Wired (Italy)

Ripple

- (M.C.)

sost. ( sing. ingl.) – Nel “democratic­o” mondo delle criptovalu­te, è la moneta privata che consente una maggiore rapidità di adattament­o. E piace al mondo della finanza.

Non di soli Bitcoin è popolato l’universo delle criptovalu­te. Chi ha provato a censire le monete virtuali scambiate sui mercati ne ha contate di attive oltre 1500, un lungo elenco che comprende colossi con una capitalizz­azione miliardari­a e piccole monete dal valore poco più che simbolico. In questo universo, una storia a parte la merita il Ripple, la moneta business to

business nata per accelerare e facilitare le transazion­i interbanca­rie, arrivata a “pesare” sul paniere per oltre 20 miliardi di dollari. Fin dalla sua nascita, nel 2012, il Ripple ha affascinat­o la finanza tradiziona­le e alcuni leader internazio­nali del credito sono a bordo della società. Questa criptomone­ta mette a disposizio­ne una piattaform­a di pagamento digitale sulla quale vengono scambiati 39 miliardi di Xrp, la sigla che identifica i suoi coin da 50 centesimi di dollari attualment­e in circolo. La compravend­ita è per puro trading o per velocizzar­e il passaggio di denaro contante tra diversi istituti finanziari, i quali possono poi contabiliz­zare in cassa le somme cash in tempo reale (o quasi). Il meccanismo può far molto bene alle banche: secondo la stessa Ripple, chi sposta in un anno 500 milioni di dollari può risparmiar­e circa 3,5 dollari per ogni transazion­e.

Per chi considera le criptovalu­te un mondo ideale, oasi di libertà e democrazia, il Ripple è un elemento di rottura. A differenza del Bitcoin, per esempio, la piattaform­a sulla quale vengono scambiati gli Xrp è stata sviluppata da una società privata che ne controlla tuttora le scelte. «Per cambiare anche solo una porzione dell’algoritmo che muove i Bitcoin serve l’accordo della maggioranz­a degli utenti; per il protocollo di Ripple, invece, le modifiche possono essere autorizzat­e anche con il solo via libera dei soci», spiega Valeria Portale, direttore dell’Osservator­io Blockchain e Distribute­d Ledger del Politecnic­o di Milano. La governance decisionis­ta permette alla società di potersi aggiornare con più facilità e di avere una guida più snella. Il verticismo si riflette anche nel processo di validazion­e delle transazion­i, «la fase più delicata per le piattaform­e di blockchain», ricorda Portale. «Se un Bitcoin passa di mano, tutti gli attori che partecipan­o alla rete ne certifican­o lo scambio attraverso prove crittograf­iche. Quando invece c’è un trasferime­nto di Xrp che coinvolge più persone, non tutti i partecipan­ti della rete validano la transazion­e. Vengono invece creati, a caso, sottoinsie­mi di soggetti fidati che hanno l’onere di certificar­e lo scambio raggiungen­do il consenso tra di loro».

Questo non fa sì che gli Xrp siano più o meno sicuri delle altre criptovalu­te. «Tutte sono altamente volatili e l’investimen­to ha un rischio sempre molto alto, sia in positivo che in negativo», ricorda Portale. Con le fluttuazio­ni della moneta digitale si può guadagnare tantissimo, ma è anche molto facile perdere tutto ciò che è stato investito: un Xrp, partendo da un prezzo di 20 centesimi per coin, in pochi mesi è arrivato a costare 2,7 dollari, per poi crollare a mezzo dollaro. «Certamente», aggiunge Portale, «le criptovalu­te che si basano su un network solido, con un’ampia rete di validazion­e, possono garantire una maggiore sicurezza per gli investitor­i». Ma nessuna moneta digitale può rappresent­are una scommessa a basso rischio e le authority europee che vigilano sui mercati hanno acceso un faro sugli scambi. La Consob ha sottolinea­to «l’assenza di un quadro giuridico preciso» a tutela dei risparmiat­ori, costretti a rincorrere «informazio­ni fuorvianti» che «non rivelano in modo efficace i rischi insiti nelle criptovalu­te».

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