Rischio
sost. ( sing. m.) – Disumanizzazione, dipendenza, autoritarismo, monopolio. Sono – secondo uno dei padri di internet – i quattro pericoli che la società corre nel suo ormai incondizionato affidamento alla tecnologia della rete. Ma c’è anche una speranza, che viene dai giovani.
Internet è un luogo rischioso? Sì. Ma non più di tutto il resto del mondo – quello reale, intendo – in cui viviamo. La differenza sta nel fatto che la realtà fisica, bene o male, la conosciamo, sappiamo dove si possano nascondere i rischi. In rete, invece, questa consapevolezza ancora spesso ci manca. Primo rischio, perdere il controllo di internet. Per tutti, il primo e più ovvio pericolo dell’online è rappresentato da software che contengono bug o che potrebbero essere stati infettati intenzionalmente da malware. Vero. Ma questa è solo la superficie. Oggi è possibile programmare un computer affinché sia parte di una botnet: una persona potrebbe apparire come se fosse 10mila, 100mila o 500mila persone, perché i sistemi online non riescono a intercettare la differenza tra un robot e un essere umano. Lo scopo del test di Turing era quello di stabilire se una persona stesse interagendo con un altro essere umano o con una macchina. Ora esiste un nuovo test, che si chiama Turing 2, che mira invece a stabilire se è un computer a relazionarsi con un umano o con un’altra macchina. Ma, per esempio, le piattaforme social non sono in grado di percepire questa differenza, e in generale tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione per cercare di capire che cosa pensano le persone possono essere potenzialmente confusi e manipolati dalle botnet. Saper distinguere i soggetti e i messaggi all’interno della rete è una sfida impegnativa, ed è uno tra i maggiori problemi di cui dovremmo preoccuparci. Secondo rischio, la dipendenza da internet. Tutto ormai è talmente legato alla possibilità di accesso alla rete, che se all’improvviso – per qualsiasi motivo – questa non fosse più disponibile, il mondo rischierebbe uno stop drammatico. Pensiamo, per fare un paragone, a quanto siamo dipendenti dall’energia elettrica come “risorsa
tecnica”: con internet è lo stesso. La mia preoccupazione è legata a quel che potrebbe succedere se non ci preoccupiamo di rendere internet una struttura più robusta, che non rischi un giorno o l’altro di piantarci in asso. Questo significa anche non “chiudere” la rete, ma anzi ampliare il diritto all’accesso, a prezzi ragionevoli.
Terzo rischio, che internet diventi strumento di controllo, anziché di libertà. È un rischio connaturato al dna di questo strumento. Il nostro cliente, negli anni Settanta, era il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. La Difesa pensava che si sarebbero potuti utilizzare i computer per funzioni di “comando e controllo”, per esempio per gestire operazioni militari. Nel contempo, dovevamo assicurarci che il sistema fosse abbastanza robusto e resistente da poter scalare ed essere utilizzato ovunque nel mondo. Il rischio di un controllo centralizzato della società attraverso la rete, insomma, era già parte del design originale del mezzo. Vero, non abbiamo previsto contromisure rispetto ad alcune possibili storture già emergenti allora, e manifeste oggi. Adesso che il pubblico ha accesso al network, il che non era fattibile fino al 1989, dobbiamo di conseguenza imparare a fronteggiare possibili derive autoritarie, sia dal punto di vista tecnico che da quello sociale.
Quarto rischio, collegato a questo, la neutralità del web. In futuro dovremo difendere con forza sempre maggiore alcuni principi che hanno consentito a internet di funzionare fino a oggi. “Net neutrality” è un termine che può avere diversi significati. Guardiamo al caso statunitense: negli anni ’90 c’erano numerosi fornitori di servizi internet, il che significava, per gli utenti, avere un’ampia possibilità di scelta. Con l’arrivo della banda larga, solo poche aziende potevano fornire quel tipo di servizio, operatori via cavo e telefonici in particolare. Questo ha ridotto il numero di provider disponibili al pubblico, il che significa che potrebbero esserci abusi portati da potenziali nuovi monopoli. Ecco perché dobbiamo far sì che l’accesso a internet sia davvero neutrale, per non avere aziende in grado di interferire con il nostro accesso alla rete o provider capaci di favorire un servizio a scapito di altri.
Una speranza. Società come Google e Yahoo! sono nate nei campus universitari. Sono assolutamente convinto che anche le prossime implementazioni e applicazioni rivoluzionarie di internet saranno rese disponibili da studenti che si impegneranno a sperimentare. Certo, l’infrastruttura e molte delle applicazioni attuali della rete sono fornite da grandi aziende, ma anche queste
«Negli Anni ’70 il nostro cliente era il ministero della Difesa degli Stati Uniti. Che voleva un sistema per svolgere attività di comando e controllo. La deriva autoritaria di internet, insomma, sta nel suo stesso dna»
hanno avuto origine dagli ambienti della ricerca: spesso è più facile inventare e creare in un contesto di questo tipo, piuttosto che nel mondo degli affari. Nessuno aveva chiesto ai fondatori di Google, in origine, quale fosse il modello di business della loro idea originaria di motore di ricerca. E, difatti, non ce n’è stato uno per diverso tempo. Sono quindi assolutamente persuaso che le nuove idee e le nuove tecnologie nasceranno all’interno delle università. Dovremo però prestare molta attenzione a far crescere le possibilità di alfabetizzazione digitale, per preparare le prossime generazioni ad affrontare in modo efficace le sfide e i rischi della rete del futuro. Essere cresciuti con internet non significa infatti comprendere come questa tecnologia funzioni davvero: così come continuiamo a ripetere ai bambini di guardare in entrambe le direzioni quando devono attraversare la strada, allo stesso modo credo ci sia ancora bisogno di formazione e insegnamento per un uso sicuro di internet.
È poi necessario che le nuove generazioni siano consapevoli del fatto che un affidamento esclusivo al software potrebbe rivelarsi un grosso problema. Anche per questo è importante l’alfabetizzazione digitale dei bambini, tanto quanto insegnar loro a leggere, a scrivere, a fare i conti. Lo spazio per le applicazioni continua a crescere e a cambiare insieme alla tecnologia che utilizziamo; questo significa che tutti – giovani e vecchi – dovremo imparare ad adattarci al cambiamento digitale. Con le sue opportunità, e con i suoi rischi.