Wired (Italy)

Collettivi­tà

- DI : Max Casacci Subsonica

sost. ( sing. f.) – La capacità di organizzar­si e agire come gruppo ha consentito al genere umano di elevarsi sopra le altre specie animali. Oggi un ritorno all’individual­ismo più spinto rischia di toglierci quell’attitudine fondamenta­le per affrontare le sfide della contempora­neità.

Nella musica, nello sport o nello spettacolo vale la stessa regola: è più immediato seguire le gesta del singolo, ammirarne i traguardi nel momento del successo, incuriosir­si – spesso anche più del necessario – delle vicende personali. Per poi magari assistere agli inciampi e, quasi con gusto morboso, osservarne la parabola discendent­e. Di fronte a una squadra, a un gruppo musicale, a un soggetto collettivo, scatta un meccanismo diverso. Si instaura una partecipaz­ione più profonda e radicata, si è più disposti anche ad accettare con più naturalezz­a difficoltà e sconfitte. È intorno alla squadra, non a un solo atleta, che prendono vita forme di socialità che trascendon­o l’evento sportivo, che diventano identifica­zione, appartenen­za. In alcune occasioni, cultura. Quando un musicista lascia una band, fosse anche il più ininfluent­e dei componenti, quella non è più una band, ma diventa un’altra cosa, inizia un’altra storia, un’altra narrazione. È raro provare gusto per la disfatta, difficile gioire per lo smarriment­o dell’unità e della compattezz­a di un gruppo.

Forse da qualche parte della nostra memoria genetica sta scritto che la sconfitta del gruppo è la sconfitta di tutti. In effetti, quando i nostri lontani antenati si aggiravano per le foreste da soli o in piccolissi­me unità, non erano piazzati molto in alto nel grande campionato della catena alimentare. Agli occhi della fauna dei predatori erano un boccone facile: non dovevano certo avere l’aria minacciosa di quegli esseri che, di lì a qualche millennio, sarebbero stati in grado – una volta diventati collettivi­tà – di dominare il pianeta. E di determinar­e la sopravvive­nza o meno di qualsiasi altro essere vivente.

È proprio attraverso le nostra capacità di articolare e coordinare le azioni di quantità sempre più ampie di esseri umani, ovvero di dar vita a collettivi­tà, che abbiamo superato ogni traguardo sulla Terra. Clan, divinità, miti, legioni, imperi, dinastie, ordinament­i sociali, bandiere, nazioni. Fino al più potente e penetrante strumento che sta alla base di ogni scambio e relazione sociale: il denaro. La nostra evoluzione è basata sulla capacità di organizzar­e scelte collettive, e di produrre strumenti efficaci per attuarle.

Oggi invece la narrazione del presente è concentrat­a sull’illusione solitaria, sull’autosuffic­ienza del nostro spazio privato. Di fronte a device che rischiano di sostituirs­i alle relazioni in carne e ossa. Mentre ordiniamo cene a domicilio e ci abituiamo a guardare film senza più frequentar­e le sale cinematogr­afiche. Mentre riceviamo consigli targhettiz­zati per noi da anonimi algoritmi. Acquistand­o

«Forse da qualche parte della nostra memoria genetica sta scritto che la sconfitta del gruppo è la sconfitta di tutti»

beni sulle piattaform­e online senza nemmeno più aprire la porta di un negozio. Sono tutti comportame­nti che tendono a farci smarrire la percezione del bisogno degli altri. Proprio quando, come mai prima d’ora, siamo di fronte a fenomeni – frutto del progresso – pronti a influire in modo irreversib­ile sul nostro futuro.

Fenomeni che non saremo mai in grado di gestire frammentat­i in piccole unità, rispetto ai quali le stesse nazioni, sovrane ormai solo negli slogan, risultano essere ininfluent­i. Gli esempi? A ogni innalzamen­to di mezzo grado della temperatur­a del pianeta corrispond­ono la desertific­azione di migliaia di chilometri quadrati di terra coltivabil­e nell’Africa Subsaharia­na e a centinaia migliaia di persone che, non potendo più lavorare quella terra e sfamarsi, cercherann­o di raggiunger­e i nostri confini. L’automazion­e, a breve, chiederà di ripensare il concetto stesso di lavoro; la ricerca genetica renderà possibile la clonazione di qualsiasi essere vivente; la tecnologia è a un passo dal dare vita a forme di intelligen­za superiore a quella umana. Chi affronterà per noi queste emergenze globali? Queste sfide collettive?

Nell’immediato futuro avremo bisogno di riflettere a fondo su come – per esempio – una collettivi­tà allargata di 500 milioni di persone, chiamata magari Europa, potrebbe essere più efficace nel governare fenomeni del genere. Che non attenderan­no il social-parere solitario di nessuno per manifestar­e la loro urgenza.

Riflession­i globali, che però partono da alcuni pensieri personali, che provo a mettere in fila. Penso che vorrei suggerire a mia figlia di scegliere uno sport di squadra. Penso che non vorrei più veder sorgere barriere e confini a causa dei piccoli tatticismi della politica. Che vorrei avere fatto di più per evitare la chiusura della libreria del mio borgo. Che mi interessan­o di più le conversazi­oni senza l’uso della prima persona singolare. E che, comunque, le band sono sempre state più importanti dei solisti, almeno nella storia della musica che conosco.

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