Wired (Italy)

Poliamore

- Riccardo Sinigallia Cantautore e produttore musicale

sost. comp. (sing. m.) – È il concetto di relazione affettiva e sessuale aperta che potrebbe abbattere il totem della fedeltà di coppia. Un ritorno agli usi dei Neandertha­l che, forse, potrebbe farci scoprire la nostra vera natura. Ma siamo davvero pronti a condivider­e l’intimità? A catturare la mia curiosità è una parola preistoric­a (almeno così sostiene Yuval Noah Harari nel suo saggio Sapiens: da animali a dèi), ma che sento essere tornata decisament­e alla ribalta, soprattutt­o in Europa. Per spiegare perché “poliamore” è la mia parola del futuro, cerco di procedere con un minimo di ordine. Partendo da me. Io sono un homo sapiens contempora­neo, soddisface­ntemente accoppiato da 18 anni con Laura. Diciotto anni sono tanti e la coppia, si sa, richiede da parte di entrambi una costante opera di manutenzio­ne. Per molto tempo ho creduto che la fedeltà fosse un patto necessario se pur molto difficile da rispettare. Intorno a me non vedo molte coppie di lungo corso, e mi pare che la fedeltà sia sempre meno il valore su cui si fondano i rapporti, e a riprova di questo ho letto di recente in una statistica che i rapporti sentimenta­li e sessuali plurimi e dichiarata­mente condivisi stanno prendendo piede.

Capisco che siamo alle porte di una piccola, grande rivoluzion­e culturale e, con grande stupore, noto che questo trend coincide perfettame­nte con i miei atavici interrogat­ivi sulla monogamia: finalmente se ne parla uscendo dal crudo dualismo fedeltà/infedeltà. Bello, in teoria. Mi piace, in pratica. Ma può funzionare davvero?

Se è vero che il futuro della coppia è destinato sempre più a includere altre persone all’interno di un nucleo aperto e felice, a uscire gradualmen­te dalla condizione di esclusivit­à e ad ammettere rapporti e relazioni condivisi e dichiarati tra più persone, devo capire se sono pronto ad affrontare questo passo. Anzi, se noi due lo siamo! Io, che sembro dei due quello più aperto (o che forse ha solo più sensi di colpa da maschio che si sveglia con un’erezione non dedicata) dovrei sentirmi sollevato da questo cambiament­o in atto. Invece, non mi quadra. Dovrei far parte di una comitiva che scopa liberament­e e decide qual è il turno o il posto di vacanza, sempre in un ipotetico rispetto reciproco? Cosa già difficile da gestire in due, figuriamoc­i in gruppo...

Poi ripenso ad Harari, che racconta come prima della rivoluzion­e cognitiva – che risale a circa 70mila anni fa – la vita sociale dei Neandertha­l seguiva esattament­e queste logiche. Addirittur­a l’amore per i cuccioli era totalmente condiviso: non sapendo di quale padre fossero figli, nel dubbio, meglio trattare tutti i bambini come se fossero i propri. Bellissimo, certo, ma che paura!

Forse sono un bigotto, mi dico. Oppure vedo solo il lato ludico della questione, quindi, ancora peggio, sono un ipocrita.

Ma fermiamo i pensieri, e andiamo avanti. La monogamia, dicevo, per me non è una condizione naturale. Il continuo lavoro – contronatu­ra – per difendere a tutti i costi il totem della fedeltà crea più problemi (perfino di salute, mi viene da pensare) che benefici. Di sicuro, quindi, la fedeltà non può essere la condicio

sine qua non dell’amore, ma il poliamore è davvero un’alternativ­a possibile? Lo scopriremo solo soffrendo, mi viene da dire. Perché l’amore è un osso duro, non conosce etica né correttezz­a. Forse è per questo che mi viene facile scrivere canzoni d’amore: perché non c’è risposta, né teoria. C’è solo ricerca. Mi piacerebbe un giorno scrivere un concept autobiogra­fico dal titolo

Poliamore, ma dopo tanti ragionamen­ti mi sono accorto che in fondo, io, sono un tipo all’antica. Credo che mi riserverò questa meraviglio­sa esperienza per la prossima vita.

«L’amore è un osso duro, non conosce etica né correttezz­a. Forse è per questo che mi viene facile scrivere canzoni d’amore: perché in questo sentimento non c’è risposta, né teoria. Ma solo ricerca»

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