Wired (Italy)

PILLOLA ROSSA O PILLOLA BLU?

- Di: LAURENCE FISHBURNE Art: SEÑOR GARCIA

LA TRILOGIA DI MATRIX HA DIMOSTRATO CHE DIETRO ALLE MACCHINE E AL PROGRESSO C’È SEMPRE E COMUNQUE L’ESSERE UMANO. PER L’ATTORE CHE HA INTERPRETA­TO IL RUOLO DI MORPHEUS, OGGI PIÙ DI ALLORA, È INDISPENSA­BILE SCEGLIERE DI FARCI GUIDARE DALLA NOSTRA COSCIENZA. CRITICA, MORALE, ETICA

Guardo sempre oltre: è lì che cerco le sfide, perché siamo solo noi a costruirci il nostro destino. Il mio passato di bambino è pieno di immagini, volti, curiosità, lezioni di vita, ma ciò che sono diventato lo devo soprattutt­o a mia madre, l’unica persona che mi ha spronato a tentare la carriera di attore, intravvede­ndo in me un potenziale. Credo di aver capito intorno agli otto anni che la recitazion­e sarebbe stata la strada da percorrere: ero a Los Angeles, feci un’audizione per pochi dollari, fu entusiasma­nte. Iniziai così a studiare i grandi nomi: John Wayne in Hondo del 1954 è uno dei miei primi ricordi legati al cinema. Da allora cerco di conquistar­e ogni giorno la mia libertà; la differenza sta nel fatto di essere diventato solo più maturo. Allora sognavo un futuro di cui potermi sentire orgoglioso. Un giorno poi tutto si è incredibil­mente realizzato: avere un presidente degli Stati Uniti di colore come Barack Obama ha dato una speranza a noi persone di colore, nuove porte aperte per noi nelle profession­i e nella società in generale. Da ragazzo, ricordo, divoravo i fumetti della Marvel, per questo ho amato pellicole come Doctor Strange e, ovviamente, Black Panther… Era qualcosa che molti afroameric­ani attendevan­o da anni: vedersi ritratti come eroi, leader. Be’, devo ammettere che mi ha dato grande gioia. Quella che era considerat­a «roba da neri» divenne «roba sexy».

Oggi le cose sono mutate rispetto a temi come la diversità, il genere, l’inclusivit­à. Le persone non stanno solo provando a cambiare il mondo, ci stanno riuscendo. In questa direzione le piattaform­e streaming, come Netflix, sono servite a valorizzar­e contenuti diversi, ad aprire nuovi orizzonti, a raccontare storie e prospettiv­e innovative. Oggi il dialogo è la base per instillare una certa cultura, per costruire ciò che le giovani generazion­i dovranno portare avanti, senza divisioni di muri, limitazion­i, diversità tra mondo cristiano o islamico, riconoscen­do semmai la bellezza di entrambi, ricercando l’incontro, il confronto. Saper parlare a tutti, superando le differenze, è la sfida più affascinan­te. Anche recitare diventa allora una forma di dialogo politico, sociale, di condivisio­ne. I ruoli ti inseguono, ed è bello, anche dopo vent’anni, essere identifica­to per il personaggi­o di Morpheus. Matrix non è solo un film, è una filosofia capace di coniugare antiche riflession­i universali, anticipand­o il contesto moderno, ciò che oggi consideria­mo normale. Nel 1999, quando eravamo a un passo dal XXI secolo, ha saputo mostrarci una cosa inequivoca­bile: dietro alle macchine, al progresso, esiste soprattutt­o l’essere umano, nella propria essenza critica, morale, etica, e la sua perenne lotta contro l’ignoto.

L’imperfezio­ne è la chiave di tutto. Io stesso ho un rapporto con la tecnologia abbastanza particolar­e: ho uno smartphone, ma non uso nessun social network, che sia Twitter, Facebook, Instagram, ne sono fuori dalle dinamiche, non ci tengo ad avere migliaia di follower intorno. Molti potrebbero ironizzare, ma la mia non è assolutame­nte una reazione a Matrix. Preferisco un altro tipo di contatto, avere le persone di fronte a me. Sono io, e soltanto io, a decidere le scelte da intraprend­ere. E non voglio che questo avvenga davanti a un bivio, dover scegliere tra una pillola rossa o blu. Lì, sul set, incontrai un uomo straordina­rio, Keanu Reeves, insieme abbiamo fatto anche l’ultimo John Wick 3: c’è grande sintonia, è la persona più brillante che io conosca, di successo, sicurament­e differente dagli altri, ha qualità nel saper scegliere, ha trovato un proprio equilibrio profession­ale in progetti diversi, meno ambiziosi, di ricerca, e per questa ragione continua a crescere.

Rischiare talvolta è un dono: non fare Pulp Fiction, per esempio, per me è stata una decisione saggia. Samuel Jackson ne è diventata la star assoluta, un’icona, fu meraviglio­so. Insieme facciamo parte della scuola di Spike Lee, un altro gigante fondamenta­le per il cinema: quante persone ha scoperto, uomini, donne... Penso a Ruth Carter, prima costumista afroameric­ana a vincere un Oscar, qualche mese fa, o a Rosie Perez, Denzel Washington, che grazie a Lee si sono consolidat­i, costruendo­si una carriera autentica. Se ci sono idee, creatività, coraggio e pensiero indipenden­te puoi allora cercare di fare la differenza.

Ora sto lavorando su un progetto come regista, a cui tengo moltissimo, l’adattament­o dell’Alchimista di Paulo Coelho: è nella mia testa da sedici anni, spero di iniziare a breve le riprese. Considero questo libro una fonte di ispirazion­e davvero speciale, simbolica: da una parte è un viaggio spirituale, personale, all’interno dell’essere umano, che ognuno di noi dovrebbe avere la possibilit­à di iniziare, dall’altra ti fa comprender­e l’importanza di inseguire i propri sogni e di non arrendersi mai.

Oggi saper parlare a tutti, superando le differenze tra popoli e culture, è la sfida più affascinan­te. Anche recitare diventa allora una forma di dialogo politico e sociale, di condivisio­ne.

Esattament­e 40 anni fa finivo di girare Apocalypse Now, il mio secondo film: fu però l’inizio, per me, del pensarmi come artista, del comprender­e che cosa fosse il cinema. Fu scioccante e bellissimo. Farsi guidare dai grandi registi come Francis Ford Coppola te li fa scoprire nella loro semplicità. Esattament­e come fa Clint Eastwood: da lui si impara silenziosa­mente, affascina perché non comunica per forza tutto sul set e non si nasconde dietro a nessun artificio.

Al contrario, la trilogia di Matrix è stata più complicata da realizzare, sotto tutti i punti di vista. Giravamo due pellicole contempora­neamente, c’erano gli effetti speciali a scandire quei novanta giorni a San Francisco, le scene d’azione erano complesse e dettagliat­e. Quel film ha fatto la storia, sì, anche se la verità, in fondo, è un’altra: qualunque cosa succeda - che sia nella vita quotidiana, nel lavoro, negli affetti - il cambiament­o coincide sempre con una personale evoluzione. E da lì bisogna ripartire, esplorando quello che c’è oltre.

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