Social Finance
Tasso di disoccupazione, inflazione, fiducia dei consumatori sono solo alcuni dei valori misurabili attraverso i big data della Rete e delle piattaforme di condivisione. Gli algoritmi di machine learning migliorano la tempestività delle previsioni economiche, anche per le banche centrali. Nel rispetto però della privacy
Ottantacinque famiglie europee su cento utilizzano internet per reperire informazioni, comunicare, svolgere attività che influenzano direttamente o indirettamente gli altri individui, le imprese e le amministrazioni pubbliche. Basta questo dato per capire come la digitalizzazione stia cambiando radicalmente l’economia e la società. Nuovi strumenti di comunicazione rendono disponibili enormi masse di dati, e nuove tecniche di elaborazione ne consentono il massimo sfruttamento. Ci troviamo di fronte a un “ecosistema” tecnologico-informativo che fino a pochi anni fa non si sarebbe nemmeno potuto immaginare. Che cosa si intende per big data? Parliamo di metodi innovativi che consentono di acquisire informazioni digitali in quantità assai maggiori di quelle che potevano essere gestite in passato e con gli approcci tradizionali. L’aggettivo “big” indica, oltre alla grande quantità di dati, anche il loro formato innovativo e la rapidità nella generazione delle informazioni. Figurativamente, i big data sono la sintesi di tre “V”: volume, velocità e varietà. Per servirsene al meglio occorre il machine learning, una tecnica di apprendimento automatico fondata su algoritmi innovativi che consente l’elaborazione e il controllo di qualità e permette di comprendere con elevata rapidità le relazioni presenti in questa grande massa di informazioni e dati.
Già da alcuni anni il settore privato impiega queste tecnologie per migliorare la propria competitività e avviare nuove linee di business. Analizzando i dati ricavabili dalle piattaforme social, in forma sia strutturata (tabellare) sia non strutturata (audio, video e, soprattutto, testi), oggi è possibile individuare e studiare a fondo le caratteristiche dei consumatori: preferenze, spese, interazioni con altri soggetti, solidità economica.
Anche le banche centrali, e più in generale le istituzioni pubbliche, possono avvalersi delle nuove tecnologie digitali e sfruttare la mole di informazioni disponibili per potenziare e migliorare la loro capacità d’azione. Con benefici di vario tipo. Le banche centrali, per esempio, utilizzando i big data possono stimare in tempo reale il tasso di disoccupazione, rilevare l’inflazione con modalità diverse da quelle impiegate per le stime ufficiali, misurare il clima di fiducia dei consumatori e delle imprese.
La Banca d’Italia è all’avanguardia nella sperimentazione di queste tecniche. Nel settore finanziario la riduzione del costo di utilizzo dei big data e la diffusione delle tecniche di machine learning stanno favorendo la nascita di nuovi operatori. Si chiamano imprese fintech e sono già oggi attive in più comparti: dai pagamenti alla gestione del risparmio, fino all’erogazione del credito. Utilizzano i big data e le tecnologie digitali per creare prodotti e garantire un accesso continuo e a basso costo ai servizi finanziari. È un’evoluzione positiva, in grado di accrescere la produttività e la concorrenza e di generare forti benefici per i consumatori.
Ma la creazione di attività e prodotti innovativi e i legami, nuovi e inesplorati, che gli intermediari fintech stanno instaurando con banche e investitori professionali potrebbero rappresentare una fonte di fragilità per il sistema finanziario. Inoltre le nuove modalità di utilizzo dei servizi finanziari espongono i clienti a rischi poco conosciuti, soprattutto quelli cibernetici. Le autorità pubbliche – non solo le banche centrali, ma anche le altre autorità di supervisione, di tutela dei consumatori e la pubblica amministrazione nel suo complesso – hanno pertanto un compito non facile: seguire da vicino i cambiamenti che derivano dall’utilizzo delle tecnologie digitali, valutarne gli effetti sul sistema finanziario e attuare le politiche più idonee a proteggere i consumatori e a preservare la stabilità e l’efficienza del sistema.
Le banche centrali sono allo stesso tempo fruitrici e produttrici di informazioni e di big data. La Banca d’Italia, per esempio, raccoglie informazioni capillari sui singoli prestiti bancari alle imprese e alle famiglie. Insieme alle altre banche centrali nazionali dell’area dell’euro e alla Banca centrale europea, essa ogni giorno analizza segnalazioni statistiche sui mercati monetari e sui contratti derivati.
Per approfondire l’uso delle nuove tecnologie, la Banca d’Italia ha costituito un gruppo di lavoro composto da economisti, statistici e informatici. Il primo obiettivo è stato realizzare un’infrastruttura di calcolo in grado di trattare i big data con uno scopo preciso: creare algoritmi di machine learning da impiegare per migliorare l’accuratezza e la tempestività delle previsioni economiche, la valutazione di rischiosità del credito e la sicurezza dei nuovi sistemi di pagamento. Alcuni esperimenti sono in corso (i lavori sono disponibili sul sito della Banca d’Italia, nella sezione “Pubblicazioni”).
Un primo filone di analisi riguarda l’utilizzo di dati testuali estratti dai social media per stimare l’inflazione attesa da parte degli operatori privati. Un secondo si concentra sull’evoluzione e sulle determinanti del grado di fiducia nelle banche da parte dei depositanti. Un’altra analisi utilizza i dati estratti dalle piattaforme social per valutare i comportamenti dei clienti nei confronti di particolari imprese e i relativi impatti sull’ammontare di azioni scambiate, sull’andamento dei corsi azionari e sui rendimenti. Dai commenti pubblicati sui social media si possono ricavare indicazioni per misurare l’incertezza relativa alle politiche economiche. E, ancora, si studia in che misura essi facilitino l’individuazione di illeciti nei sistemi di pagamento, per segnalarli all’autorità competente e per valutarne gli effetti sulle scelte di pagamento dei consumatori. Infine, sfruttando le informazioni ricavabili dai singoli annunci online, la Banca d’Italia è in grado di esaminare la struttura del mercato immobiliare italiano (evoluzione dei prezzi, tempi medi necessari per la vendita delle abitazioni).
È chiaro che vi sono ancora interrogativi irrisolti sul mondo dei big data e delle tecniche di machine learning. Alcuni studiosi, per esempio, ipotizzano che la diffusione dei big data e dei social media renderà superfluo il ricorso a indagini campionarie, più o meno estese, sulla popolazione. Questo perché, a dire di questi analisti, i big data si riferiscono spesso a specifici segmenti della popolazione, con connotazioni particolari e quindi non in grado di rappresentare l’universo esaminato (non tutti interagiscono allo stesso modo con i social media, e molti non li utilizzano affatto). Inoltre, benché le nuove tecnologie e la disponibilità di enormi quantità di dati consentano di far emergere in modo preciso il comportamento passato o presente delle persone e delle imprese, le capacità previsive potrebbero risultare deludenti. Presumibilmente, quindi, il loro utilizzo si affiancherà ma non si sostituirà alle tecniche di indagine utilizzate in passato, basate su dati e modelli tradizionali.
Per concludere: l’innovazione tecnologica è un formidabile strumento di progresso. L’adozione delle tecnologie digitali e un più intenso utilizzo dell’enorme volume di dati oggi disponibili consentono alle imprese e alle amministrazioni pubbliche di ridurre i costi e di migliorare la qualità dei servizi. I vantaggi per i consumatori, per le imprese, per l’intera economia sono assai rilevanti. Anche le banche centrali devono essere pronte a rispondere alle crescenti esigenze del pubblico, che pretende di accedere tempestivamente a dati con sempre maggiori dettagli. La Banca d’Italia sta investendo in infrastrutture informatiche e in capitale umano e organizzativo per promuovere l’integrazione dei dati in suo possesso, per migliorarne la fruibilità da parte delle istituzioni pubbliche e dei cittadini. L’obiettivo ultimo è svolgere, da una linea di frontiera, i propri compiti istituzionali nel campo della politica monetaria, dei pagamenti, della vigilanza, dell’analisi economica, nell’offerta di servizi alla pubblica amministrazione e ai cittadini.
Ma la diffusione delle nuove tecnologie e la disponibilità di informazioni sempre più capillari su singoli soggetti sollevano problemi più ampi: come garantire la riservatezza dei big data, come utilizzarli entro i confini definiti dalle regole e dalla volontà dei cittadini, ai quali va comunque assicurato il diritto alla privacy. Vanno meglio definiti i limiti non solo legali, ma anche etici per l’uso dei big data. I recenti fatti legati a Cambridge Analytica e a Facebook hanno fatto suonare un campanello di allarme.
Più in generale, le nuove tecnologie stanno trasformando – rendendoli virtuali – i passaggi che scandiscono la vita di tutti i giorni, dai rapporti economici alle relazioni interpersonali, agli acquisti di beni e servizi. L’inclusione finanziaria e persino l’inclusione sociale dei cittadini dipendono da come e da quanto la trasformazione tecnologica li coinvolgerà. Dobbiamo tutti interrogarci sin d’ora sulla piena compatibilità di questi sviluppi con i diritti dei singoli, su come coniugare la crescente disponibilità di informazioni sulla sfera privata di ciascuno di noi – relative all’orientamento politico, allo stato di salute, alle tendenze sessuali – con la tutela della nostra libertà personale e con le regole di funzionamento di una moderna democrazia liberale.
«Ma lei, Marco Balich, che cosa fa esattamente?». È una domanda che mi sono sentito rivolgere tante volte. E la mia risposta è: «Faccio spettacoloni». Che cosa sono? Sono grandi show dal vivo che nascono per emozionare le persone. Tante, tantissime persone. “Emozione” è la parola chiave di questo bellissimo lavoro che ho la fortuna di fare, è l’obiettivo che mi prefiggo dall’inizio, mentre cerco un’ispirazione che dia un brivido, a me per primo, rifuggendo il cinismo, lasciandomi trasportare ogni volta da nuove contaminazioni.
Per spettacoloni intendo le celebrazioni di momenti storici nella vita di una nazione, la costruzione di grandi icone d’intrattenimento e, soprattutto, la creazione e la produzione di cerimonie olimpiche, gli show più complessi, costosi e seguiti al mondo. Da Salt Lake City a oggi ho lavorato a più di 20 tra Olimpiadi, Paralimpiadi, Giochi asiatici, Special olympics e Flag handover. La più emozionante è stata la prima, a Torino nel 2006; la più complessa e maestosa è stata quella di Sochi, nel 2014; a Rio, nel 2016, ho messo l’anima. Per creare uno spettacolone bisogna, prima di tutto, studiare. Si deve acquisire una conoscenza profonda del paese che si vuole raccontare: fare proprie le sue tradizioni culturali, le storie tramandate da generazioni, i capisaldi su cui si fonda l’orgoglio nazionale. Per fare tutto questo al meglio è fondamentale mettere da parte i preconcetti e coinvolgere i talenti locali. Bisogna ascoltare, per imparare a parlare a tutte le diverse culture del mondo e sviluppare un linguaggio creativo universale, in grado di trasmettere (in modo spettacolare) emozioni semplici e facilmente comprensibili.
La regola perché questi eventi funzionino è “contaminare”. Contaminare i linguaggi della messa in scena, perché in una cerimonia come quelle olimpiche confluiscono tutti i linguaggi dell’intrattenimento dal vivo: dalla più estrema delle performance fisiche al più innovativo ritrovato hi-tech. Contaminare i linguaggi delle diverse culture: perché il racconto di un paese e della sua storia è efficace solo se riesce a parlare a tutti gli altri paesi e a tutte le altre storie.
Le Olimpiadi sono il più importante evento ricorrente del pianeta. Di conseguenza, le loro cerimonie sono i più grandi show esistenti. Il mondo degli eventi e delle celebrazioni su larga scala si è sviluppato negli anni Ottanta, con le manifestazioni di Mosca 1980 e Los Angeles 1984, seguite in Europa da Barcellona 1992. L’origine, però, risale ai primi giochi moderni del 1896 nello stadio di Atene, con l’eccezionale visione del barone de Coubertin, e una spinta cruciale arrivò con quelli di Berlino del 1936 e l’imponente messa in scena curata da Leni Riefenstahl. Oggi, fortunatamente, questi spettacoli non si piegano più alla narrazione di un’ideologia, ma celebrano l’umanità tutta e rendono omaggio a valori come la pace, il rispetto e l’uguaglianza attraverso lo sport. Sono le esibizioni più imponenti e costose che esistano (i budget sono ormai assestati sull’ordine delle decine di milioni di euro) e vedono coinvolto un numero impressionante di partecipanti (tra professionisti di ogni angolo del globo e volontari locali le quattro rappresentazioni di Rio 2016, per esempio, hanno messo in campo più di 15mila persone).
Questi incredibili spettacoli registrano sistematicamente una presenza di capi di stato più alta di qualunque altra occasione, finendo per diventare veri e propri eventi storici: abbiamo ancora tutti negli occhi l’epocale riavvicinamento delle due Coree in occasione delle recenti cerimonie di PyeongChang. Inoltre, queste gigantesche feste olimpiche raggiungono un’audience impareggiabile di pubblico globale: più di 3 miliardi di persone in tutto il pianeta arrivano a seguirle, dalla regina d’Inghilterra al Papa, dal ragazzino di un villaggio sperduto del Kenya al tycoon indiano, passando per Lady Gaga e i monaci tibetani. All’apertura di Rio 2016 il Cio ha permesso per la prima volta di proporre un forte messaggio politico, per questo abbiamo deciso di dedicare un segmento dello spettacolo al tema del surriscaldamento globale, voluto dal team creativo guidato dal regista Fernando Meirelles. Nel paese che ospita il più grande polmone verde del mondo, la foresta Amazzonica, abbiamo voluto toccare un tema di importanza imprescindibile per il futuro della terra, appena prima dello sbarco sulle prime pagine dei giornali dell’assurdo negazionismo dell’amministrazione Trump. Per portare all’attenzione del pubblico questo argomento, abbiamo dato a ciascun atleta partecipante un seme, che al termine della parata delle nazioni è stato simbolicamente piantato, andando a creare, prima, un’esplosione di verde nella composizione dei cinque cerchi Olimpici al centro del Maracanã e, successivamente, la foresta olimpica donata al paese come eredità dei Giochi.
Realizzare una cerimonia olimpica è un grande impegno per un direttore artistico e produttore esecutivo, perché devi riuscire a cogliere l’essenza di una nazione e trasformarla in un’occasione eccezionale. La responsabilità che questo ruolo impone è enorme, richiede un approccio serio e un coinvolgimento emotivo profondo. Ma se nel farlo riesci a ispirare un diciottenne, allora hai raggiunto il tuo scopo. Hai vinto, perché vuol dire che quella stessa ispirazione arriverà anche ai suoi genitori e ai suoi nonni.
l motore che anima da sempre me e il team creativo con cui lavoro è un’insaziabile curiosità per il mondo e le sue diverse culture. Con i miei soci Gianmaria Serra e Simone Merico abbiamo riunito in Balich Worldwide Shows una squadra di straordinari professionisti da ogni angolo del pianeta. Nel nostro quartier generale di Milano si siedono fianco a fianco, ogni giorno, una ventina di passaporti diversi. Alla macchinetta del caffè le pause si fanno chiacchierando in inglese, russo, spagnolo. Non ci è mai piaciuto giocare in confini troppo stretti. Per questo, quando abbiamo avuto la possibilità di spostare le sfide su un terreno globale, non ci abbiamo pensato un solo attimo e a oggi la nostra società ha lavorato in ogni angolo del pianeta, dal Messico alla Cina, passando per qualunque paese che finisca in -stan che vi venga in mente.
D’altra parte, però, non dimentico mai quanta forza arrivi da quell’italianità che costituisce una parte fondamentale del nostro dna. L’istintiva capacità di riconoscere il bello ed esserne naturalmente attratti è uno degli elementi essenziali della nostra abilità a “mettere in scena” il mondo. Negli anni si è dimostrato anche un vantaggio rispetto ai nostri concorrenti: la naturale sensibilità alla bellezza che caratterizza la nostra cultura è un valore assoluto che rende i progetti che sviluppiamo più sorprendenti e affascinanti agli occhi di un asiatico o di un sudamericano.
La mia carriera è iniziata con l’organizzazione di concerti e ha avuto una tappa fondamentale nella mia città natale, Venezia. Avevo 22 anni e studiavo giurisprudenza quando il promoter Fran Tomasi mi disse che cercavano un band assistant per il tour dei Simple Minds. L’avventura è durata 4 anni fra live degli U2 e di Peter Gabriel fino all’indimenticabile (da ogni punto di vista) concerto del 1989 dei Pink Floyd a Venezia, quello che fece crollare la giunta comunale e le ultime speranze dei miei genitori di vedermi con la toga di avvocato. Tra i palchi e i bilici dei più importanti tour musicali internazionali mi sono fatto le ossa, ho imparato cos’è una grande produzione. Ho imparato il valore dei concetti di multitasking e multiculturalità. Poi ci sono stati gli anni dei videoclip e della tv, fino all’incontro con il mondo delle cerimonie olimpiche: la prima scintilla a Salt Lake City, poi il vero innamoramento a Torino, nel 2006.
L’adrenalina che sale quando senti l’attenzione di milioni di persone è unica. L’entusiasmo che trasmettono le migliaia di volontari che rendono possibile quella magia non ha paragoni. Quando mi chiedono di spiegare cosa vuol dire realizzare una cerimonia olimpica, rispondo sempre dicendo che è come fare un “gigantesco starnuto”. È un’immagine che strappa sempre un sorriso, ma che rende perfettamente l’idea: provate a pensare a due anni intensissimi di lavoro, una quantità mostruosa di macchine sceniche da ingegnerizzare, coreografie di massa da provare, effetti speciali da inventare, luci, fuochi, acrobazie e poi tutto questo che scoppia in uno “starnuto” di circa 3 ore. Una singola, pazzesca esplosione di energia, uno spettacolo titanico che non avrà repliche.
l 2018 è l’anno che sta segnando una rivoluzione per il nostro gruppo di lavoro. Dopo tanti anni con la valigia sempre pronta, trascorsi balzando da un aeroporto all’altro, da una stanza d’hotel a un’altra, ci siamo messi in testa di rendere la nostra permanenza in Italia più stabile. Per farlo ci siamo inventati un nuovo format che abbiamo chiamato “artainment” ed è un inedito mix di tutti i linguaggi che il live entertainment ci mette oggi a disposizione. Dallo scorso 15 marzo quell’idea ha preso la forma di uno spettacolo che va in scena a Roma, all’Auditorium Conciliazione, e che in questi giorni supera le 100 repliche e viaggia verso i 100mila spettatori. Si chiama Giudizio Universale. Michelangelo and the Secrets of the Sistine Chapel ed è il nostro esordio nel mondo delle proprietà intellettuali. È una sfida che abbiamo costruito con tre anni di duro lavoro, che abbiamo voluto così tanto da investirci in prima persona, con il sostegno di un gruppo di amici e imprenditori ma senza un euro di denaro pubblico. Si tratta di un esperimento unico di portare nella nostra capitale quella cultura degli show a lunga tenitura che ha fatto il successo di luoghi come Broadway a New York e Soho a Londra.
Giudizio Universale è uno spettacolo completamente nuovo, che ha nella contaminazione delle forme e dei linguaggi la sua caratteristica principale; racconta la genesi di un capolavoro dell’arte universale mescolando musica, teatro, performance, tecnologia, proiezioni a 270 gradi ed effetti multisensoriali con il più rigoroso rispetto dell’opera di Michelangelo, garantita dalla consulenza scientifica dei Musei Vaticani.
Sono felice di dove sono arrivato, ma sono convinto che ci siano ancora tante strade da percorrere nel mondo dell’intrattenimento dal vivo e tante nuove contaminazioni da sperimentare. Insomma, sono sicuro che dietro l’angolo ci sia un altro spettacolone che aspetta solo noi per essere starnutito davanti agli occhi emozionati e stupiti del mondo.