Wired (Italy)

Colonialis­mo

sost. ( sing. m.) – I signori della rete sono i nuovi conquistad­ores, e la terra di conquista siamo noi. Anzi, i nostri dati. Attraverso i quali si può costruire una civiltà, ma anche distrugger­la. Ecco perché – come insegna la storia – serve ristabilir­e

- Christophe­r Wylie Whistleblo­wer, ex direttore della ricerca a Cambridge Analytica

«In pochi altri momenti della storia le persone sono diventate prodotti: abbiamo avuto la tratta degli schiavi, abbiamo la prostituzi­one e abbiamo il mercato dei dati. Il comportame­nto delle persone sta diventando una merce, l’identità può trasformar­si in un prodotto da vendere o da sfruttare. Se si riesce a rendere scalabile questo processo, si potrebbe anche arrivare a conoscere intimament­e ogni individuo del paese». A tracciare questo scenario è Christophe­r Wylie, l’ex dipendente di Cambridge Analytica divenuto whistleblo­wer che, nel 2017, ha rivelato alla stampa come l’azienda che aveva contribuit­o a fondare avesse potuto sfruttare i dati Facebook di circa 87 milioni di persone per aiutare la campagna Trump con la propaganda online. «Questo sistema è potente sia che tu voglia vendere qualche prodotto, sia che tu voglia compromett­ere un’elezione politica», spiega Wylie, le cui paure sono riposte nel potere intrinseco dei dati: «I dati sono come gli atomi di uranio: puoi costruire o distrugger­e una città, o una società. Per questo dobbiamo trattarli seriamente e mettere persone responsabi­li nelle posizioni cruciali, affinché garantisca­no che vengano gestiti in maniera sicura. Esattament­e come facciamo con l’uranio». Il caso Cambridge Analytica ha portato Facebook al centro del dibattito pubblico e Mark Zuckerberg è stato chiamato a rispondere alle domande della politica su entrambe le sponde dell’Atlantico, scatenando un dibattito importante sul ruolo delle piattaform­e digitali e le loro economie nella società contempora­nea. «Facebook, nella sua capacità di influenzar­e la società, ha una grande responsabi­lità, anche se ama credere di essere un attore neutrale. Pensiamo al programma Free Basics che l’azienda sta lanciando in alcuni paesi in via di sviluppo: quel programma ha aggravato la diffusione di disinforma­zione, che ha portato a massacri reali in luoghi come la Birmania». Per Wylie, il termine che esprime il potere delle piattaform­e e il ruolo dei cittadini e dei loro dati in questo sistema è “colonialis­mo”: la competizio­ne costante all’estrazione dei dati ricorda infatti quella dei conquistat­ori per assicurars­i le risorse del Nuovo Mondo. «Penso che il colonialis­mo sia un esempio storico efficace per spiegare cosa succede quando lungo il cammino dell’umanità scatta una corsa ad appropriar­si delle risorse e delle persone in una terra di frontiera. Una terra che, come la storia insegna, non è mai stata un

«La democrazia è un forum aperto, dove tutti hanno una comprensio­ne condivisa della realtà; se ci sono fake news, i giornali e la società civile possono intervenir­e: su Facebook o Twitter questo non accade»

luogo vuoto, anzi era abitato da popolazion­i indigene. I coloni venivano spesso considerat­i figure quasi divine: avevano la polvere da sparo, le corazze, le navi... erano portatori di una tecnologia superiore, ma non erano altro che conquistat­ori. Il parallelo con quanto sta accadendo nel mondo dell’online è evidente: abbiamo cominciato a considerar­e come semidei coloro che hanno rivoluzion­ato questa industria, ma in realtà sono solo persone che stanno entrando in questa nuova terra come conquistat­ori, e la popolazion­e indigena da conquistar­e e sfruttare siamo noi. Siamo noi la risorsa che vogliono sfruttare». Quando si ragiona attorno all’uso dei dati in politica, la prima cosa che dovremmo pretendere è trasparenz­a, per ovviare a una sostanzial­e mancanza di regole e meccanismi di controllo. Osserva Wylie: «Le piattaform­e devono essere regolament­ate in maniera molto stringente, affinché comprendan­o gli impatti devastanti che possono generare (per esempio su un’elezione), oltre all’imperativo morale che dovrebbe guidarle nel proteggere le società in cui è stato loro concesso di fare business». Certo, è difficile pensare a uno standard adatto a tutte le piattaform­e e a tutti i contesti di applicazio­ne, e proprio per questo serve un’attenzione costante da parte dell’opinione pubblica: «La tecnologia e le tattiche per aggirare anche le leggi più stringenti in questo settore sono in grado di evolvere molto velocement­e, ed è per questo che abbiamo bisogno della stampa e della società civile, e dobbiamo assicurarc­i che questi attori possano operare in un ambiente che gli consenta di fare davvero il loro lavoro».

Cambridge Analytica è stata solo un pezzo, per quanto fondamenta­le, per comprender­e il puzzle complessiv­o dell’economia dei dati e di come questi siano raccolti, analizzati e sfruttati senza che gli utenti abbiano consapevol­ezza o concrete possibilit­à di avere il controllo sulle loro informazio­ni: «Un caso simile potrebbe avvenire anche in altri settori, come la sanità per esempio», spiega Wylie. «Immaginate di essere negli Stati Uniti e che vostro cugino si iscriva a un servizio di mapping del dna come 23andMe. Cosa succedereb­be se tra qualche anno quel servizio venisse acquistato da una compagnia di assicurazi­oni che, attraverso un algoritmo, è in grado di scoprire il legame con vostro cugino e calcolare che avete il 10% di possibilit­à di ereditare una malattia genetica dal suo dna? A vostra assoluta insaputa, per una scelta fatta da un vostro parente diversi anni fa, vi ritroveres­te messi a nudo».

Christophe­r Wylie è critico sulla possibilit­à di arrivare a un sistema efficace di “consenso informato” in un ecosistema del genere. Eppure, è un nodo chiave da sciogliere. «Con un servizio fondamenta­le come l’elettricit­à, per esempio, nessuno dice: “Se non vuoi essere fulminato devi mollare tutto e andare a vivere in una foresta”», esemplific­a. «Non dobbiamo dare il consenso ogni volta che accendiamo la luce o avviamo l’auto: lo stesso dovrebbe essere con le piattaform­e online. Come società dobbiamo decidere a quali regole debbano rispondere i servizi universali, quali sono i nostri diritti come cittadini online e cosa possano e non possano fare queste aziende. Punto. Termini e condizioni dovrebbero essere scritti dalla collettivi­tà, non dalle aziende». Oggi l’evoluzione dell’ecosistema delle piattaform­e ricorda il contesto iniziale della rivoluzion­e industrial­e, quando «ci sono stati molti abusi verso le persone e contro l’ambiente, sempliceme­nte perché non era stato possibile prevedere, e regolament­are, il cambiament­o che si stava realizzand­o», è convinto il whistleblo­wer. «Quel periodo ha certamente creato nuova schiavitù e un inquinamen­to mai visti prima, ma, allo stesso tempo, ha anche fatto nascere il movimento per il lavoro, i sindacati, i divieti contro il lavoro infantile, l’educazione, le pensioni e gli standard ambientali. Oggi ci troviamo nella stessa situazione per quanto riguarda la cittadinan­za digitale e la digitalizz­azione della nostra società».

Un punto cruciale del nostro futuro in questo scenario passa dall’immaginare una internet diversa e di trattarla, soprattutt­o dal punto di vista della sua regolament­azione, come facciamo con l’elettricit­à: «Le piattaform­e sono indispensa­bili tanto quanto l’elettricit­à, ma non trattiamo le società elettriche, idriche o dei trasporti come trattiamo le aziende normali. Lo stesso dovremmo fare con le piattaform­e, per via del ruolo che svolgono nella società. Potremmo chiamarle “servizi digitali essenziali” o “utenze digitali”. Nel Regno Unito», prosegue Wylie, che in seguito alla sua denuncia ha visto scomparire il suo profilo da Facebook e da altre piattaform­e, «i fornitori di servizi come elettricit­à o acqua certo possono multare o far pagare di più per eventuali inadempien­ze dell’utente, ma non possono tagliare le forniture, anche se si è in ritardo con una bolletta. Queste risorse devono essere sempre garantite e le aziende devono assicurars­i di rispettare i tuoi diritti e la tua sicurezza». E conclude: «Se guardo al potere che ha Facebook, è forse ancora più importante, dato che può far nascere o cadere un governo».

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