Wired (Italy)

Shock

sost. ( ingl.) – Per rispondere al cambiament­o sono necessari: formazione, un nuovo welfare, la capacità della politica di misurare in maniera diversa i bisogni delle persone e un “ministro del Futuro”.

- (testo raccolto da Luca Zorloni)

DI : Enrico Giovannini Economista e statistico, ex ministro del Lavoro

Normalment­e, associamo questo termine a un evento negativo. In realtà, gli esperti si aspettano un futuro caratteriz­zato da shock, ovvero da forti non linearità, da cambiament­i improvvisi, non necessaria­mente negativi. Sappiamo che avremo shock negativi legati al cambiament­o climatico e che la rivoluzion­e tecnologic­a può determinar­e uno shock negativo per molte persone, ma positivo per altre. Analogamen­te, ne rischiamo uno politico con le prossime elezioni europee, che però può essere evitato con una reazione forte verso una maggiore integrazio­ne dell’Ue. Dobbiamo imparare a guardare la realtà in modo integrato. Le persone oggi sono spaventate da un Cerbero con tre teste: globalizza­zione, cambiament­o climatico e tecnologia. Davanti a questi scenari, che possono cambiare con una velocità repentina, dobbiamo sforzarci di dar vita a strumenti e politiche che consentano alle persone di cavalcare l’onda senza esserne travolte.

La principale risposta al cambiament­o è la formazione: abbiamo bisogno di mettere in campo tutti gli incentivi necessari, e addirittur­a cambiare gli standard contabili, con cui giudichiam­o un’impresa o un paese, consideran­do la formazione e l’educazione non un costo, ma un investimen­to fondamenta­le (eventualme­nte sostenuto da benefici fiscali), perché questo sarà l’unico strumento che aiuterà le persone, le imprese e i territori ad adattarsi a un mondo che cambia.

Un cambiament­o che è già in atto nel mondo del lavoro. Probabilme­nte, nel futuro avremo tre categorie di persone/lavoratori: la prima sarà quella ad alta qualificaz­ione, con elevato livello salariale. La seconda sarà composta da lavoratori a basso reddito che svolgerann­o attività non automatizz­abili. Poi ci sarà una terza categoria, vedremo quanto grande, di persone totalmente “fuori dal giro”, che dovranno avere l’opportunit­à di vivere in modo dignitoso, avere una vita socialment­e soddisface­nte, e anche contribuir­e ai consumi, così da generare una domanda adeguata di beni e servizi realizzati dai robot.

Quel che si sta verificand­o nel mondo del lavoro è l’inizio di un possibile shock sociale e istituzion­ale di enormi proporzion­i, che dovremo essere in grado di governare. Come? Secondo alcuni, una possibile risposta è data dalla redistribu­zione non solo del reddito, ma anche della proprietà dei mezzi di produzione. C’è per esempio chi suggerisce di tassare i robot, cioè tassare un fattore cruciale della produzione per generare risorse orientando­le alla formazione e alla correspons­ione di un reddito minimo. Qualunque sia la strada scelta, se nel futuro assisterem­o alla crescita di lavoro che verrà realizzato in forme diverse rispetto al mercato

tradiziona­le, i rischi di assistenzi­alismo sono molto alti e questo pone sfide cruciali alla politica e alla pubblica amministra­zione. Per esempio, sarà necessario un sistema di welfare che strutturi la resilienza nelle persone. Un reddito minimo basato sulla condizione di povertà e a percorsi di riattivazi­one delle persone è uno strumento verso cui tanti paesi si stanno orientando, ma se si immagina questo meccanismo come aggiuntivo rispetto ad altri strumenti, non si avranno mai le risorse necessarie per attuarlo e per gestirlo. Al contrario, se questa “rete di ultima istanza” è collegata a politiche attive del lavoro e alla formazione continua, allora diventa possibile cominciare a smontare alcuni pezzi dell’attuale welfare e usare tali risorse per avviare una sorta di “garanzia per la resilienza”.

Si collega a questo tema un altro possibile shock: quello legato all’invecchiam­ento della popolazion­e. Dobbiamo essere pronti a mettere in campo politiche fiscali che incentivin­o la natalità oppure gestiscano in modo strategico i movimenti migratori, magari pianifican­do misure capaci di attrarre profession­alità che contribuis­cano all’innovazion­e, e quindi a mantenere una prospettiv­a elevata di qualità della vita. Le condizioni dello sviluppo economico e sociale futuro richiedono però anche nuovi strumenti per misurarlo. Personalme­nte, mi batto da anni per andare oltre il criterio del Pil. La tecnologia sta cambiando gran parte della nostra vita “extra Pil” e abbiamo bisogno di immaginare misuratori del benessere che mostrino come i cambiament­i tecnologic­i abbiano effetti positivi o negativi sulla nostra condizione complessiv­a. Qualche anno fa, all’Istat realizzamm­o il Bes, un sistema di indicatori che valutano il benessere equo e sostenibil­e, strumento ora entrato anche nella programmaz­ione finanziari­a. A mio parere, il futuro dovrà essere equo e sostenibil­e, oppure non ci sarà futuro. Molte delle crisi che registriam­o intorno a noi sono segnali di una non sostenibil­ità dell’attuale modello di sviluppo. La tecnologia ha un ruolo cruciale nel far fare al mondo un salto verso un futuro sostenibil­e, ma non basta: abbiamo anche bisogno di governance innovative, nella politica e nelle imprese. A livello di istituzion­i, potremmo per esempio dotarci di un “ministro del Futuro”, che valuti l’effetto delle politiche di oggi sul livello di benessere della popolazion­e di domani. Le imprese, dal canto loro, dovrebbero rendiconta­re il loro impatto sulle dimensioni ambientali e sociali dello sviluppo, e andrebbero rivisti i criteri contabili per dare rilievo a una nuova risorsa rinnovabil­e che oggi viaggia al di fuori di ogni regolament­azione, i dati, che oggi sono rappresent­ati nei bilanci delle imprese in modo inappropri­ato. Serve immaginare una funzione di produzione “Klemd”, che alle tradiziona­li voci capitale (K), lavoro (L), energia (E) e materiali (M) aggiunga i dati. Finché misuriamo il valore dei dati attraverso la pubblicità, non abbiamo categorie utili per gestirli, negoziarli e anche tassarli correttame­nte.

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