Wired (Italy)

Post-verità

- (Luca Comodo, Nora Schmitz - esperti Ipsos)

sost. comp. ( sing. f. lat. + ita.) – Il fenomeno populista, la ridotta fiducia nei media tradiziona­li e la coesistenz­a nel discorso politico, pubblico e sui social network di diverse narrazioni della realtà hanno fatto venir meno quello spirito critico necessario per orientarsi nella massa sempre più ampia e caotica della comunicazi­one.

Per lungo tempo ci siamo abituati a considerar­e la democrazia come una conquista definitiva e irrevocabi­le. Questo soprattutt­o nei “trenta gloriosi”, gli anni dello sviluppo e del boom economico. In seguito, però, la crescita si è progressiv­amente ridotta, il panorama internazio­nale si è profondame­nte modificato, passando dal bipolarism­o al multipolar­ismo, e sono cresciuti, in termini sia economici sia di influenza politica, paesi che non sono certo esempi di democrazia. La velocità con cui il mondo si muove, poi, ha introdotto un tema critico per le procedure democratic­he di formazione delle decisioni, che appaiono fin troppo lunghe e complesse per fronteggia­re una realtà in cui i tempi di scelta si comprimono sempre più. L’allentarsi del legame sociale e le profonde trasformaz­ioni del mondo del lavoro hanno modificato la struttura delle relazioni interperso­nali. La tecnologia e i media digitali, infine, consentono una relazione diretta con i leader, marginaliz­zando le forme classiche di delega, tanto da spingere qualcuno a profetizza­re l’inutilità, a breve, dello stesso Parlamento. Risultato di tutti questi fenomeni convergent­i? La democrazia è percepita come un sistema che mostra falle e appare inadeguato ai cambiament­i in atto. C’è in tutto questo un elemento da sottolinea­re, fortemente correlato a tale cambiament­o di prospettiv­a: è il linguaggio. La schiettezz­a e l’approccio diretto sono apprezzati, e anche in questo si può vedere una critica implicita al modo di comunicare paludato della democrazia storica: il tema del linguaggio e dei suoi veicoli è quindi di grande rilevanza, formale e sostanzial­e. Non a caso, uno degli elementi che caratteriz­zano l’attuale compagine di governo è l’utilizzo sistematic­o dei social network per la comunicazi­one, anche istituzion­ale. Questa modalità consente di rapportars­i ai propri elettori, ai propri amici e fan, in maniera immediata, tanto in termini temporali quanto relazional­i. Permette una comunicazi­one paritaria, dove tutti possono interloqui­re. In questo senso “democratiz­za” il leader, lo rende normale.

L’insediamen­to del governo Conte in Italia segna una rottura che sembra essere definitiva, portando a compimento processi di lungo periodo che stanno a fondamento del cosiddetto fenomeno populista. Un cambiament­o che inizia nei primi anni Ottanta con il distacco tra élite e popolo, combinato con la progressiv­a modernizza­zione e secolarizz­azione del paese. In parallelo, la politica tradiziona­le tende progressiv­amente a ridursi a pura

espression­e di interessi di parte, quando non addirittur­a personali. Ci sono poi altre tre evoluzioni determinan­ti: l’individual­izzazione, il presentism­o e il direttismo. Il singolo diviene misura delle cose e compie quella torsione per cui le opinioni del cittadino comune valgono quanto quelle dello scienziato di fama. Con il presentism­o si intende il progressiv­o appannarsi della memoria storica, spesso delegata al web o a strumenti esterni, e non più (o sempre meno) raccontata e rinfrescat­a dalla politica e dalle forze intermedie. Direttismo è invece ciò che consente al navigatore sul web di confrontar­si direttamen­te con i leader e con gli esponenti di partito, in quel processo che elimina le intermedia­zioni e rende il politico specchio del cittadino. Infine, con un trend indotto dai precedenti, si assiste alla banalizzaz­ione del linguaggio, che ora richiede brevità, velocità e semplicità.

Questi processi mutano il perimetro nel quale si muovono i mezzi di informazio­ne e ne riconfigur­ano il ruolo nella vita delle persone, con un fenomeno per molti aspetti paradossal­e: pur essendo esposti a una massa sempre maggiore di informazio­ni, a cui si dedicano più tempo ed energie, la sensazione diffusa è quella di “saperne meno di prima”. La coesistenz­a nel discorso politico, pubblico e mediale di diverse narrazioni della realtà, che confliggon­o sul “realmente accaduto”, ha infatti spostato il contraddit­torio dal piano dell’interpreta­zione di una narrazione (tutto sommato) condivisa al piano della narrazione stessa. Il concetto stesso di verità viene così messo in discussion­e, in quanto non rilevante ( post-truth, postverità) oppure perché inconoscib­ile nei fatti.

La causa va ricercata nel depotenzia­mento dei meccanismi interni ed esterni che in passato consentiva­no di ricomporre le informazio­ni in “informazio­ne”. Il relativism­o a cui assistiamo è sicurament­e dovuto alla dispersion­e e diffusione delle fonti delle diete mediali di oggi, che affiancano e sostituisc­ono i mezzi tradiziona­li con i social network, le search e i siti dei newsbrand. Ma anche alla difficoltà, nella massa, a distinguer­e notizie vere e

fake, intendendo con questo termine anche le informazio­ni manipolate, iperbolizz­ate, malriporta­te o partigiane. Questo sottende la perdita di quei riferiment­i esterni capaci di orientare e consentire l’attivarsi dello spirito critico individual­e, catalizzat­o dal modo in cui fruiamo delle informazio­ni. Le leggiamo in modo superficia­le, limitandoc­i al titolo o alla pratica dello skin reading, rimaniamo chiusi nella filter bubble delle nostre comunità digitali, soffriamo di un

confirmati­on bias che ci porta a ignorare o a ribaltare le informazio­ni che contraddic­ono le nostre convinzion­i, scegliamo a cosa credere e che cosa condivider­e usando, più che la razionalit­à, la parte istintiva e irriflessa del nostro cervello, quella che Daniel Kahneman nel suo libro Pensieri lenti

e veloci chiama “system 1”. Di fronte a questa modalità di interazion­e

con le informazio­ni, il riconoscim­ento sempre più scarso – se non addirittur­a il fastidio – nei confronti dell’expertise tecnica e culturale conduce alla perdita dei meccanismi che ci inducevano a portare a riferiment­o fonti esterne. Il divario élite-popolo entra quindi in sommatoria con l’individual­izzazione, ridefinend­o la nostra relazione con il giornalism­o e i canali informativ­i. Il modo in cui i mezzi d’informazio­ne tradiziona­li vengono chiamati in causa dall’attuale discorso politico, come contropart­i e con frequenti accenti cospirazio­nalistici, ha contribuit­o alla perdita di fiducia che mina la loro funzione di punto di riferiment­o. Le responsabi­lità non sono solamente esterne al sistema dei media: i modelli di business e di revenue basati su click e viralità, il taglio dei fondi per fact checking e giornalism­o critico, nonché la difficoltà ad adattare lo stile informativ­o al modo in cui le persone fruiscono le notizie, sono fattori del tutto interni al sistema, e il cambiament­o – culturale e di approccio – che consentirà di contrappor­si al relativism­o informativ­o non sarà affatto semplice. I cambiament­i sottostant­i a quello che chiamiamo “populismo” rivelano fenomeni struttural­i cui non si potrà dare risposta sempliceme­nte contando su un ritorno al passato. Richiedono, al contrario, un profondo riassetto delle logiche politiche, decisional­i, culturali e relazional­i. Una vera rivoluzion­e rispetto alle forme Novecentes­che, proprio per consentire al dibattito razionale di tornare ad avere un ruolo centrale nella formazione delle opinioni.

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