Arctic cottage
TAG: Scienza sost. + agg. ( sing. m. ingl.) – Con il riscaldamento terrestre le terre a nord del 45° parallelo diventano la nuova frontiera dell’antropizzazione e del turismo. L’Artico è uno spazio ricco di bellezze naturali che sta attraendo investimenti sempre più significativi e presto potrebbe mandare in pensione i Caraibi. «Che bella la casetta in Canadà». Era il tormentone degli anni Cinquanta, il sogno degli emigranti italiani del Dopoguerra. Ora per molti architetti, soprattutto canadesi come Lola Sheppard e Mason White dello studio Lateral Office di Toronto, lo sviluppo demografico e urbanistico del Grande Nord, artico e sub artico, è business quotidiano: «Sarà la parte del mondo dove andare a vivere o a trascorrere le vacanze, come oggi i Caraibi», dice Sheppard. Il processo è definito: si studiano gli insediamenti inuit, si selezionano nuovi materiali isolanti e si costruiscono prototipi di cottage modulari trasportabili con elicotteri nelle oltre tremila isole canadesi bagnate dall’Oceano Polare. «Nel volgere di due decenni», dice il geografo e demografo californiano Laurence Smith, «l’High North sarà colonizzato, diventerà la regione dove emigrare, fare famiglia e radicare l’esistenza. Così come è accaduto negli Stati Uniti nel Sette e Ottocento». L’assioma è semplice, e Laurence ce lo spiega con drammatica lucidità. Il pianeta è sovraffollato, la popolazione cresce di un miliardo di individui ogni quattro anni, tanto quanto Stati Uniti, tre Messico e due Pakistan messi insieme. La Terra ha sempre meno risorse a disposizione, idrocarburi, minerali, acqua dolce, proteine: se il resto della popolazione globale consumasse quanto Stati Uniti, Europa, Giappone e Australia, la pressione sugli ecosistemi sarebbe pari a quella di 70 miliardi di persone. L’onda espansiva della globalizzazione sembra inarrestabile, ma altrettanto ineluttabili appaiono gli effetti del cambiamento climatico, che sono più devastanti nelle aree temperate, le più popolate: siccità, desertificazione, impoverimento economico, “migrazioni climatiche”, crisi politiche e sociali. C’è però anche una forza che interviene a mitigare gli altri fattori, la tecnologia, mai così determinante nella storia dell’umanità: è la tecnologia a rendere “globali” aree del pianeta come l’Artide, finora escluse dalla grande Storia. Negli ultimi cinque anni questa regione è diventata l’ultima delle ultime frontiere, centrale per il futuro della nostra specie: il global warming rende sempre più accessibili le immense risorse (si stima di un valore di circa 30 trilioni di dollari) a cominciare da petrolio e gas; il “Pil artico” cresce dell’11% l’anno; i fondi d’investimento puntano sullo sviluppo delle infrastrutture come aeroporti, porti, facilities per il trasporto marittimo internazionale che attraversando l’Artide dimezzano le distanze delle rotte tradizionali. Il nuovo oceano che emerge dal ghiaccio (uno spazio di 2,8 milioni di chilometri quadrati, quanto il Mediterraneo) è sempre più pescoso, perché molte specie si spostano a nord in cerca di acque più fredde. Un mondo nuovo, ricchissimo d’acqua dolce (12 milioni di km2), abitato da soli 4 milioni di persone, ancora tosto dal punto di vista climatico ma che in prospettiva – secondo Smith, autore del best-seller The World
in 2050 – «diventerà come le vostre Alpi negli anni Sessanta; scompariranno le renne e si alleveranno mucche». L’avanguardia della prossima migrazione è costituita dal turismo, che vede nell’High North il nuovo esotico, la tundra e la taiga hanno sostituito il fascino del deserto e delle palme. Nella sola Islanda, 320mila abitanti, la scorsa estate i turisti sono stati quasi 4 milioni. Ecco perché investitori, architetti, ingegneri e costruttori stanno intercettando il futuro che vedrà nei territori oltre il 45° parallelo possibilità di sviluppo come in nessun’altra parte del mondo: è lassù che si costruiranno il cottage i nostri discendenti.