Cocktail di dati
sost. + sost. ( sing. pl. m.) – Perché i data set generino valore, bisogna impostare i processi di raccolta nell’ottica di una nuova prospettiva di rispetto della privacy.
Il cocktail di dati è un mix che produce valore e rispetta la privacy degli utenti. Lo afferma Michelle Dennedy, vulcanica responsabile della privacy di Cisco, che per l’azienda californiana sta costruendo la strategia di approccio a questo delicato aspetto della tecnologia, inventandosi anche il termine per definirla. La Dennedy è un avvocato che, dopo anni nei tribunali americani, è entrata nel mondo aziendale con uno scopo: guidare i processi di privacy engineering. L’azienda in cui lavora è un vero e proprio magnete per i dati: attraverso i suoi router e i suoi apparati di rete diffusi in milioni di centri di calcolo in tutto il pianeta passa buona parte del traffico dati di internet. Un’opportunità enorme per estrarre valore, ma anche un problema evidente di privacy. A meno di non cambiare nettamente prospettiva.
«Stiamo passando da una visione dei data
as oil, i dati come petrolio, da estrarre e raffinare, a un approccio data as currency, i dati come moneta», dice Dennedy. «Significa che i dati possono generare valore perché di fondo c’è un accordo sociale e una fiducia diffusa sul fatto che vengano raffinati e analizzati nel rispetto della privacy». Anche quando c’è una fiducia di fondo bisogna sempre lavorare per eliminare quell’attrito che rende difficile utilizzare i dati nel timore di problemi legali o di sicurezza. La soluzione? «Ricorrere alla privacy
engineering », spiega Dennedy, «attraverso la quale si costruiscono prodotti e servizi considerando il valore della privacy fin dall’inizio del processo. Se si lavora in questa direzione, si costruisce una visione diversa dei dati. Che non si rivendono più come fossili di dinosauri da far studiare a terzi, ma possono essere usati come ingredienti di veri e propri cocktail di informazioni, mix di data set diversi che generano valore in maniera proattiva». Il futuro dei dati, da questa prospettiva, è particolare. Secondo Dennedy, è possibile costruire strumenti software e tecnologie sempre più sofisticate per creare sistemi capaci di unire il rispetto delle informazioni e la generazione di valore. Per esempio, utilizzare le blockchain per dar vita a un ecosistema dei fondi di investimento nel quale le informazioni, non più in mano solo a gestori e analisti, viaggino in maniera sicura, impossibile da modificare senza l’autorizzazione dei legittimi proprietari.
«Non sono ingenua», dice, «sono anzi convinta che oggi si debba fare ancora molto. È però necessario lavorare guardando avanti, su idee che pongano le basi per le tecnologie di domani. Se guardiamo ai dati come moneta, occorre progettare oggi gli strumenti che permetteranno di generare la fiducia necessaria domani». Al cuore della questione privacy, secondo Dennedy, c’è un approccio di fondo che riguarda tutti, a partire dalle pubbliche amministrazioni, «che oggi fanno un unico, enorme data lake nazionale, sbagliando. È un approccio “dati come petrolio” che porta a errori e fughe di informazioni. È un lavoro che deve avere come base la fiducia». Parafrasando una vecchia intervista a Bill Gates, non c’è più bisogno soltanto di ingegneri, ma di poeti e artisti che ci permettano di fare le scelte giuste raccontando le storie giuste, dando cioè un contesto ai dati per trasformarli in informazioni e in comunicazioni rispettose di tutti. «Altrimenti», conclude Dennedy, «quando avremo portato online il prossimo miliardo di persone, a parte vendere loro qualche gadget, come potremo metterli in condizione di dare più senso e creare più valore per il nostro pianeta?».