Poliamore
sost. comp. (sing. m.) – È il concetto di relazione affettiva e sessuale aperta che potrebbe abbattere il totem della fedeltà di coppia. Un ritorno agli usi dei Neanderthal che, forse, potrebbe farci scoprire la nostra vera natura. Ma siamo davvero pronti a condividere l’intimità? A catturare la mia curiosità è una parola preistorica (almeno così sostiene Yuval Noah Harari nel suo saggio Sapiens: da animali a dèi), ma che sento essere tornata decisamente alla ribalta, soprattutto in Europa. Per spiegare perché “poliamore” è la mia parola del futuro, cerco di procedere con un minimo di ordine. Partendo da me. Io sono un homo sapiens contemporaneo, soddisfacentemente accoppiato da 18 anni con Laura. Diciotto anni sono tanti e la coppia, si sa, richiede da parte di entrambi una costante opera di manutenzione. Per molto tempo ho creduto che la fedeltà fosse un patto necessario se pur molto difficile da rispettare. Intorno a me non vedo molte coppie di lungo corso, e mi pare che la fedeltà sia sempre meno il valore su cui si fondano i rapporti, e a riprova di questo ho letto di recente in una statistica che i rapporti sentimentali e sessuali plurimi e dichiaratamente condivisi stanno prendendo piede.
Capisco che siamo alle porte di una piccola, grande rivoluzione culturale e, con grande stupore, noto che questo trend coincide perfettamente con i miei atavici interrogativi sulla monogamia: finalmente se ne parla uscendo dal crudo dualismo fedeltà/infedeltà. Bello, in teoria. Mi piace, in pratica. Ma può funzionare davvero?
Se è vero che il futuro della coppia è destinato sempre più a includere altre persone all’interno di un nucleo aperto e felice, a uscire gradualmente dalla condizione di esclusività e ad ammettere rapporti e relazioni condivisi e dichiarati tra più persone, devo capire se sono pronto ad affrontare questo passo. Anzi, se noi due lo siamo! Io, che sembro dei due quello più aperto (o che forse ha solo più sensi di colpa da maschio che si sveglia con un’erezione non dedicata) dovrei sentirmi sollevato da questo cambiamento in atto. Invece, non mi quadra. Dovrei far parte di una comitiva che scopa liberamente e decide qual è il turno o il posto di vacanza, sempre in un ipotetico rispetto reciproco? Cosa già difficile da gestire in due, figuriamoci in gruppo...
Poi ripenso ad Harari, che racconta come prima della rivoluzione cognitiva – che risale a circa 70mila anni fa – la vita sociale dei Neanderthal seguiva esattamente queste logiche. Addirittura l’amore per i cuccioli era totalmente condiviso: non sapendo di quale padre fossero figli, nel dubbio, meglio trattare tutti i bambini come se fossero i propri. Bellissimo, certo, ma che paura!
Forse sono un bigotto, mi dico. Oppure vedo solo il lato ludico della questione, quindi, ancora peggio, sono un ipocrita.
Ma fermiamo i pensieri, e andiamo avanti. La monogamia, dicevo, per me non è una condizione naturale. Il continuo lavoro – contronatura – per difendere a tutti i costi il totem della fedeltà crea più problemi (perfino di salute, mi viene da pensare) che benefici. Di sicuro, quindi, la fedeltà non può essere la condicio
sine qua non dell’amore, ma il poliamore è davvero un’alternativa possibile? Lo scopriremo solo soffrendo, mi viene da dire. Perché l’amore è un osso duro, non conosce etica né correttezza. Forse è per questo che mi viene facile scrivere canzoni d’amore: perché non c’è risposta, né teoria. C’è solo ricerca. Mi piacerebbe un giorno scrivere un concept autobiografico dal titolo
Poliamore, ma dopo tanti ragionamenti mi sono accorto che in fondo, io, sono un tipo all’antica. Credo che mi riserverò questa meravigliosa esperienza per la prossima vita.
«L’amore è un osso duro, non conosce etica né correttezza. Forse è per questo che mi viene facile scrivere canzoni d’amore: perché in questo sentimento non c’è risposta, né teoria. Ma solo ricerca»