Esport
È la pratica del videogioco a livello competitivo e organizzato, uno dei fenomeni più indicativi della progressiva sovrapposizione fra realtà e digitale. L’audience complessiva stimata per il 2018 è di 350 milioni di persone, e il fatturato globale sarebbe superiore ai 900 milioni di dollari (+38% rispetto all’anno precedente). Complessivamente, è un business che si prevede che muoverà oltre 2 miliardi di dollari entro il 2020. Sempre più prerogativa di videogiocatori professionisti, i cosiddetti pro-player, l’esport non solo unisce l’agonismo e l’intrattenimento, i due passatempi più diffusi sotto i 25 anni (videogiocare e guardare chi lo fa), ma, attraverso la diffusione di piattaforme e canali dedicati, da Twitch a Espn, passando per YouTube Gaming, l’esport promette di essere la passione identitaria delle generazioni future. Una passione inclusiva: è infatti una “disciplina” aperta anche a chi abbia, per esempio, impedimenti fisici di qualche tipo.Il fenomeno è stato intercettato dai radar dei grandi brand: Amazon, Red Bull, McDonald’s e Coca-Cola, Nike, Adidas o Gillette sono già attivi in sponsorizzazioni, così come molte case automobilistiche come Mercedes-Benz e Renault. Se per i marchi già legati all’ambito agonistico l’investimento è logico, il coinvolgimento di aziende “extrasettore” conferma una rivoluzione epocale nelle abitudini di consumo. Non sostituirà lo sport, insomma, ma ne espanderà il concetto in modi tutti da scoprire. Da sempre abituata a rafforzare le relazioni internazionali, l’Unione Europea per la prima volta nella sua storia dovrà fare i conti con una riduzione dei suoi Stati membri. Il 29 marzo 2019 infatti il Regno Unito lascerà Bruxelles e l’influente “club dei ventotto” non esisterà più: con la Brexit sarà, all’inglese, Eu-27. Per evitare che tra i divorzianti volino gli stracci, l’addio sarà ammorbidito da un periodo di transizione che prolungherà i negoziati fino alla fine del 2020. La priorità è tenere in vita i rapporti commerciali che nel 2017 hanno mosso 480 miliardi di euro, il 50% degli scambi con l’estero del Regno Unito. Londra ha importato dall’Unione prodotti per 295,9 miliardi di euro, vendendone sul continente per 186,2. Se le relazioni dovessero incrinarsi, a rimetterci sarebbero tutti: i partner più attivi dei sudditi di Elisabetta II sono la Germania (con il 25% del mercato Uk-Ue), l’Olanda (15%), la Francia (12%), il Belgio (9%) e l’Irlanda (8%) che sarà anche l’unica frontiera fisica tra l’Europa e il Regno, con la frontiera in Irlanda del Nord oggetto di trattative tuttora in corso. I 27 paesi che restano a far parte dell’Unione rinnoveranno a fine maggio il Parlamento europeo. Saranno i nuovi deputati a suggellare gli accordi e, per la prima volta, a Strasburgo non siederanno politici britannici. Una parte dei 73 seggi storicamente destinati al Regno Unito è stata ridistribuita tra gli Stati membri, ma ben 46 poltrone resteranno libere. In attesa che l’Eu-27 possa tornare ad allargarsi di nuovo.