Cinema totale
sost. + agg. ( sing. m.) – Un passo oltre la realtà virtuale: la possibilità di vivere “davvero” la realtà che sta apparendo sullo schermo. Un’idea che parte dalla visionarietà di Aldous Huxley e che ora le tecnologie potrebbero rendere esperienza di tutti i giorni. Riportando – magari – anche il pubblico nelle sale.
Il cinema sta diventando noioso: negli Stati Uniti (e non solo, è un fenomeno che riguarda anche molti paesi d’Europa) il calo di presenze in sala è un processo inarrestabile. Non solo la sofisticazione dell’immagine digitale e tutti gli attributi della computer grafica (texture mapping, geometria, tecniche di illuminazione, illuminazione globale) cambiano con rapidità e altrettanto velocemente invecchiano i film; anche la tecnologia a 24 fotogrammi per secondo, il formato più comune, è con noi dal 1927 e penso abbia fatto il suo tempo. Non la ritengo più abbastanza stimolante e pulita: presenta una sfocatura eccessiva, ha troppo abbagliamento, le immagini di qualunque cosa si muova sullo schermo sono poco definite. Il linguaggio che Stanley Kubrick stava sviluppando per 2001: Odissea nello spazio era pensato per una pellicola da 70 millimetri e schermi più grandi, Cinerama, B150, Todd-AO; tutti questi procedimenti spettacolari, molto diffusi fra gli anni ’50 e i primi ’70, non esistono più. I giovani dell’industria non li hanno nemmeno sentiti nominare, nessuno di loro ha mai vissuto l’esperienza di un Roadshow Cinema 1080 pollici widescreen. L’unico riferimento che hanno è l’Imax, un’altra proiezione a 24 fotogrammi al secondo, e non è certo una cosa di cui rallegrarsi. Credo si possa fare meglio. La mia visione di cinema del futuro, che recupera l’idea dei “feelies” sviluppata da Aldous Huxley ne Il mondo nuovo, è il cinema totale, e se la realtà corrisponderà a quello che è oggi il mio pensiero, la mia visione, promette di diventare la prossima forma d’arte. Oggi realtà virtuale, realtà aumentata e tecnologie XR dimostrano che desideriamo essere coinvolti in prima persona nelle esperienze che ci vengono raccontate. Il concetto del cinema totale parte da qui: ruota intorno all’idea di un’esperienza immersiva profonda e trasformativa, capace di accorpare tutti gli aspetti più potenti, dalle interpretazioni perfette alla scenografia spettacolare, fino alla musica, in una realtà percepibile come tale. Sarebbe come vivere una vita diversa dalla propria ed entrare in un altro mondo. È l’esperienza raccontata nella serie Westworld,
che dimostra come l’intuizione di Huxley abbia influenzato intere generazioni di scrittori e registi, affascinati dall’idea di andare oltre i limiti della realtà fisica.
Non ci sarebbe alcuna conseguenza, in un’esperienza di questo tipo, se, per esempio, si decidesse di fare sesso con i protagonisti sullo schermo. Questa consapevolezza stimolerebbe la realizzazione di esperienze che oggi nemmeno immaginiamo. Credo che il pubblico sarebbe disposto a pagare profumatamente pur di vivere per due ore una realtà altra rispetto alla propria. Sono molto deluso nel vedere come la stragrande maggioranza dei film prodotti oggi non provi nemmeno a spingersi verso questa direzione. Si limita a raccontare storie, riproducendo qualcosa di già visto. Per questo, sto provando, prudentemente, ad aprire una mia strada: sono convinto di poter fare qualcosa che la maggior parte dei registi, oggi, non saprebbe fare. Di recente ho visto Ready Player One di Steven Spielberg; bene, io non voglio girare un film sulla realtà virtuale, mi sono detto, voglio fare una realtà virtuale migliore. Ci proverò. È il mio lavoro.