Cercasi scrittrice disperatamente
Tutti vogliono sapere chi sia l’autrice dell’Amica geniale, eletta dal Time fra le cento persone più influenti al mondo. Noi lo abbiamo chiesto a chi lavora con lei quotidianamente. Per provare a rispondere a una domanda: i libri, una volta pubblicati, hanno davvero bisogno dei loro artefici?
ELENA FERRANTE
Nata a Napoli, ha esordito nel 1992 con L’amore molesto, da cui l’omonimo film di Mario Martone. Nel 2011 ha pubblicato il primo dei quattro volumi dell’Amica geniale (editi da e/o), divenuti best seller in tutto il mondo. L’emittente statunitense Hbo ne ha tratto una serie tv, diretta da Saverio Costanzo, andata in onda su Raiuno.
FRANCESCO PICCOLO
Casertano, ha vinto il Premio Strega 2014 con Il desiderio di essere come tutti, romanzoconfessione sulla sinistra italiana (Einaudi). Ha firmato sceneggiature per Nanni Moretti, Paolo Virzì e Francesca Archibugi.
Sua anche la sceneggiatura, scritta insieme alla Ferrante, della serie tv L’amica geniale.
Chi è Elena Ferrante? Non so se sia la domanda più frequente, mi sembra di sì. Ma è la domanda sbagliata. Molte volte la Ferrante, nelle interviste, si è lamentata delle domande (rigorosamente scritte) che concernevano la sua identità al posto di quelle intorno ai suoi libri. E mentre le do ragione, mi sto già occupando anche io della sua identità più che dei suoi libri.
Ma lo faccio apposta. E per due motivi: il primo è raccontare di chi si parla anche a chi ne sa poco; il secondo (quello che mi sta a cuore) è il tentativo di far approdare anche la questione della sua identità nell’ambito della letteratura. Ma ci arriveremo.
Molti conoscono Elena Ferrante da quando i quattro romanzi dell’Amica geniale hanno avuto il successo irresistibile che hanno avuto, e quindi legano la scelta dell’anonimato all’enorme esposizione pubblica. Ma questa storia è invece più seria e sostanziosa, ha un fondamento teorico ed è affascinante per questo. È cominciata molti anni fa, nel 1992. Quando tutto era pronto per la pubblicazione del suo libro d’esordio, Elena Ferrante scrisse all’editore di e/o, rivolgendosi a Sandra
Ozzola: «Non intendo fare niente per L’amore molesto, niente che comporti l’impegno pubblico della mia persona. Ho già fatto abbastanza per questo lungo racconto: l’ho scritto; se il libro vale qualcosa, dovrebbe essere sufficiente. Non parteciperò a dibattiti e convegni, se mi inviteranno. Non andrò a ritirare premi, se me ne vorranno dare. Non promuoverò il libro mai, soprattutto in televisione, né in Italia né eventualmente all’estero. Interverrò solo attraverso la scrittura, ma tenderei a limitare al minimo indispensabile anche questo. Mi sono definitivamente impegnata in questo senso con me stessa e con i miei familiari».
E questo impegno è stato mantenuto senza sosta, ha attraversato gli anni, da quel primo libro che raccontava la ricostruzione crudele e appassionata dei dolori e delle somiglianze di Delia con sua madre Amalia, trovata misteriosamente morta; un romanzo sorprendente e originale che subito ebbe in Italia molta eco, e che fu poi trasposto per il cinema in un bel film di Mario Martone con Anna Bonaiuto.
Da quel momento, la vita letteraria di Elena Ferrante ha attratto molti lettori e lettrici, passando per I giorni dell’abbandono e La figlia oscura e per la raccolta di scritti d’occasione su cui bisognerà tornare, dal titolo La frantumaglia, che ferma con decisione l’unica certezza che si ha a proposito della Ferrante: che è una scrittrice napoletana, non soltanto per l’ambientazione dei suoi libri, ma soprattutto per una sapienza e una sintassi della lingua dialettale, usata poco esplicitamente, ma richiamata di continuo. Su questo dubbi non se ne possono avere. L’ammirazione e la curiosità si sono subito intrecciate, e sono venuti fuori vari frammenti biografici (si disse a un certo punto che aveva sposato un greco e viveva in Grecia, non si sa perché; e che poi si era separata; si è parlato di Torino), ma quasi tutte queste ipotesi derivano dagli elementi contenuti nei romanzi. E quando poi è arrivato L’amica geniale, con l’idea del romanzo di formazione epico e meticoloso, molti sono stati spinti a mettere insieme la biografia dei personaggi
(o di Lenù, diminutivo dialettale che sta per Elena) con quella della scrittrice. Evento non insolito, a cui Philip Roth ha dedicato pagine e pagine nel corso della sua vita, nel tentare di spiegare che non si può desumere dai personaggi dei romanzi, per quanto autobiografici, l’esatta consistenza della vita di una persona, anche se è quella che li ha scritti. Tutto ciò rimane molto seducente, e però pone dei problemi che riguardano vita e letteratura che sarà bene affrontare. Partendo proprio dalla motivazione da cui la Ferrante fa nascere la sua scelta (come dice più avanti nella stessa lettera all’editrice): «Tutte le ragioni di questa mia decisione mi è difficile esporle, lo sai. Ti voglio solo confidare che la mia è una piccola scommessa con me stessa, con le mie convinzioni. Io credo che i libri non abbiano alcun bisogno degli autori, una volta che siano stati scritti. Se hanno qualcosa da raccontare, troveranno presto o tardi lettori; se no, no».
Quindi, la Ferrante ha provato a sfilarsi come presenza dello scrittore nel mondo (presentazioni, reading, tavole rotonde, festival) e a mettere davanti agli occhi di tutti soltanto le sue opere. Ci è riuscita? A giudicare dal fatto che l’opera si sia pian piano imposta prima in Italia, poi negli Stati Uniti e infine in tutto il mondo, direi proprio di sì. Ma allo stesso tempo, non ha potuto evitare la presenza del fantasma dello scrittore, di cui ci si occupa molto più di quanto ci si occupi a proposito di qualsiasi altro scrittore. Resta da decifrare o definire chi è questo fantasma.
Da quando ho cominciato a scrivere la serie tv dell’Amica geniale, la domanda più frequente che mi fanno le persone è (senza giri di parole): «Chi è Elena Ferrante? Tu lo sai, dimmelo». Pochi giorni fa, ero sotto casa, e una ragazza in motorino mi ha visto, mi ha riconosciuto e mi ha chiesto: «Ti prego, mi dici chi è Elena Ferrante?». Le stavo rispondendo, come al solito: «Ma io non lo so!». E invece ho detto una cosa più pertinente: « E perché dovrei dirlo a te? Perché, posto che uno conosca un segreto, debba dirlo al primo che passa per strada?». Devo dire che la ragazza ha convenuto che avevo ragione, ed è ripartita senza lamentarsi.
Poiché la serie tv ha anche la firma di Elena Ferrante tra gli autori delle sceneggiature, le persone suppongono che noi sceneggiatori, compreso il regista, i produttori e a questo punto molte delle persone che lavorano alla serie, conoscano la sua vera identità. Come se un segreto potesse essere tenuto da centinaia di persone, e considerarsi segreto. E come se un segreto possa restare un segreto anche se lo si dice a qualcun altro, casomai a una passante, ma aggiungendo: «Mi raccomando, però, non dirlo a nessuno». Non è così: di Elena Ferrante sanno gli editori, per forza di cose. E poi chissà chi altri: non sapendo chi è, non si sa nemmeno se lo sa qualche parente o qualche amico. Con lei, come chiunque voglia averci a che fare, anche noi della serie tv abbiamo un rapporto via mail, mediato dalla casa editrice. È il suo modo di stare
al mondo in quanto scrittrice, come si era proposta di fare molti anni fa, quando non era ancora una scrittrice che aveva pubblicato, quando poi è stata una scrittrice apprezzata e letta, quando infine è diventata una scrittrice amata e conosciuta in tutto il mondo. E per questo motivo, a questo punto, tutti vogliono sapere chi sia.
È una questione molto semplice e occupa spesso la testa della gente: non si sa perché, ma se qualcuno vuole celare la sua identità (come Banksy, per esempio) oppure decide di non farsi più vedere (come Battisti, Mina, Salinger), la popolazione mondiale si ribella e cerca con accanimento di svelare l’identità o di catturare una foto da lontanissimo e molto sgranata di chi si nasconde. Se sia giusto o no, non ci si può fare nulla. E non bisogna pensare che l’ossessione dell’identità o la fortuna della mancanza di identità coincidano con il successo che questa autrice ha avuto e sta avendo in tutto i l mondo con i quattro l ibri che compongono il grande romanzo dell’Amica geniale, la storia dell’amicizia di Lila e Lenù da quando erano bambine per tutto l’arco dell’esistenza.
Elena Ferrante è diventata un fenomeno editoriale in tutto il mondo, alla pari (se non di più) di Se questo è un uomo di Primo Levi e Il nome della rosa di Umberto Eco. In Italia i quattro libri che compongono il grande romanzo sono in classifica da anni. E se si facessero tutti i nomi delle persone che ne hanno dato un giudizio entusiasta (comprese Michelle Obama e Hillary Clinton, per capirci), sarebbe un elenco così lungo e stupefacente che darebbe completamente l’idea di cosa stiamo parlando anche a chi non si occupa di letteratura e a chi non legge romanzi: scrittori, attori, politici, giornalisti, registi. Ci sono club di fan e anche club contro Nino Sarratore, un personaggio debole e terribile, rovinoso, ma anche un ritratto di maschio indimenticabile. Le donne sono le prime grandi lettrici dell’autrice napoletana, proprio per i suoi ritratti e le storie di femmine complesse, ribelli, affaticate, lottatrici. La Ferrante, inoltre, è stata inserita dal Time nell’elenco delle cento persone più influenti del mondo. Questo indica qualcosa di serio sia rispetto alla letteratura, sia rispetto a
una scrittrice, sia rispetto a dei romanzi. Quindi, al limite, la domanda alla quale non è facile rispondere non sarebbe: «Chi è Elena Ferrante?», ma: «Perché L’amica geniale è letto in tutto il mondo?». Non è facile rispondere perché i motivi, come per ogni grande opera, non possono essere uno, e nemmeno pochi. Però, allo stesso tempo, anche se è difficile (se non impossibile) rispondere, in qualche modo bisogna farlo. Un metodo c’è: cercare di rendere oggettivi, nel ragionarci su, i motivi per cui questi libri sono piaciuti a me.
In realtà, i motivi si allargano a tutti i libri, perché fin dall’Amore molesto ho sentito l’adesione a questa scrittrice e ai suoi racconti. Ci sono dei motivi di vicinanza: tutto ciò che racconta Napoli mi riguarda da vicino. E tutto ciò che racconta Napoli in un modo complesso, non sottomesso, ma anzi ribelle, rabbioso o diffidente, tutto ciò che viene raccontato di Napoli cercando di andarle contro con la motivazione del dolore (mi fa male il luogo dove vivo o ho vissuto, mi fa male perché lo amo profondamente) mi sta a cuore. Per questi motivi amo Eduardo, la Ortese, La Capria e molti degli scrittori di questi anni. E amo la Ferrante per quanto dolore prova nel raccontare il mondo dove (presumibilmente) ha vissuto. Questo è senz’altro un motivo, insufficiente ma solido. E rimane solido anche andando in altri continenti, perché il rapporto dolente con il proprio quartiere è ripetibile in ogni circostanza. Se no sarebbe come dire che, per esempio, Amarcord di Fellini può essere compreso e amato soltanto da quelli di Rimini; e in effetti parlando con i riminesi, tutti loro sentono la totale appartenenza dell’opera alla propria vita e quindi tendono a escludere che possa essere compresa “davvero” da altri, esattamente come io sono sicuro di comprendere la Ferrante meglio di un newyorchese. Ma in realtà Amarcord e L’amica geniale sono compresi e amati fino in fondo da chiunque in qualsiasi angolo, perché in ogni Rimini e in ogni Napoli è semplicemente condensato il mondo. E questa gelosia che proviamo per i racconti che ci riguardano da vicino, poi la provochiamo, senza accorgercene, in qualcun altro, arrogandoci il racconto di Combray, Mosca, Praga, Pamplona o chissà cos’altro.
Le caratteristiche dell’Amica geniale, e dei libri precedenti della Ferrante, sono una scrittura totalmente vitale, sempre accesa, sempre precisa, che corre fatto dopo fatto, colpo di scena dopo colpo di scena, attraversando con noncuranza i generi per usarli in un romanzo di grandi tradizioni. Le donne sono le grandi protagoniste dei suoi libri, e la forza che hanno è soprattutto la voglia di riscatto che si portano dentro. Cosa hanno di speciale Lila e Lenù? Perché hanno conquistato qualsiasi angolo della terra? Perché hanno il desiderio e la necessità di uscire fuori dalla loro condizione, di respingerla, di ribellarsi. Sono nate in un rione povero, in cui il destino è segnato da tutte le donne che vedono intorno: le madri, le parenti, le negozianti. Sono tutte donne invecchiate anche quando non sono vecchie, succubi, che hanno subito violenze, e a queste violenze si sono rassegnate subito. Hanno costruito la loro esistenza sull’essere dimesse, sull’essere alla ricerca di una pacificazione, di una mancanza di conflitto. Ed è ciò che insegnano, consigliano e poi impongono alle loro figlie.
Lila, per prima, spinge Elena a ribellarsi a questa idea, ed Elena la segue. Cercheranno insieme di cambiare il destino che sentono segnato e cercheranno di farlo attraverso il primo strumento necessario che hanno: la lettura e la scrittura. La scuola. Poi succederà che una delle due (Lila) non potrà seguire l’altra nell’andare avanti nella carriera scolastica e consumerà la ribellione, la sua forza in altro modo. Ma tutte e due riusciranno a vincere il destino che qualcuno aveva già contrassegnato al posto loro, e che invece fin da bambine hanno scoperto non essere per forza l’unica via. Hanno costruito manualmente, andando a tentoni, un loro destino artigianale ma solido, quello di non essere rassegnate a quella vita dimessa. Ma di potersi esprimere. Di poter esprimere la personalità, in maniera creativa, attraverso la bel-
lezza, attraverso la forza e il potere, attraverso la lingua italiana ( in un luogo dove si parla solo dialetto). Di potersi ribellare alle regole date. Le due bambine, per farlo, devono avere la forza di disobbedire, di rispondere, di subire violenza. Lila viene addirittura lanciata dalla finestra dal padre, si spezza un braccio, ma si rialza dicendo: « Non mi sono fatta niente». È l’unica risposta che impone rispetto, che fa sentire una forza dentro che serve a crescere in autonomia dalle regole date dall’ignoranza e dalla povertà.
Ma Lila ed Elena avranno poi due destini diversi, anche se resteranno legate per tutta la vita. Il momento in cui il loro futuro appare senza farsi ancora riconoscere è in una scena del primo libro: Lila chiede a Elena di andare al mare. Sono ancora due bambine, non si sono mai allontanate dal rione; vivono a Napoli, eppure il mare non lo hanno mai visto. Marinano la scuola e vanno. Superano il tunnel che le separa dal resto della città e si avventurano per strade sconosciute; e dopo tanto tempo si ritrovano sotto la pioggia e stanchissime, in quel punto dove il mare è ancora lontano e il rione è già lontano. Lila, che pure voleva andare, dice: «Torniamo indietro»; ed Elena, che pure aveva paura di andare, dice: « Andiamo avanti, ormai ci siamo». Ma Lila non ce la fa, torna indietro correndo; ed Elena la segue perché non ha ancora la forza della personalità, è ancora una bambina che fa tutto quello che le dice l’amica. Ma in quel momento hanno espresso tutte e due le loro personalità future e il destino al quale saranno legate: Lila, che è voluta tornare indietro, rimarrà sempre nel rione o nei dintorni del rione, ma sarà lì che eserciterà la sua forza di ribellione, di autonomia e di progresso rispetto al destino che aveva. Elena, invece, che voleva andare al mare, andrà via, andrà a studiare fuori, diventerà una scrittrice, vedrà il mondo. Tutte e due, una dentro il luogo in cui sono cresciute, l’altra fuori dal mondo dove sono cresciute, vivranno per cambiare la storia dimessa alla quale avevano detto loro che erano incatenate. E basterà questa intenzione per far cambiare tutto nelle loro famiglie, e nel rione dove sono nate.
Questo è il racconto meraviglioso di un’amica geniale, che è Lila, perché è la spinta e l’origine della forza di Elena; e dell’altra amica geniale, che è Elena, perché esprimerà una genialità concreta grazie al testimone che le ha passato Lila (queste due ragazzine insieme costituiscono la forza, la vitalità, la grandezza che servono per valicare i confini che erano invalicabili). La forza dei quattro libri consiste soprattutto in questa spinta verso l’invalicabile, con i pochi mezzi a disposizione; e arriva nella testa delle persone, e soprattutto nella testa delle donne, non solo in quanto libro, ma anche come una sferzata vitale per imporre la propria personalità dentro il mondo.
Ovviamente, essendo io uno scrittore e non avendo fatto la scelta della Ferrante, come moltissimi, si può presumere che non sia d’accordo. Ma quando si tratta di letteratura, le domande e le risposte sono un po’ diverse. È come quando Flannery O’Connor raccontava di allevare pavoni, e alla domanda: « Perché allevare pavoni?», non aveva una risposta. Perché tutte le domande che riguardano la letteratura sono domande sulla letteratura. Perché scrivi? Perché allevi pavoni? Perché non ti mostri? Perché vale solo l’opera? E a tutte le domande sulla letteratura non c’è una vera risposta, perché le domande sulla letteratura, per chi ama la letteratura, non c’è bisogno di farle. Se uno alleva pavoni, alleva pavoni e basta. Era questa la risposta di Flannery O’Connor: o ti basta (ti soddisfa, lo capisci) vedere un pavone qui in questo giardino, oppure una risposta buona non c’è. Era la domanda che non aveva senso.
Quindi credo sinceramente che a uno scrittore questa domanda («Chi è Elena Ferrante?») non possa interessare. Perché, se uno crede alla letteratura, una risposta ce l’ha, è già davanti agli occhi. Non c’è bisogno di cercarla. Elena Ferrante esiste in quanto Elena Ferrante, chiunque essa sia, chiunque ci sia dietro. Ed è qui che La frantumaglia, il libro che raccoglie le sue
lettere, le interviste, gli scambi con l’editore, alcune spiegazioni della propria personalità, e anche alcuni indizi di una biografia, interviene e si affianca come un romanzo agli altri romanzi. E questo romanzo ha per protagonista finalmente Elena Ferrante: che si racconta, fa venir fuori un suo carattere difficile e problematico, una timidezza mista a un entusiasmo. Racconta che legge i libri degli altri, che cerca di capire come si fa il cinema, descrive la sua formazione di donna e di femminista. Perché se n’è andata da Napoli e perché Napoli non se ne può andare da lei e dai suoi libri. Ci sono scampoli di giornate, di modi di vivere. Si capiscono e intuiscono e intravedono molte cose di lei.
CÕè una scrittrice che scrive grandi libri, si chiama Elena Ferrante, ha deciso di non apparire se non attraverso la scrittura, anche diretta, quelle volte che parla direttamente e addirittura di se stessa. Ci sono, quindi, tutti gli elementi che bastano per conoscere non solo i personaggi dei suoi libri, ma anche lei. Per questo, La frantumaglia è un libro importante e appassionante al pari degli altri: perché ricostruisce la vita e la personalità della scrittrice che tutti stiamo disperatamente cercando. È lì. Solo che, per accettarlo, bisogna credere che la letteratura e la vita siano la stessa cosa, si assomiglino, siano uguali. Ci sono cose inventate? Menzogne? Be’, Philip Roth rispondeva: ma avete mai visto nella vita vera cosa sono capaci di dire i traditori, gli adulteri, i colpevoli, gli incolpevoli? Se tutto ciò è vero o inventato, non ha nessuna importanza.
E allora per me non c’è nessun dubbio. Un lettore innamorato della letteratura (che significa un lettore che crede alla letteratura) può decidere di accogliere il personaggio, vero o inventato che sia; ma uno scrittore, cioè un essere umano che non solo crede nella letteratura, ma cerca di concepirla, di crearla, di farla, come fa a non crederci totalmente? Perché dovrebbe cercare dietro la figura che già c’è, e che è una figura pienamente letteraria? Se tutto ciò è costruito da qualcuno che inventa o è la verità che corrisponde alla vita reale di Elena Ferrante, che importanza ha? Oppure, al contrario, fa davvero differenza? Volete dire che Madame Bovary per voi non esiste davvero? E Flaubert non esiste davvero? C’è davvero tanta differenza tra i due? Sono due persone/personaggi di cui leggiamo, che ci vengono raccontati, che si raccontano. E non è letteratura, non è romanzo, non è biografia o quel che significa anche La frantumaglia?
Insomma, se si ama la letteratura fino in fondo, non è vero che si è disinteressati a sapere chi è davvero Elena Ferrante. Semplicemente si sa già. Se metto insieme tutti i suoi romanzi con La frantumaglia, so tutto quello che c’è da sapere in quel modo che si dice ingenuo ma in realtà è invece disarmato (volontariamente disarmato) di chi crede che la letteratura possa bastare. Uno scrittore non può fare altro che accettare l’esistenza reale del personaggio letterario Elena Ferrante. E la sua grandezza non sta nell’essersi nascosta, ma nel consegnare al mondo un’opera appassionante e appassionata. Che resterà.