Big data
agg. + sost. ( pl. ingl.) – Nel capitalismo del futuro (ormai prossimo), il “capitale” sarà costituito dai dati. Che manderanno in pensione il denaro e daranno alle macchine un ruolo non solo esecutivo, ma decisionale. Per evitare che questa utopia diventi distopia, i governi devono stabilire regole che garantiscano di poter gestire in maniera equilibrata questo cambiamento epocale.
Addio al denaro e al sistema dei prezzi: l’elemento strutturale dei mercati del futuro saranno i dati. A sostenerlo è Viktor Mayer-Schönberger, professore dell’Università di Oxford, uno dei massimi esperti mondiali di big data. Nel suo ultimo libro, Reinventare il capitalismo nell’era dei
big data, scritto con Thomas Ramge, Mayer-Schönberger prefigura la creazione di un sistema economico data rich, dove una più precisa ed equilibrata diffusione dell’informazione renderà i mercati più equi, meno centralizzati e più aperti alla competizione. «Una riconfigurazione che sarà epocale quanto la prima Rivoluzione industriale, perché reinventerà il capitalismo rispetto a come lo conosciamo oggi», osserva. Un percorso in salita, fitto di ostacoli sociali ed etici. «Oggi ci troviamo in una fase transitoria, nella quale i rischi sono più evidenti dei benefici, specialmente per quanto riguarda l’evoluzione del mondo del lavoro. Il passo fondamentale e più urgente è arrivare a una regolamentazione, da parte dei governi, delle modalità in cui i dati sono raccolti, controllati e sfruttati dalle grandi aziende che ora controllano i mercati in modo monopolistico. A quel punto», dice Mayer-Schönberger, «potremo lasciarci alle spalle i mercati basati sul capitale e aprirci a una nuova economia basata sui dati».
La strada verso l’utopia, però, è lastricata di tante possibili distopie. «Fino a cinque anni fa, il tema big data creava grandi preoccupazioni», spiega il ricercatore di Oxford: «Poi, qualcuno ha avanzato l’idea di chiamare machine intelligence o intelligenza artificiale buona parte di ciò che i big data sono in grado di fare: questi termini sono rimasti preoccupanti, per qualcuno, ma in generale hanno generato curiosità, hanno reso il tema attraente. È cambiata la prospettiva: le macchine non sono più viste solo come strumenti veloci nel computing, o più resistenti nel sollevare pesi, ma siamo disposti ad assegnar loro anche i processi decisionali. Siamo in una fase di adattamento progressivo del nostro rapporto con le macchine». Mayer-Schönberger avanza l’ipotesi che i mercati data rich riscriveranno – e per il meglio – i fondamenti dell’economia: «I mercati funzionano davvero solo se c’è un buon flusso di informazioni: se questo flusso migliora, allora si avrà un mercato più efficiente, quello che io chiamo un data rich market ».
Nel mercato attuale e nell’economia delle piattaforme, il ruolo di alimentare e gestire questo flusso di informazioni è nelle mani di poche aziende. Il che, sottolinea Mayer-Schönberger, rende il nuovo capitalismo data based più vulnerabile. «Il fatto che un numero limitato di aziende gestisca i dati, e quindi
guidi i mercati, rende il nuovo capitalismo più simile a un’economia pianificata (ricordate la “vecchia” Unione Sovietica?). Certo, ci sono transazioni migliori, perché il matching tra venditori e acquirenti è migliore. Il marketplace, però, è guidato da aziende monopolistiche come per esempio Amazon o Google che, contemporaneamente, ci consigliano non solo dove e come, ma anche che cosa comprare». Come prevenire il sorgere o il rafforzarsi dei nuovi monopoli al centro di questa nuova idea di mercato? «Se non troviamo nuove regole valide e condivise, avremo sì un data rich
market, ma sarà guidato da un numero ristretto di aziende. Una soluzione potrebbe essere quello che io chiamo progressive data sharing: avremo ancora un mercato gestito dalla Amazon di turno, ma con un advisor terzo che ci consiglia cosa comprare o vendere in quel mercato. In questo modo si ridurrebbe sensibilmente il potere centrale che l’Amazon di turno detiene, contribuendo anche a rafforzare la resistenza del mercato stesso. Si evita infatti la possibilità di una vulnerabilità centrale che metterebbe in crisi l’intero sistema». Per questo, il contributo dei governi è fondamentale: «Il loro ruolo sarà stabilire equità di accesso ai dati a tutti gli attori».
«Negli ultimi anni si è parlato molto di automazione del lavoro, e la percezione dell’opinione pubblica è più concentrata sulla possibilità che i robot sostituiscano gli umani sul posto di lavoro, piuttosto che sul potenziale impatto dell’intelligenza artificiale, del machine learning e della loro capacità di calcolo in senso più ampio», dice il professore. «C’è chi sostiene che il 30, 40, forse 50 per cento dei posti di lavoro saranno cancellati, con una conseguente crescita della disoccupazione. Io non penso che accadrà. Il problema non sta nel numero di posti di lavoro che andranno perduti, ma sul come cambierà il mondo del lavoro, e quanto saremo pronti a gestire questi cambiamenti», osserva Mayer-Schönberger. «Molti politici rispondono in maniera superficiale: “Se le merci viaggeranno su mezzi a guida autonoma”, dicono, “allora gli autisti di camion seguiranno percorsi di formazione per diventare infermieri che si occupano degli anziani”. Be’, buona fortuna a un programma del genere! Durante la fase tarda dell’era industriale molte persone hanno perso il lavoro in fabbrica, ma non molti di loro hanno avuto la fortuna di diventare, da un giorno all’altro, impiegati nella nascente industria dei servizi. Per armonizzare queste dinamiche ci vuole tempo. La gestione di questa fase di transizione è molto delicata, e spero che la politica si renda conto di quanto il tema sia cruciale. Occorre far sì che le persone non si sentano abbandonate quando perdono il loro lavoro, e questo è un grosso problema politico per le nostre democrazie».