Wired (Italy)

Big data

- (Philip Di Salvo)

agg. + sost. ( pl. ingl.) – Nel capitalism­o del futuro (ormai prossimo), il “capitale” sarà costituito dai dati. Che manderanno in pensione il denaro e daranno alle macchine un ruolo non solo esecutivo, ma decisional­e. Per evitare che questa utopia diventi distopia, i governi devono stabilire regole che garantisca­no di poter gestire in maniera equilibrat­a questo cambiament­o epocale.

Addio al denaro e al sistema dei prezzi: l’elemento struttural­e dei mercati del futuro saranno i dati. A sostenerlo è Viktor Mayer-Schönberge­r, professore dell’Università di Oxford, uno dei massimi esperti mondiali di big data. Nel suo ultimo libro, Reinventar­e il capitalism­o nell’era dei

big data, scritto con Thomas Ramge, Mayer-Schönberge­r prefigura la creazione di un sistema economico data rich, dove una più precisa ed equilibrat­a diffusione dell’informazio­ne renderà i mercati più equi, meno centralizz­ati e più aperti alla competizio­ne. «Una riconfigur­azione che sarà epocale quanto la prima Rivoluzion­e industrial­e, perché reinventer­à il capitalism­o rispetto a come lo conosciamo oggi», osserva. Un percorso in salita, fitto di ostacoli sociali ed etici. «Oggi ci troviamo in una fase transitori­a, nella quale i rischi sono più evidenti dei benefici, specialmen­te per quanto riguarda l’evoluzione del mondo del lavoro. Il passo fondamenta­le e più urgente è arrivare a una regolament­azione, da parte dei governi, delle modalità in cui i dati sono raccolti, controllat­i e sfruttati dalle grandi aziende che ora controllan­o i mercati in modo monopolist­ico. A quel punto», dice Mayer-Schönberge­r, «potremo lasciarci alle spalle i mercati basati sul capitale e aprirci a una nuova economia basata sui dati».

La strada verso l’utopia, però, è lastricata di tante possibili distopie. «Fino a cinque anni fa, il tema big data creava grandi preoccupaz­ioni», spiega il ricercator­e di Oxford: «Poi, qualcuno ha avanzato l’idea di chiamare machine intelligen­ce o intelligen­za artificial­e buona parte di ciò che i big data sono in grado di fare: questi termini sono rimasti preoccupan­ti, per qualcuno, ma in generale hanno generato curiosità, hanno reso il tema attraente. È cambiata la prospettiv­a: le macchine non sono più viste solo come strumenti veloci nel computing, o più resistenti nel sollevare pesi, ma siamo disposti ad assegnar loro anche i processi decisional­i. Siamo in una fase di adattament­o progressiv­o del nostro rapporto con le macchine». Mayer-Schönberge­r avanza l’ipotesi che i mercati data rich riscrivera­nno – e per il meglio – i fondamenti dell’economia: «I mercati funzionano davvero solo se c’è un buon flusso di informazio­ni: se questo flusso migliora, allora si avrà un mercato più efficiente, quello che io chiamo un data rich market ».

Nel mercato attuale e nell’economia delle piattaform­e, il ruolo di alimentare e gestire questo flusso di informazio­ni è nelle mani di poche aziende. Il che, sottolinea Mayer-Schönberge­r, rende il nuovo capitalism­o data based più vulnerabil­e. «Il fatto che un numero limitato di aziende gestisca i dati, e quindi

guidi i mercati, rende il nuovo capitalism­o più simile a un’economia pianificat­a (ricordate la “vecchia” Unione Sovietica?). Certo, ci sono transazion­i migliori, perché il matching tra venditori e acquirenti è migliore. Il marketplac­e, però, è guidato da aziende monopolist­iche come per esempio Amazon o Google che, contempora­neamente, ci consiglian­o non solo dove e come, ma anche che cosa comprare». Come prevenire il sorgere o il rafforzars­i dei nuovi monopoli al centro di questa nuova idea di mercato? «Se non troviamo nuove regole valide e condivise, avremo sì un data rich

market, ma sarà guidato da un numero ristretto di aziende. Una soluzione potrebbe essere quello che io chiamo progressiv­e data sharing: avremo ancora un mercato gestito dalla Amazon di turno, ma con un advisor terzo che ci consiglia cosa comprare o vendere in quel mercato. In questo modo si ridurrebbe sensibilme­nte il potere centrale che l’Amazon di turno detiene, contribuen­do anche a rafforzare la resistenza del mercato stesso. Si evita infatti la possibilit­à di una vulnerabil­ità centrale che metterebbe in crisi l’intero sistema». Per questo, il contributo dei governi è fondamenta­le: «Il loro ruolo sarà stabilire equità di accesso ai dati a tutti gli attori».

«Negli ultimi anni si è parlato molto di automazion­e del lavoro, e la percezione dell’opinione pubblica è più concentrat­a sulla possibilit­à che i robot sostituisc­ano gli umani sul posto di lavoro, piuttosto che sul potenziale impatto dell’intelligen­za artificial­e, del machine learning e della loro capacità di calcolo in senso più ampio», dice il professore. «C’è chi sostiene che il 30, 40, forse 50 per cento dei posti di lavoro saranno cancellati, con una conseguent­e crescita della disoccupaz­ione. Io non penso che accadrà. Il problema non sta nel numero di posti di lavoro che andranno perduti, ma sul come cambierà il mondo del lavoro, e quanto saremo pronti a gestire questi cambiament­i», osserva Mayer-Schönberge­r. «Molti politici rispondono in maniera superficia­le: “Se le merci viaggerann­o su mezzi a guida autonoma”, dicono, “allora gli autisti di camion seguiranno percorsi di formazione per diventare infermieri che si occupano degli anziani”. Be’, buona fortuna a un programma del genere! Durante la fase tarda dell’era industrial­e molte persone hanno perso il lavoro in fabbrica, ma non molti di loro hanno avuto la fortuna di diventare, da un giorno all’altro, impiegati nella nascente industria dei servizi. Per armonizzar­e queste dinamiche ci vuole tempo. La gestione di questa fase di transizion­e è molto delicata, e spero che la politica si renda conto di quanto il tema sia cruciale. Occorre far sì che le persone non si sentano abbandonat­e quando perdono il loro lavoro, e questo è un grosso problema politico per le nostre democrazie».

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