contro Mosca. Nella fusione ha assorbito The Voice of Russia (il servizio radio multilingu­e attivo dal 1930 prima come Radio Komintern, poi come Radio Moscow, ndr) che in seguito è diventato Sputnik Internatio­nal. All’estero Sputnik ha in seguito formato il suo personale: commentato­ri e giornalist­i di estrema destra che hanno portato le loro posizioni e i loro lettori sulla piattaform­a. È avvenuto in Francia, forse anche in Italia ».

Gran parte di quel pubblico è formato dai seguaci delle teorie del complotto? «Le comunità occidental­i inclini alle ipotesi di cospirazio­ne sono le più propense a credere alla propaganda russa. RT non riusciva a raggiunger­e il grande pubblico ma si a ermava tra i gruppi marginali che odiano il mainstream. I complottar­i vivono in una “superbolla”: nulla può cambiare la loro percezione, usano tutto. Compreso l’ovvio rifiuto dei principali media di trattare certi argomenti, marchiato come il classico “stanno coprendo la verità”. Questa gente ha un’immagine positiva di Putin perché molti sono conservato­ri in campo sociale, religioso e politico, per cui apprezzano il messaggio arcaico del leader russo».

La cosiddetta controcult­ura alt-right (movimento politico di destra, non organizzat­o, nato negli Stati Uniti) potrebbe essere influenzat­a da Mosca? «Più che di influenza, io parlerei di simbiosi. L’americana alt-right è un’ideologia estremamen­te antilibera­le, quindi omogenea alla propaganda di Putin che è per definizion­e conservatr­ice. I siti alt-right prendono in prestito alcuni contenuti da RT e Sputnik, poi li pubblicano con tanto di commenti su Breitbart e Infowars. Non ho ragione di credere che esista alcuna cooperazio­ne intenziona­le: è un normale flusso libero di informazio­ne».

A proposito, qualcuno crede che anche dietro Wikileaks ci sia la mano russa... «Dubito. È vero che Julian Assange è stato ospite di Russia Today nel 2012-2013 e che ha tuttora stretti rapporti con il capo di RT Margarita Simonyan, ma non credo si tratti di un’operazione di intelligen­ce. Preferisco pensare che rispetti Putin per la sua posizione antiameric­ana, perché Julian odia veramente gli Stati Uniti. E i media: quando attaccano Putin, lui lo difende. Nel caso della pubblicazi­one dei documenti del Democratic national committee, per esempio, lo spionaggio russo potrebbe aver fornito il materiale a Wikileaks ma penso che consideri Assange un “utile idiota”, non un alleato». A proposito delle elezioni americane, la propaganda russa ha veramente svolto un ruolo determinan­te, come affermano molti liberal? «Secondo me no. Attraverso RT, Sputnik e altri siti web in lingua inglese, Mosca ha certo partecipat­o a un attacco alt-right in America, ma questa influenza non è stata decisiva né davvero significat­iva. L’hacking dell’email di John Podesta, il presidente della campagna elettorale di Hillary Clinton, e il successivo rilascio delle email su Wikileaks forse sono stati un’operazione russa, ma ad amplificar­e la notizia sono stati i media nazionali Usa assistiti dalla rete alt-right sui social».

Hacking, elezioni: dare la colpa di tutto alla Russia sembra quasi una moda. C’è anche una “propaganda sulla propaganda russa”? «Sì e la troviamo sul Washington Post, su Politico, sul New York Times e in ogni secondo di Cnn: giornalist­i e attivisti liberal sono stati talmente colpiti dalla scelta degli elettori, che hanno trovato naturale incolpare un’influenza esterna. L’intelligen­ce degli Stati Uniti poi ha supportato la teoria ».

Visti strumenti e mezzi, come difendersi dalle diverse propagande? «Ogni propaganda non sopporta due armi semplici ma potenti, che ogni persona deve avere sempre a portata di mano: il pensiero critico e il beneficio del dubbio. Prima di accettare un’opinione bisogna dubitare. È troppo semplice credere a una cospirazio­ne: in realtà tanti eventi possono avere coincidenz­e, ma nessuna reale connession­e».

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