Disuso
sost. ( sing. m.) – Rinunciare alla plastica? Un’idea che ancora fa paura alla maggioranza degli italiani, nonostante la cresciuta sensibilità rispetto all’enorme inquinamento che genera. Intanto, si può iniziare con un riuso intelligente, che chiede la c
L’ABUSO
Dal secondo dopoguerra in avanti un materiale ha letteralmente stravolto il mondo della produzione di beni e oggetti: la plastica. Se ha rappresentato una rivoluzione per l’industria, allo stesso tempo ha spazzato via dall’uso quotidiano molti altri materiali, o li ha resi marginali. Con il passare degli anni è divenuto evidente come la principale criticità legata alla plastica sia l’inquinamento, generato dal suo abbandono in luoghi non idonei e dall’estrema resistenza nel tempo alla degradazione. Il 50% degli italiani ritiene “gravi” i problemi causati dalla plastica, mentre un ulteriore 20% li considera tali solo qualora non sia possibile uno smaltimento corretto. A causa della sua pervasività, questo materiale ha generato (e genera) importanti conseguenze sull’ambiente a livello globale: se ne continua a produrre un tonnellaggio sempre crescente, in una sorta di abuso che non tiene conto delle difficoltà associate a un corretto smaltimento delle grandi quantità in circolazione. Secondo una previsione pubblicata nel 2016 dal World Economic Forum in collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation, a metà di questo secolo i mari conterranno più plastica che pesci. Una notizia che sembra sbalorditiva e allarmistica, ma che non sorprende così tanto se si tiene conto che il Great Pacific Garbage Patch, l’isola del Pacifico formata da un enorme ammasso di plastica, si stima abbia una superficie pari a circa il triplo della Francia. L’80% degli italiani considera quest’isola (che dal 2013 è stata ufficialmente riconosciuta dall’Unesco come Stato) un vero e proprio disastro ecologico e il 43% è consapevole che lo sviluppo di questo “mostro” sia legato a una responsabilità personale di tutti i cittadini del mondo. Gli italiani associano a questo materiale una dimensione negativa: è “inquinante” nel 61% dei casi ed “eccessivamente utilizzato” per il 53% del campione intervistato. Come terza caratteristica, la plastica è definita “riciclabile” (45%), ma si tratta di una caratteristica vera solo in parte e che può rappresentare una risposta soltanto parziale al problema.
IL RIUSO
Il problema dell’attuale utilizzo di plastica è dunque noto, e per questo non stupisce che in Italia la sensibilità delle persone sul tema della sostenibilità sia in crescita: il 24% della popolazione ne conosce esattamente il significato, mentre 5 anni fa si arrivava soltanto al 13%. Inoltre, è
più diffusa la percezione che le questioni ambientali stiano acquisendo importanza, sia a livello personale sia per la comunità. Due terzi degli italiani pensano che sia cresciuta, nei loro concittadini, la sensibilità su questo tema e il 60% sostiene che sia cresciuta quella delle imprese. Ma come si concretizza il concetto di sostenibilità nella vita di tutti i giorni? Una prima risposta, la più semplice da mettere in pratica, può essere il riuso e il riciclo, ossia un riutilizzo dell’oggetto o del materiale. Il legame tra sostenibilità e riciclo è infatti molto stretto: quando un prodotto viene definito “sostenibile”, la prima caratteristica a cui il 48% degli italiani pensa è che deve essere “riciclabile in tutte le sue parti”. I dati Istat confermano la crescente attenzione dei nostri connazionali su questo aspetto: nel 2017 si stima che l’85% delle famiglie abbia effettuato con regolarità la raccolta differenziata della plastica, un valore che era al 40% nel 1998 ed è più che raddoppiato in venti anni, anche grazie all’introduzione diffusa sul territorio di sistemi ad hoc per la gestione dei rifiuti. In questa direzione si muove anche la Commissione europea, che ha adottato a fine 2015 un “Piano d’azione per l’economia circolare” che pone l’obiettivo della completa riciclabilità di tutti gli imballaggi di plastica entro il 2030. Se riusare la plastica rappresenta una risposta al problema dello smaltimento ed è ormai diventata consuetudine, esistono però anche dei limiti al riciclo. Il più rilevante è la quota non trascurabile di plastica difficilmente riciclabile: a oggi soltanto gli imballaggi lo sono, mentre il resto degli oggetti è destinato a terminare la propria vita in discarica o in un inceneritore. Un’altra questione saliente è il riciclo on-the-go: sono ancora pochi gli spazi pubblici dotati di cestini per la raccolta differenziata, tanto che circa 3 italiani su 4 riconoscono in questa assenza il principale ostacolo al proprio desiderio di riciclo: il riciclo viene accolto con favore quando non comporta un eccesso di fatica. La predisposizione personale necessita dunque del sostegno e dell’incoraggiamento degli organismi pubblici e collettivi, che devono apparire al cittadino come preziosi alleati, altrettanto attenti e interessati al tema della sostenibilità.
IL BIOUSO
In risposta al principale limite del riciclo – la quota di rifiuti non riciclabili, o non riciclati – si affaccia una seconda possibile soluzione: le bioplastiche, ovvero sia le plastiche che derivano da materie prime rinnovabili sia le plastiche biodegradabili. In entrambi i casi sono materiali riciclabili, con un impatto ambientale più contenuto. Malgrado in Italia questa categoria di prodotti sia ancora relativamente poco nota (poco più della metà degli italiani la conosce «a grandi linee»), sono state di recente al centro dell’attenzione con l’introduzione dell’obbligo dei sacchetti biodegradabili nei supermercati, per la spesa di frutta e verdura. In quel caso, il dibattito sul prezzo dei sacchetti ha totalmente spostato l’attenzione dall’obiettivo primario della misura: favorire l’adozione di shopper biodegradabili, a discapito dei sacchetti di plastica decisamente meno eco-friendly. L’iniziativa, che ha recepito una Direttiva europea, è stata comunque accolta positivamente dalla maggioranza degli italiani (58%). I vantaggi delle bioplastiche sono evidenti: oltre a essere completamente riciclabili, a differenza delle normali plastiche si decompongono in tempi molto inferiori (qualche mese rispetto a circa un millennio), dunque ne beneficia anche la fase di smaltimento. Inoltre, poiché formate da materia organica fertilizzante, possono persino essere utilizzate come concime. Le bioplastiche generano aspettative positive, e sono ritenute la soluzione più percorribile (dal 41% degli intervistati) per ridurre il problema ambientale collegato alla plastica. È un’opzione preferita sia rispetto all’utilizzo di sole plastiche riciclabili (26%) sia all’investimento in tecnologie ancora in fase sperimentale in grado di degradare la plastica già in circolazione (15%). Ci sono anche in questo caso dei contro: per ora le bioplastiche non sono in grado di sostituire completamente quelle normali, inoltre sono di solito prodotte a partire da materie prime vegetali. Mais, grano